Gli influencer sono il passato, caduti nella trappola dei social

Parla il guru mondiale del marketing: «Le star del web? Sono hacker egoriferiti legati alle pubbliche relazioni e per giunta scarsamente remunerati»

«Il futuro degli influencer appartiene già al passato. Perché nella maggior parte dei casi coloro che vengono definiti influencer non lo sono affatto. Piuttosto sono hacker egoriferiti legati alle pubbliche relazioni, e per giunta spesso scarsamente remunerati. D’altronde raccontarsi sui social media è una corsa che non porta alcun vantaggio, perché nel lungo periodo non genera né attenzione e né fiducia. Nella stragrande maggioranza dei casi i social sono una trappola. Certamente ci forniscono un microfono, ma sta poi soltanto a noi decidere come utilizzarlo al meglio». Così sentenzia senza mezzi termini il guru del marketing contemporaneo Seth Godin. Il suo j’accuse non lascia spazio ad equivoci: messe al bando le degenerazioni social, ciò che resta è l’esperienza autentica del cliente, un mosaico di aspettative racchiuse nei suoi bisogni spesso disattesi e nel suo vissuto da ascoltare. Un percorso da intraprendere giorno per giorno, con costanza e senza sconti. Godin lo racconta nel suo nuovo libro “La Pratica”, edito per l’Italia da Roi Edizioni e in uscita da mercoledì 17 febbraio.

In questa intervista, rilasciata in esclusiva per l’Italia al Sole 24 Ore, Godin si schiera per la creatività, a patto che sia fatta di studio meticoloso, di preparazione costante, di pratica. «La creatività non ha niente a che fare con doti innate o spontanee, ma è un’abilità che tutti possono sviluppare nel lavoro. A condizione però che la si attui giorno dopo giorno. La pratica è a portata di mano soltanto se siamo disposti a impegnarci. E aprirà la porta al cambiamento e al successo. Perché diventiamo ciò che facciamo», afferma Godin, autore di diciannove best seller internazionali tradotti in 35 lingue e che hanno cambiato radicalmente il modo di pensare e fare il marketing. Il suo blog è il più seguito al mondo con oltre un milione di lettori quotidiani. Quindi giù dalla torre quelle scelte acchiappalike per le quali ci siamo assuefatti e spazio ad una visione nel tempo. Un ritorno alla concretezza, oltre i patinati effetti speciali degli stream.

«Oggi l’accesso per tutti a un microfono è un dato di fatto, la differenza la fanno però quelle persone che decidono di apportare cambiamenti reali nel mondo, lavorando generosamente e senza distrazioni. Ecco perché il vero creativo è il leader che crea la soluzione del problema. La creatività è una scelta ed è un’abilità, non un talento. È un’opportunità per migliorare l’arte dell’invenzione. È il lavoro di ascolto, di comprensione del cliente e del mercato. Questa visione affonda le radici nella tradizione italiana: la si coglie in Leonardo, in Michelangelo, in Dante. Quello che impariamo da queste figure è che essere pionieri e affrontare le difficoltà è il segreto per una leadership efficace», precisa Godin.

Fonte: ilsole24ore.it

Dipendenti italiani: poco coinvolti, stressati e sfiduciati

In Italia appena un dipendente su venti si può definire entusiasta e coinvolto dal proprio lavoro. Si tratta del risultato più basso a livello europeo, lontanissimo dal 35% della Romania che guida la classifica.
In Italia c’è un divario sempre più grande tra lavoro e lavoratori ed è sempre più urgente una strategia condivisa tra politica, imprese e sindacati: valorizzazione del lavoro e dei lavoratori, welfare aziendale e il rinnovo dei contratti nazionali sono tempi centrali per sanare questo divario.

Il punto, però, non è solo che i lavoratori dipendenti italiani siano poco entusiasti della loro attività. Incide anche il fatto che sono molto stressati.
Il dato, aggiornato al 2022, arriva dall’edizione 2023 del report “State of the Global Workplace” della società di consulenza Gallup.

 

Fonte: IlSole24Ore

Lavoro: aumentano occupazione e assunzioni qualificate

Nel 2023 migliorano gli indicatori del mercato del lavoro, crescono i dipendenti a tempo indeterminato, gli occupati e le assunzioni qualificate.

Le prospettive occupazionali del prossimo trimestre confermano una crescita a due cifre delle nuove assunzioni, soprattutto qualificate, in modo particolare nei settori Energia, Life Science, Finanza e Immobiliare, Trasporti e logistica, Industria e IT (Sicurezza informatica, Cloud e sviluppo di applicazioni, Gaming e Green Job), Beni di consumo e servizi (dati ManpowerGroup). E soprattutto nelle medie e grandi aziende.

Nel primo trimestre 2023, tra l’altro, secondo l’Istat il mercato del lavoro, in termini di ore lavorate, ha registrato un incremento dell’1,3% rispetto al trimestre precedente e del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2022. Il PIL, nello stesso periodo, ha mostrato una crescita dello 0,6% in termini congiunturali e dell’1,9% in termini tendenziali.

Gli occupati sono cresciuti di oltre mezzo milione (+513 mila, + 2,3% rispetto al primo trimestre 2022), ed è l’ottavo trimestre consecutivo che si osserva un aumento tendenziale dell’occupazione.

Più lavoro qualificato: Il tasso di occupazione tra i laureati (82,2%) è superiore (+15,6%) rispetto a quello dei diplomati, quasi doppio (+38,3%)  rispetto a chi ha un titolo di studio inferiore.

In aumento anche il tasso di occupazione giovanile,  con una dinamica più vivace (+3,4 punti) rispetto a quella delle nuove assunzioni di 35-49enni (+2,8 punti) e di soggetti in fascia 50-64enni (+2,1 punti). In calo le assunzioni di stranieri.

