Primo tavolo della moda, obiettivi export e formazione.

Pambianco news del 24 gennaio riporta l’esito del primo Tavolo della Moda sotto il governo Meloni, tenutosi a Palazzo Piacentini. Presieduto dal ministro Adolfo Urso, presenti il viceministro Valentino Valentini, i sottosegretari Fausta Bergamotto e Massimo Bitonci, i rappresentanti del ministero dell’Ambiente e Sovranità Energetica il viceministro Vannia Gava e della Cultura il sottosegretario Lucia Borgonzoni le associazioni di categoria e i sindacati del settore.

L’appuntamento era stato annunciato in occasione della conferenza stampa d’apertura di Pitti Uomo 103, presso la Fortezza da Basso. Si tratta della prima convocazione nell’ambito del Governo Meloni, dopo l’istituzione nel 2009 proprio su impulso di Urso (che all’epoca aveva la delega per il Commercio con l’Estero) e una successione, nel corso degli anni, frammentaria e spesso poco nota al di fuori degli addetti ai lavori. L’ultima convocazione risale alla scorsa estate, da parte Vice ministro dello Sviluppo economico Gilberto Pichetto Fratin, e precedentemente (nel 2021) dal Ministro Gianfranco Giorgetti, sotto il Governo Draghi. All’ordine del giorno, il supporto a un settore fortemente vessato dalle ripercussioni dell’emergenza sanitaria.

Questa volta organizzato dal Ministro delle Imprese e del made in Italy (Mimit) Adolfo Urso, al Tavolo della moda si sono incontrate tutte le componenti della filiera, dalla produzione agli showroom, fino alla distribuzione commerciale per fare il punto sugli effetti del caro energia e dell’inflazione sui consumi di un settore strategico per la nostra economia e tra i più importanti per formazione del Pil e occupazione. 

Durante la riunione, sono state presentate azioni che il Governo sta mettendo in campo per sostenere il settore e contrastare le nuove sfide globali tra cui la concorrenza sleale e la lotta alla contraffazione. Più in particolare Urso ha preannunciato l’adozione di incentivi per sostenere l’export puntando a politiche industriali in risposta alle nuove sfide cinesi e americane (Buy European) e la riforma del settore della formazione professionale, eccellenza della filiera italiana, con riforma degli ITS e la creazione del liceo del Made in Italy.

“L’industria italiana della Moda – ha dichiarato il Ministro nel suo intervento – è l’emblema del made in Italy nel mondo e rappresenta un comparto produttivo di enorme importanza per l’economia del nostro Paese e trova la sua esaltazione nella nuova denominazione del Ministero che significa una nuova e più significativa mission. La riunione di oggi arriva in un momento cruciale in cui stiamo preparando le basi di una politica industriale europea. Mercoledì sarò a Bruxelles per una serie di incontri per sostenere le posizioni dell’Italia e delle sue imprese, come le modifiche al Regolamento Ecodesign”.

I rappresentanti del settore hanno sollecitato misure per investimenti in sostenibilità, aiuti per la digitalizzazione, sostegni finanziari per export. Tutte richieste che verranno presentate dal ministro Urso alla riunione istitutiva del nuovo Comitato Interministeriale del Made in Italy nel mondo (Cimim) che si terrà giovedì prossimo.

“La situazione per il settore moda sul mercato interno è particolarmente preoccupante a causa dell’inflazione all’11,6%, e degli inevitabili aumenti di almeno il 15%, che i fornitori praticheranno a partire dalle prossime collezioni, del costo del denaro e della difficoltà delle imprese ad ottenere credito”. A dirlo è Giulio Felloni, Presidente di Federazione Moda Italia e presente appunto al Tavolo della moda.

“Una situazione – ha proseguito Felloni, riassumendo la congiuntura economica che fa da sfondo all’appuntamento istituzionale – difficilmente sostenibile per i negozi di moda che dovranno anche pagare una mensilità in più all’anno per l’adeguamento Istat ai canoni di locazione e che potrebbero trovarsi di fronte ad una generale contrazione dei consumi”.

Al Ministro, che ha presieduto l’incontro, gli enti hanno raccontato le preoccupazioni di un settore ancora convalescente dalla crisi pandemica, avanzando un pacchetto di proposte per ridargli slancio, a fronte di uno scenario denso di criticità, tra una pressione inflazionistica galoppante, lo spettro della recessione e la crisi energetica e logistica.

Tra le proposte, un intervento urgente sulle locazioni commerciali come, ad esempio, un credito d’imposta del 30%, così come avvenuto durante la pandemia, o l’introduzione della cedolare secca sugli affitti commerciali condizionati all’obbligo di una congrua riduzione dei canoni di affitto dopo accordo specifico tra locatore e conduttore.

Per il rilancio dei consumi, la Federazione ritiene poi indispensabile un ‘bonus moda’, come quelli già sperimentati per automobili e arredamento, per la consegna nei negozi di moda di prodotti usati dai consumatori e un’aliquota Iva agevolata del 10% sui prodotti fashion.

Riunire sinergicamente la filiera, dunque, dando voce ai suoi attori e alle sue esigenze e urgenze, anche all’indomani della crisi pandemica. Resta, però, ancora da delineare l’impatto effettivo che il Tavolo avrà sulla scelte governative legate al settore moda. A dare fiducia ai player, il background del capofila Urso, con un trascorso imprenditoriale e un coinvolgimento già dimostrato in passato nelle sorti dell’ente.

Rilanciata la presenza italiana in Nord America grazie all’Agenzia Ice

La giornata, dedicata alle iniziative di rilievo nazionale, si è aperta con l’Innovation Talk di Ceipiemonte, in cui sono intervenuti il presidente Dario Peirone, l’assessore regionale all’internazionalizzazione Fabrizio Ricca, e il Ceo di Italdesign Antonio Casu. A seguire, prima di prendere il centro dell’arena per una lunga sessione di pitch moderata dal giornalista Luca Barbieri, le startup del padiglione, assieme a una platea di professionisti, hanno ascoltato un Innovation Talk dal tema «The New Italian Manufacturing». Il professor Carlo Bagnoli, docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore dell’acceleratore VeniSIA, ha dialogato con tre rappresentanti dell’innovazione manifatturiera italiana: Barbara Sala, ceo della pmi innovativa Delcon, realtà di Bergamo attiva nel biomedicale che ha sviluppato con il New York Blood Center la bilancia per il sangue Milano, vincitrice del compasso d’oro; Enrico Zobele, presidente e ceo