Dal lato delle imprese, si intensifica la crescita congiunturale delle posizioni lavorative dipendenti che, nel complesso, aumentano dell’1,1%, per effetto sia di un’accentuata crescita della componente a tempo pieno (+1%) sia di una spinta al rialzo della componente a tempo parziale (+1,4%).

In termini tendenziali, la crescita delle posizioni dipendenti è pari al 3,1% e l’aumento è stato più intenso per la componente dei full time (+3,6%) rispetto a quella dei part time (+1,7%).

In aumento anche le ore lavorate per dipendente, in termini congiunturali (+1,9%) e, soprattutto, in termini tendenziali (+4,6%); il ricorso alla cassa integrazione scende a 8,7 ore ogni mille ore lavorate.

Il tasso dei posti vacanti nel confronto congiunturale diminuisce di 0,3 punti, mentre è ancora in crescita, di 0,1 punti, in quello tendenziale.

Rilevante l’aumento del costo del lavoro per Unità di lavoro dipendente (Ula) che raggiunge valori tra i più alti in serie storica: su base congiunturale, la crescita è pari all’1,8% ed è il risultato dell’aumento sia delle retribuzioni (+1,2%) sia, in misura maggiore, degli oneri sociali (+3%); anche la crescita tendenziale, ancora più intensa (+3,9%), è dovuta a quella della componente retributiva (+3,4%) e, ancor di più, a quella degli oneri sociali (+5,4%).

All’aumento delle retribuzioni concorre l’erogazione di importi una tantum, il cui effetto è particolarmente evidente nei servizi; l’aumento degli oneri sociali è legato al restringimento degli interventi di decontribuzione messi in atto nel 2021 e 2022.

settori che mostrano la ripresa dell’occupazione più marcata rispetto al periodo pre-pandemico sono: costruzioni (+16,5% rispetto al primo trimestre 2019); informazioni e comunicazione (+27,5%); istruzione (5,5%). Anche l’industria (+1,7%) e il comparto alberghi e ristorazione (+0,9%) mostrano una dinamica positiva, recupera anche il commercio (+1,1%). Ancora indietro agricoltura (-4%) e altri servizi (-0,9%).

Fonte: pmi.it

Nasce a Torino la Casa dei giornalisti

Sono 30 anni, dal 1993, che ogni 3 maggio si celebra la Giornata mondiale della libertà di stampa. La celebrazione, istituita dall’Assemblea generale dell’Onu, con l’andare del tempo, dei conflitti e delle minacce in tante parti del mondo, riveste un ruolo sempre più significativo.
Per questo, l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte e l’Associazione Stampa Subalpina hanno scelto di inaugurare la Casa dei Giornalisti proprio il 3 maggio.

La ‘casa’ è in realtà un nuovo sito di notizie e dibattito sul mondo dell’informazione. A dirigerlo, il presidente dell’OdG Piemonte, Stefano Tallia.
Alla presentazione a Palazzo Ceriana Mayneri, dal 1957 sede del Circolo della stampa torinese, presenti anche il sindaco di Torino Stefano Lo Russo e il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio.

Obiettivo della Casa dei giornalisti è rafforzare il confronto sui temi dell’informazione all’interno della società civile, perché è (anche) sulla libertà dell’informazione che si costruisce la democrazia del Paese.
Nella mattinata, è stata anche conferita una tessera di iscrizione honoris causa a Sepideh Gholian, la 28enne giornalista ripetutamente arrestata in Iran nel 2019 dopo aver denunciato torture e abusi del regime, e diventata simbolo delle lotte per la democrazia e i diritti civili.

Fonte: primaonline

 

Donne ceo, quante sono in Italia?

Il Corriere della Sera, in un articolo di Diana Cavalcoli, approfondisce la situazione italiana del lavoro femminile, in particolare delle donne a capo di un’azienda.
Mai così tante italiane nei board delle società ma sono ancora poche quelle che raggiungono ruoli apicali. Lo ha ricordato anche la premier Meloni ribadendo la volontà di avere una ceo a guida di una partecipata statale. Secondo il rapporto Women in Business, ad ogni modo, le poltrone di ceo occupate dalle donne italiane nel 2022 sono cresciute: siamo passati al 20% dal 18% del 2021. Con segnali positivi anche dall’Italia. A fine 2021, secondo il rapporto Consob sulla Corporate Governance, il 41% degli incarichi di amministrazione nelle società quotate era esercitato da una donna. Un record per il nostro mercato legato in buona parte alle norme che riservano una quota dell’organo sociale al genere meno rappresentato. Si pensi alla Legge Golfo-Mosca del 2011 e alla legge 160/2019. Posti i buoni risultati va comunque precisato che tra le donne delle stanze dei bottoni solo un 2% è ceo e solo il 4% presidente. Nella maggior parte dei casi le donne sono consiglieri indipendente (75%) o di minoranza (11%) e allargando lo sguardo al mondo delle imprese, il gap è evidente: solo 1 su 10 è a guida femminile (dati Cerved) .

Posti i numeri in crescita ma perfettibili, un esercizio sempre utile è vedere chi ha già tagliato il traguardo. Chi sono, quindi, le super manager del Bel Paese?

Scorrendo l’elenco delle più grandi società italiane quotate (e non) emergono profili diversi. Tra le italiane al vertice c’è ad esempio «Lady Microsoft». Silvia Candiani ceo di Microsoft per l’Italia dal 2017 è stata pioniera nel campo tech. Nata a Milano nel 1972 da anni incoraggia le giovani a formarsi in ambito Stem allenando il coraggio e accettando i rischi. Raccontava a novembre al Corriere della Sera: «Credo che l’essere donna mi abbia dato una marcia in più in termini di capacità, di empatia, relazionale, di ascolto. Qualità che poi fanno la differenza anche nel mondo del lavoro». Al vertice troviamo poi Margherita Della Valle, nominata amministratrice delegata ad interim del gruppo Vodafone. Laureata al Des della Bocconi nel 1988, romana, classe 1965, vive da 15 anni a Londra e nel gruppo è stata anche Cfo, responsabile della gestione delle attività finanziarie. Al Corriere ricordava in una recente intervista: «Se si guarda alle grandi aziende europee, quelle che sono nei principali indici azionari, solo 1 Cfo su 10 è donna. C’è ancora molto da fare». Per l’industria spicca la chimica Catia Bastioli, amministratrice delegata di Novamont, colosso nel settore delle bioplastiche, ed ex-presidente di Terna che ha messo al centro della sua attività l’attennzione per la sostenibilità e l’economia circolare. Tra le ceo anche la romana Alessandra Ricci, ad e dg di Sace da maggio 2022. Classe 1969 Ricci è Laureata in Economia e commercio presso l’Università Luiss e fino al 2020 era ceo di Simest. Tra le donne al vertice anche Vera Fiorani, amministratrice delegata e dg di Rfi. Laureata in Economia e Commercio all’Università La Sapienza di Roma, entra in Rfi nel 2001 dopo esperienze lavorative in Ferrovie dello Stato, Tav e Izi.

Tra le dirigenti anche Lucia Morselli attuale amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia, già ArcelorMittal Italia. C’è poi Elena Patrizia Goitini, dal 2021 ad di Bnl e responsabile Bnp Paribas per l’Italia. Milanese, bocconiana, è la prima donna alla guida di una grande banca in Italia. In una recente intervista sulla parità di genere parlava della necessità per le donne di puntare sulla «nostra autenticità e non su stereotipi manageriali».

 

Quali trasformazioni strutturali stanno avvenendo nel mercato pubblicitario globale?

Nell’articolo pubblicato da Youmark! il 22 febbraio 2023 si analizza come l’industria dei media sia entrata in una fase di cambiamento.

L’essenza stessa di un media owner, ciò che lo costituisce, viene messa in discussione in misura crescente dalle trasformazioni strutturali del mercato pubblicitario globale, che quest’anno vale 993 miliardi di dollari. È sempre più difficile, in particolare, per gli editori che creano contenuti rimanere competitivi nei confronti di canali a performance ricchi di dati come i retail media, e sostenere le attività editoriali con i soli ricavi da display online, secondo l’ultimo rapporto Global Ad Trends di WARC: ‘Media models in flux’.
Amazon, ad esempio, ha ricavato 37,7 miliardi di dollari dai servizi pubblicitari nel 2022, quasi l’esatto valore della stampa a livello globale lo scorso anno. Secondo i dati di WARC Media, nel 2023 l’intero mercato pubblicitario globale dell’editoria varrà 47,2 miliardi di dollari, con un calo del 7,7% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, nonostante tutto, la pubblicità rimane una fonte di ricavi attraente e ad alto margine, il che significa che i media owner stanno evolvendo i loro modelli operativi per tentare di sopravvivere. L’autore del report, Alex Brownsell, Head of Content di WARC Media, ha affermato infatti: “Per le testate giornalistiche e le riviste, i modesti aumenti delle entrate pubblicitarie digitali non sono stati sufficienti a compensare le perdite di entrate pubblicitarie globali. Il fatturato pubblicitario globale della stampa editoriale si è dimezzato negli ultimi sei anni, passando da 75,9 miliardi di dollari nel 2016 a 37,3 miliardi di dollari nel 2022“. “Mentre Meta sta lanciando un servizio di verifica a pagamento che riduce la sua dipendenza dalle entrate pubblicitarie, i media owner non hanno rinunciato al mercato pubblicitario“, ha aggiunto. “Netflix e Spotify sono solo due delle piattaforme che vedono nella pubblicità ad alto margine un mezzo per raggiungere la redditività e per reagire al calo degli abbonamenti, dato che i consumatori stanno affrontando la pressione dell’aumento costo della vita”.

In un mercato pubblicitario digitale programmatico e basato sui dati, per gli editori che creano contenuti è sempre più difficile rimanere competitivi. La spesa globale per video, audio, editoria e OOH è rimasta pressoché invariata. WARC Media prevede che nel 2023 gli investimenti totali saranno superiori dell’1,6% rispetto al 2016. Ma più di 4 dollari su 10 spesi in pubblicità in qualsiasi formato a livello globale vanno ora ad AlphabetAmazon o Meta.
Eppure alcuni editori stanno prosperando nel mercato attuale. Il New York Times, spesso citato come modello per un’attività di contenuti sostenibile e scalabile, dà la priorità alle vendite di ‘bundle’ tra i prodotti, e la pubblicità – secondo il concetto del quotidiano newyorkese – deve rientrare in una visione più ampia dell’esperienza dell’utente. Pubblicazioni di nicchia come Axios, con sede a Washington DC, Punchbowl e Politico, puntano invece i loro asset su un pubblico ristretto numericamente ma influente, economicamente e politicamente, della capitale statunitense. Sebbene non sia più sufficiente a sostenere molti media owner da sola, la pubblicità costituisce ancora una fonte di ricavi consistente e ad alto margine. Come si è accennato in precedenza, Netflix si è recentemente convertito alla pubblicità, segnando un momento di svolta nello streaming video e audio. Anche Disney+ e Warner Bros Discovery hanno adottato modelli ‘ibridi’ a pagamento – tramite abbonamenti a costi ridotti – e advertising based. Pure la piattaforma di streaming audio Spotify sta migliorando i margini grazie a una pubblicità più sofisticata sui podcast. Come ha affermato Laura Chaibi, Director International Ad Marketing and Insights di Roku: “Dopo anni di proliferazione dei servizi SVOD, i principali operatori del settore dei media si stanno ora spostando verso modelli di business ad supported per soddisfare il desiderio dei consumatori di accedere ai contenuti gratuitamente o ameno risparmiare”. I dati di Roku hanno rilevato che il 47% degli spettatori di streaming prevede di cambiare i propri servizi nei prossimi 12 mesi. E secondo GWI, il 57% di coloro che tagliano gli abbonamenti SVOD preferisce i servizi di streaming sostenuti dalla pubblicità. Si prevede invece che i media retail globali saranno il canale in più rapida crescita nel 2023, raggiungendo i 122 miliardi di dollari: l’indebolimento dello storico legame tra contenuti, pubblico e pubblicità è alla base dello sconvolgimento attuale dell’industria dei media. Entro il 2025 i retail media avranno un valore superiore a quello della TV lineare.

Questa rapida ascesa, unita alla progressiva sparizione dei cookie di terze parti e a una maggiore regolamentazione della privacy, ha portato i media tradizionali a cercare di soddisfare le esigenze di brand building e a tentare di svolgere un ruolo efficace per gli inserzionisti più in alto nel purchasing funnel: laddove i canali tradizionali offrono formati digitali e offline (video, audio, editoria e OOH), è sempre più probabile che i nuovi investimenti pubblicitari siano destinati ai formati digitali in CTV, streaming audio e DOOH.

Nasce l’Area Comunicatori di Manageritalia Executive Professional, la nuova casa per i professionisti della comunicazione

Milano, 23 febbraio 2023. Un’area di rappresentanza, informazione e formazione professionale per valorizzare l’intera categoria. Con queste prerogative e finalità nasce l’Area Comunicatori all’interno di Manageritalia Executive Professional che estende così il proprio ambito di specializzazione e rappresentanza delle Alte Professionalità.

La nuova area sarà coordinata da Rita Palumbo, professionista che da anni si occupa del settore. L’obiettivo è quello di valorizzare il ruolo e la specificità di una figura professionale sempre più cruciale per le imprese, in un contesto segnato da profondi cambiamenti soprattutto sul fronte delle competenze, garantendo la giusta rappresentanza ad un comparto professionale che produce valore per il Sistema Italia.

“La comunicazione – afferma Rita Palumbo – è un asset strategico che incide sulla reputazione, sulla credibilità e sull’autorevolezza dell’impresa. È un’attività che esige competenze definite e certificate. Con Manageritalia Executive Professional Area Comunicatori sarà avviato un percorso di informazione, sensibilizzazione e rappresentanza per dare l’adeguato riconoscimento ad una categoria di alte professionalità, quella del Comunicatore professionale, che crea valore economico e culturale per l’intero Sistema Paese.”

Dare voce ad oltre 30mila comunicatori che operano in Italia, diffondere la cultura della Comunicazione presso istituzioni e business community, valorizzare ruolo e funzioni del Comunicatore professionale, offrire progettualità e opportunità di lavoro ai 10mila giovani che ogni anno si laureano nelle Facoltà di Scienze della Comunicazione, creando “lavoro di valore”. Sono alcune delle ragioni prioritarie che danno senso e specificità alla nascita dell’Area Comunicatori di Manageritalia Executive Professional.

Un percorso che parte dall’introduzione di una specifica norma UNI sul tema, di cui la stessa Rita Palumbo è stata fautrice, e che si avvale della collaborazione e del dialogo con le principali organizzazioni di rappresentanza del mondo della comunicazione.

“La creazione dell’Area Comunicatori e la nomina di Rita Palumbo come coordinatrice – dice Carlo Romanelli, presidente Manageritalia Executive Professional – continua il percorso avviato con i Comunicatori d’Impresa per offrire una rappresentanza sempre più ampia e profonda a questo importante segmento delle Alte Professioni in Italia. Anche per loro vogliamo essere la “casa”, per diffondere e affermare i loro valori e contenuti, le prospettive e i diritti. Come facciamo già per gli Executive Professional e faremo per altre alte professionalità”.

“Non resta che seguirci nella nostra attività – conclude Romanelli – informarsi per conoscere i tanti vantaggi di far parte di questa casa comune, condividere alcuni aspetti dello sviluppo professionale e fruire di servizi e opportunità di valore”.

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Manageritalia www.manageritalia.it (Federazione nazionale dirigenti, quadri e professional del commercio, trasporti, turismo, servizi, terziario avanzato) rappresenta dal 1945 a livello contrattuale i dirigenti del terziario privato e dal 2003 associa anche quadri ed executive professional. Offre ai manager rappresentanza istituzionale e contrattuale, valorizzazione e tutela verso la politica, le istituzioni e la società, servizi per la professione e la famiglia, network professionale e culturale. Promuove e valorizza il ruolo e il contributo del management allo sviluppo economico e sociale. Oggi Manageritalia associa oltre 38.000 manager. La Federazione è presente sul territorio nazionale con 13 Associazioni e una dedicata agli Executive Professional, che offrono un completo sistema di servizi: formazione, consulenze professionali, sistemi assicurativi e di previdenza integrativa, assistenza sanitaria ai manager e alla famiglia, iniziative per la cultura e il tempo libero. Manageritalia associa oggi oltre 38mila manager.

I dati sul lavoro femminile in Italia: ultimi in UE

Un “allarme” che emerge da un report di Confartigianato presentato alla Convention di Donne Impresa Confartigianato, che rappresenta le piccole imprese guidate da donne.

“L’Italia non sostiene il lavoro femminile”, avverte Confartigianato, indicando che “siamo all’ultimo posto nell’Ue per il tasso di occupazione, pari al 58,1%, delle donne tra 25 e 49 anni in coppia con figli a carico e il 71,2% dei Neet under 35 è rappresentato da 651mila giovani donne che non studiano, non lavorano e non cercano occupazione”.

Basta con gli interventi-spot”, sottolinea la presidente di Donne Impresa Confartigianato, Daniela Biolatto. Con la crisi Covid prima e la crisi dell’energia ora, “tra il 2019 e il 2022 il lavoro indipendente femminile è diminuito del 5,8%”

Il report presentato da Confartigianato mette in luce le difficoltà vissute dalle imprenditrici in questi anni di crisi: tra il 2019 e il 2022 il lavoro indipendente femminile è diminuito del 5,8%.

A seguito della pandemia la componente femminile dell’economia ha subito una flessione del 3,6% del valore aggiunto, superiore al -2% della media, con cali più marcati per i settori della ristorazione (-28,7%), della moda (-19,9%), dei servizi alla persona (-16,3%).

La crisi energetica ha colpito in particolare le 29.066 imprese guidate da donne nei settori energivori (alimentare, carta, chimica, gomma e plastica, metalli, tessile e vetro, ceramica, cemento).

E ora gli aumenti dei tassi di interesse decisi dalle autorità monetarie potrebbero pesare, su base annua, con 270 milioni di maggiore costo del credito per le 111mila piccole imprenditrici che hanno chiesto prestiti alle banche”.

“Le imprenditrici e in generale le donne italiane – dice Daniela Biolatto – devono fare i conti con la carenza di politiche a favore dell’occupazione femminile e con un welfare che non aiuta a conciliare il lavoro con la cura della famiglia”.

Secondo Confartigianato, la spesa pubblica italiana è fortemente sbilanciata a favore degli anziani a scapito degli interventi per famiglie e i giovani: a fronte di 17,07 euro destinati a sanità e pensioni per gli anziani, soltanto 1 euro va alle famiglie e ai giovani. Una situazione che ci colloca in ventiquattresima posizione nella classifica europea.

Gli effetti si vedono, ad esempio sui servizi per l’infanzia, che in Italia sono meno diffusi rispetto alla media Ue: Confartigianato indica che sono 3.400 i Comuni italiani con una grave carenza di asili nido.

Inoltre, soltanto lo 0,56% della spesa pubblica e l’1% dei fondi strutturali europei, pari nel totale a 6 miliardi di euro, finanziano interventi per ridurre le disuguaglianze di genere.

Nonostante questi ostacoli – emerge ancora dal rapporto – le donne italiane sono le più intraprendenti d’Europa: il nostro Paese conta infatti 1.469.000 imprenditrici e lavoratrici autonome, il numero maggiore tra i Paesi Ue, con un grado di istruzione superiore ai colleghi maschi: il 41,1% è infatti laureato, una percentuale quasi doppia rispetto al 21,4% degli uomini.

“Serve una svolta nelle politiche per il lavoro femminile. Basta con gli interventi-spot: il futuro del nostro Paese – avverte ancora la presidente di Donne Impresa Confartigianato – dipende anche da quanto e come investiremo, con misure strutturali e stabili, per favorire la piena e duratura partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Anche grazie alle risorse del Pnrr abbiamo l’occasione imperdibile di creare le condizioni per sostenere e valorizzare finalmente il talento delle donne e la loro capacità di contribuire alla crescita economica e sociale”.

ChatGPT, quali sono le potenzialità?

Nell’articolo dell’HuffPost del primo febbraio 2023, Michele Mezza, parla del sistema di intelligenza artificiale ChatGPT, che grazie alle sue capacità potrebbe rivoluzionare, anzi rivoluzionerà, il mondo web e i lavori creativi con conseguenze sostanziali su organizzazioni che ne potrebbero sfruttarne le potenzialità.

 Perché abbiamo un’opportunità di addestrare socialmente i sistemi di AI?

Microsoft e Google stanno giocando a dadi con Dio, avrebbe detto Albert Einstein dinanzi alla competizione che si è ormai scatenata fra le due super potenze digitali sul terreno dell’intelligenza artificiale.

I due colossi sono alle prese con l’ingegnerizzazione dei rispettivi dispositivi, destinati a supportare ogni attività di ogni essere umano, fino a una possibile sostituzione. La posta in palio è qualcosa che va al di là del fatturato delle singole da incrementare, che rimane certo l’obiettivo di questi affaristi.

Ma le prestazioni di questi nuovi sistemi di cosidetta intelligenza artificiale generica e portabile, quali sono i nuovi dispositivi tipo Chat GPT di Microsoft e Sparrow di Google, ormai travalicano la meccanica del calcolo arrivando molto vicino alla telepatia. Come scriveva un grande fumettista satirico come Gary Trudeau per irridere il sofismo di molti suoi colleghi giornalisti, ”non sono un ornitologo ma quando vedo un papero lo riconosco”.

Il papero che si sta aggirando per redazioni e centri di ricerca oggi è una forma di intelligenza artificiale diventata maggiorenne che da moderatamente appare fortemente affidabile. In più questo papero è accessibile a ogni singolo individuo, stressando la rivoluzione della miniaturizzazione che abbiamo visto compiersi in questi ultimi 50 anni, con la transizione dal calcolatore al personal computer e da questo allo smartphone, con il risultato che ormai ogni due giorni si riproduce la stessa quantità di contenuti e informazioni prodotta dall’umanità, dal suo inizio fino al 2005.

Questo papero, su cui mi pare davvero capzioso continuare a discutere sulle ali striminzite o il piumaggio ancora scarmigliato, è in crescita esponenziale: in poche settimane ChatGPT ha raccolto il numero di utenti -6 milioni- che facebook ha raggiunto in due anni, e ora si annuncia un ulteriore salto che nei prossimi mesi dovrebbe portarlo a essere usato da almeno 400 milioni di utenti, con un’esplosione della sua attitudine a imparare dall’esercizio moltiplicato per molte migliaia di unità, quali è la differenza fra 6 e 400 milioni. Siamo in presenza dunque del graduale ma inesorabile perfezionamento di un sistema che lavora con un linguaggio naturale, ed è fornito di dotazioni relazionali e riflessive che riproducono aspetti distintivi della nostra specie, mostrando una chiara possibilità di integrarsi nella nostra attività cognitiva meno meccanica e banale, creando il primo prototipo di “cervello aumentato”. Stiamo ancora una volta cambiando la struttura neurologica della specie.

Non è una novità. È accaduto più volte nel corso della nostra evoluzione millenaria. Pensiamo al passaggio dall’era glaciale a quella temperata, dai cacciatori raccoglitori al nomadismo di massa, fino all’agricoltura, e poi ancora con le concentrazioni nelle prime metropoli, dove la scrittura e la matematica crearono modelli cognitivi che selezionarono modi di vivere e di strutturare le nostre relazioni formattando il modo di parlare, pensare e produrre.

Un grande filosofo dell’800, abituato a osservare proprio l’impatto delle tecnologie nelle relazioni sociali ci spiegava che il mulino ad acqua dà la società feudale, e dunque l’omo legato alla terra e comandato dalla proprietà fondiaria, mentre il mulino a vapore ci dà la società industriale, con esseri umani svincolati dalla terra e per quanto subordinati alla fabbrica con ambizioni e capacità di organizzarsi autonomamente.

Ora dobbiamo capire quale società ci darà il mulino AI, dove l’uomo si vede organizzato dai proprietari del calcolo, i calcolanti, e ridotto a calcolato, benché con cognizioni e assetti che gli permettono di interferire con i sistemi che lo governano.

Questo ultimo passaggio sta avvenendo in maniera convulsa, non più diluito nei secoli di cui parlavano i filosi del passato, ma concentrato in pochi decenni, sotto i nostri occhi. I testimoni ne sono anche i protagonisti.

Ma l’altra differenza rispetto alle grandi trasformazioni antropologiche che abbiamo alle spalle sta che questa, per quanto possente e pervasiva, che attraverso il destino dell’intera umanità, sia confiscata da pochi centri di elaborazione e controllo dei sistemi di calcolo. Il nuovo genio della lampada è prigioniero degli uffici marketing della Silicon valley.

Ora più che filosofare se la canzone composta dal dispositivo digitale sia bella o brutta, o se la sua composizione poetica ci trasmetta simulazioni di emozioni o sentimenti reali, mi sembra più urgente ragionare sul modo in cui socializzare questa straordinaria opportunità, sottraendola alla più miope e meschina logica commerciale che al momento guida i suoi proprietari.

Sarebbe intanto da chiedersi se la scrittura o la stampa abbiano avuto proprietari, per quanto i pionieri siano stati debitamente compensati dalle rispettive intuizioni. Ma davvero un fenomeno che al momento è condivisibile da almeno 5 miliardi di persone può essere ristretto nei limiti speculativi dettati da chi lo possiede? La domanda non ha solo un valore etico ma risponde anche alle esigenze proprio dei processi di sviluppo di queste intelligenze.

I due sistemi che oggi sembrano emergere come driver della trasformazione del decentramento a ogni individuo di risorse di intelligenza artificiale -ChatGPT per Microsoft e Sparrow per Google- al momento sono in bacino di carenaggio.

L’azienda di Bill Gates ha giocato d’anticipo offrendo la versione beta del proprio prodotto a un collaudo di massa. In poche settimane almeno 6 milioni di utenti hanno cominciato a giocare con la potenza intelligente di Chat GPT, rendendone subito evidente l’insufficienza infrastrutturale. Come sappiamo infatti, il dispositivo si muove in un ambiente chiuso di contenuti, arredato da 200 miliardi di concetti ed espressioni logiche su cui è stato costosamente addestrato, arrivando a trasmettergli il sapere prodotto e pubblicato fino al 2021.

Sparrow, passerotto in inglese, invece cinguetta nella gabbietta di Google, ancora al riparo da un collaudo pubblico, con i suoi progettisti che si stanno arrovellando sul modo migliore per sfruttarne le sue caratteristiche. A differenza del concorrente di Microsoft, la creatura di Larry Page e Sergey Brin, avrebbe la capacità di lavorare direttamente in rete, avvalendosi dell’intero infinito magazzino di nozioni prodotte digitalmente dall’umanità in questi decenni, ma soprattutto garantendo un aggiornamento massimo delle informazioni.

In entrambi i casi si accusano costi di esercizio ancora rilevanti. Microsoft ha verificato che ogni singola attività di ChatGPT, ogni sua risposta a un prompt, una domanda, gli costa circa 150 volte di un responso di Google. Ovviamente parliamo di due cose diverse: il nuovo sistema AI, elabora una vera composizione letteraria che processa le fonti senza indicarle, mentre il motore di ricerca di Mountain View, come sappiamo, ci risponde semplicemente indicizzando le fonti relative all’argomento che gli abbiamo proposto.

Inoltre rimangono ancora insoluti problemi legati all’hardware, ossia quel reticolo di server e cloud che dovrà smaltire quella gigantesca massa di contatti che si sprigioneranno una volta che i sistemi entreranno in funzione a regime.

Ma in entrambi i casi il vero buco nero riguarda proprio l’addestramento.

Parliamo di quella fase in cui le sinapsi digitali riprodotte dagli algoritmi devono acquisire le più diverse forme semantiche del nostro linguaggio, cogliendo ogni sfumatura e sottigliezza dei modi in cui ci rivolgeremo al sistema. Esattamente come un bambino impara a parlare in maniera sempre più matura. Con la differenza che nessuno avrà la pazienza e la voglia di seguire l’evoluzione naturale di questo apprendimento che in natura impiega circa 10/15 anni.

Questa è la fase in cui, mentre si impara a comprendere e a rispondere ai prompt più diversi e specialistici, vengono impressi gli imprinting etici e valoriali ai sistemi automatici, come ci ha spiegato qualche tempo fa Timnit Gebru, l’ex responsabile della divisione etica di Google licenziata proprio per aver avanzato dubbi sul modo con cui venivano allenati i meccanismi del motore di ricerca.

Inizialmente, non a caso, ChatGPT era stata pensata da una fondazione, OpenAI senza scopo di lucro, per essere rilasciata in regime di opensource in rete e potersi così avvalere di questa straordinaria palestra di saperi e linguaggi che è internet. Poi ha prevalso l’istinto speculativo, Microsoft ha comprato OpenAI che è diventata la solita start up in cerca di profitto. Ma i costi dell’operazione si annunciano poderosi: i dieci miliardi stanziati a Seattle potrebbero non bastare, così come per Google.

L’idea di mantenere completamente all’interno di una modalità proprietaria il suo sistema si potrebbe rivelare proibitivo oltre che inefficiente.

Sarebbe allora possibile pensare a una strategia che dopo aver remunerato l’attività di svezzamento dei due sistemi, veda istituzioni pubbliche e organizzazione sociali, che pure solo all’origine dell’affermazione di Internet, come la gestione dei domini, intervenire assicurando la collaborazione di questi organismi per abbattere i costi dell’addestramento e soprattutto rendere efficiente e sicuro il sistema, alla luce proprio dei linguaggi e delle competenze più diverse.

Penso per esempio a livello europeo a come centri di ricerca e università potrebbero seguire i percorsi di sviluppo delle dotazioni specializzate di questi sistemi nel campo della medicina, o dell’informazione o del diritto, lasciando certo ai proprietari l’opportunità di realizzare applicazioni commerciali, come il modello open source, prevede, ma assicurando una soluzione di base che possa essere poi riprogrammata e orientata da gruppi professionali o organizzazioni sociali.

Siamo proprio nel caso in cui, come scriveva Marianna Mazzucato nel suo ultimo testo “Il valore di tutto” (Laterza Editore), l’estrazione privata di valore diventa distruzione pubblica di ricchezza.

I rischi d’impresa più rilevanti nel 2023

L’indagine annuale condotta da Allianz sui principali rischi percepiti dalle aziende a livello globale, come riportato da Michelle Crisantemi su Innovation Post, evidenzia che i rischi informatici e l’interruzione delle attività, anche dovuta a problemi di approvvigionamento, rappresentano i principali timori delle aziende.

La classifica, punta a fornire un quadro globale sulla percezione dei rischi d’impresa, raccogliendo le opinioni di 2.712 esperti provenienti da 94 Paesi, tra cui amministratori delegati, risk manager, broker ed esperti assicurativi.

Il barometro 2023 mostra che, per il secondo anno consecutivo, la principale preoccupazione delle imprese è rappresentata dai rischi informatici, come le interruzioni dell’attività IT, gli attacchi ransomware o le violazioni dei dati.

Tuttavia, i cambiamenti macroeconomici come l’inflazione, la volatilità dei mercati finanziari e l’incombenza di una recessione, nonché l’impatto della crisi energetica salgono nella classifica dei rischi aziendali globali di quest’anno, così come si fanno sentire le conseguenze economiche e politiche del mondo in seguito al Covid-19 e alla guerra in Ucraina.

Rischi informatici, la frequenza e il costo medio resteranno elevati nel 2023

Nello specifico, i rischi informatici sono un fattore in cima alle preoccupazioni delle aziende in ben 19 Paesi – tra cui Italia, Canada, Francia, Giappone, India e Regno Unito – e sono le piccole e medie imprese (con fatturato al di sotto dei 250 milioni di dollari) a dichiararsi più preoccupate.

“Per molte aziende la minaccia nel cyber-spazio è più forte che mai e le richieste di risarcimento assicurativo rimangono ad un livello elevato”, spiega Shanil Williams, membro del Consiglio di Amministrazione di AGCS e Chief Underwriting Officer Corporate, responsabile della sottoscrizione cyber.

“Le grandi aziende sono ormai abituate a essere prese di mira e a respingere la maggior parte degli attacchi mentre assistiamo sempre più spesso alle conseguenze per le piccole e medie imprese, che spesso tendono a sottovalutare la loro esposizione. Tutte devono investire costantemente nel rafforzamento dei loro controlli informatici”, aggiunge.

Secondo il Cyber Center of Competence di Allianz, la frequenza degli attacchi ransomware rimarrà elevata anche nel 2023. Il costo medio di una violazione dei dati è ai massimi storici (4,35 milioni di dollari) e si prevede supererà i 5 milioni di dollari nel 2023.

Il conflitto in Ucraina e le più ampie tensioni geopolitiche stanno aumentando il rischio di un attacco informatico su larga scala da parte di soggetti supportati dagli Stati. A ciò si aggiunge una crescente carenza di professionisti di cyber security, che genera problemi quando si tratta di migliorare la sicurezza.

Interruzione delle attività principale preoccupazione per le aziende di Germania, Corea del Sud e Stati Uniti

Per le aziende di molti Paesi, il 2023 sarà probabilmente un altro anno problematico per l’interruzione di attività (BI, business interruption), perché molti modelli di business sono sensibili agli shock e ai cambiamenti improvvisi, che a loro volta incidono sui profitti e sui ricavi.

Se a livello globale laBusiness Interruptionè al 2° posto, in alcuni Paesi è invece il rischio numero uno: è il caso di Brasile, Germania, Messico, Paesi Bassi, Singapore, Corea del Sud, Svezia e Stati Uniti.

Le fonti che generano queste problematiche sono molteplici. Il rischio cyber è la causa di Business Interruption che le aziende temono di più (45% delle risposte, al secondo posto la crisi energetica (35%), seguita dalle catastrofi naturali (31%).

L’aumento vertiginoso del costo dell’energia ha costretto alcune industrie ad alto consumo energetico a utilizzarla in modo più efficiente, a trasferire la produzione in luoghi alternativi o addirittura a prendere in considerazione l’ipotesi di una chiusura temporanea.

Le conseguenti condizioni di penuria minacciano di provocare interruzioni delle forniture in una serie di settori critici in Europa, tra cui l’alimentare, quelli agricolo, chimico, farmaceutico, edilizio e manifatturiero, sebbene le miti condizioni invernali in Europa e la stabilizzazione del prezzo del gas stiano contribuendo ad alleviare la tensione energetica.

Un’eventuale recessione è un’altra probabile fonte di interruzione nel 2023, con il rischio di fallimento e insolvenza dei fornitori, che rappresenta un particolare campanello di allarme per le aziende con fornitori critici singoli o limitati. Secondo Allianz Trade, è probabile che le insolvenze globali aumentino notevolmente (del 19%) nel 2023.

Tensioni macroeconomiche, mai così tante aziende preoccupate da un decennio

Gli sviluppi macroeconomici, come l’inflazione o la volatilità dei mercati economici e finanziari, sono al terzo posto tra i rischi percepiti dalle aziende a livello globale nel 2023 (25%).

Si tratta di un dato significativo se paragonato alla precedente rivelazione, dove le tensioni macroenomiche ricoprivano solo la decima posizione in classifica e tenendo conto che è la prima volta che questo rischio compare nella top tre da un decennio a questa parte.

L’inflazione è particolarmente preoccupante perché sta intaccando la struttura dei prezzi e i margini di redditività di molte aziende. Come l’economia reale, anche i mercati finanziari dovranno affrontare un anno difficile, poiché le banche centrali prosciugano la liquidità in eccesso a livello di sistema e i volumi di trading diminuiscono anche nei mercati storicamente “liquidi”.

“Il 2023 sarà un anno difficile; dal punto di vista puramente economico, probabilmente sarà un anno da dimenticare per molte famiglie e aziende. Tuttavia, non c’è motivo di disperare”, afferma Ludovic Subran, Chief Economist presso Allianz.

“Innanzitutto, l’inversione di tendenza dei tassi di interesse è di grande aiuto, soprattutto per milioni di risparmiatori. Anche le prospettive a medio termine sono molto più rosee, nonostante – o piuttosto a causa – della crisi energetica. Le conseguenze, al di là della recessione prevista per il 2023, si stanno già facendo sentire: una trasformazione forzata dell’economia in direzione della decarbonizzazione e una maggiore consapevolezza dei rischi in tutti i settori della società, che rafforzerà la resilienza sociale ed economica”, aggiunge.

Rischi in crescita e in calo

La crisi energetica è il rischio con la maggiore spinta in aumento nell’Allianz Risk Barometer e compare per la prima volta al 4° posto (22%). Alcuni settori, come quello chimico, dei fertilizzanti, del vetro e dell’alluminio, possono dipendere da un’unica fonte di energia (il gas russo nel caso di molti Paesi europei) e sono quindi molto vulnerabili alle interruzioni della fornitura o agli aumenti dei prezzi.

Se queste industrie di base sono in difficoltà, le ripercussioni possono farsi sentire più a valle nella catena di valore di produzione di altri settori. Secondo Allianz Trade, la crisi energetica rimarrà il più grande trauma per la redditività, in particolare per i Paesi europei.

Ai livelli attuali, i prezzi dell’energia potrebbero azzerare i profitti della maggior parte delle società non finanziarie, poiché il potere contrattuale sta diminuendo a causa del rallentamento della domanda.

Dato che il 2023 sarà un altro anno di turbolenze, con conflitti e disordini civili in primo piano, i rischi politici sono una new entry al 10° posto (13%). Oltre alla guerra, le aziende sono preoccupate anche per l’aumento delle interruzioni dovute a scioperi, sommosse e disordini civili, in seguito alla crisi del costo della vita in molti Paesi.

Nonostante il calo nella classifica rispetto all’anno precedente, le catastrofi naturali (19%) e il cambiamento climatico (17%) rimangono tra le maggiori fonti di preoccupazione per le aziende.

In un anno che ha visto il passaggio dell’uragano Ian (una delle tempeste più potenti mai registrate negli Stati Uniti), ondate di calore, siccità e tempeste invernali da record in tutto il mondo e perdite assicurate per oltre 100 miliardi di dollari, questi rischi sono ancora tra i primi sette a livello globale.

I principali rischi d’impresa per le aziende italiane

L’analisi della situazione italiana sottolinea una situazione piuttosto simile rispetto ai trend globali: in cima alla classifica vi sono infatti i rischi informatici, principale preoccupazione per il 47% dei rispondenti (rispetto al 34% nella classifica mondiale), con un trend stabile rispetto alla precedente rivelazione.

Al secondo posto si posizionano le preoccupazioni legate all’interruzione delle catene di fornitura. Nel nostro Paese risulta maggiore la preoccupazione legata alla crisi energetica, che riguarda il 32% degli intervistati e che entra nella classifica del 2023 posizionandosi al terzo posto (nella classifica mondiale è al quarto).

Più sentiti sono i rischi legati ai cambiamenti climatici, che preoccupano il 21% degli intervistati. Si tratta del quinto fattore di rischio più significativo per le imprese italiane (a livello globale occupa invece la settima posizione), in salita rispetto al decimo posto del 2022.

I rischi politici (guerra, terrorismo, sommosse) occupano invece l’ottava posizione, insieme ai i cambiamenti nei mercati (aumento della competizione/arrivo di nuovi operatori, fusioni e acquisizioni, stagnazione e fluttuazione del mercato) e incendi ed esplosioni.

I rischi d’impresa più significativi per il settore manifatturiero

Oltre al focus sui singoli Paesi, l’Allianz Risk Barometer 2023 contiene anche l’approfondimento su come cambiano i rischi percepiti nei diversi settori economici. Per quanto riguarda il settore manifatturiero (incluso automotive), in cima alle preoccupazioni delle aziende vi è il rischio di interruzione delle Supply Chain, che preoccupa il 65% dei rispondenti.

rischi informatici si mantengono stabili al secondo posto, mentre al terzo posto troviamo il rischio di incendi ed esplosioni. Al quarto e quinto posto si posizionano due nuovi trend rispetto alla rilevazione del 2022: i cambiamenti nello scenario macro economico (programmi di “austerity”, aumento del prezzo dei beni di consumo primari, inflazione/deflazione) e la crisi energetica.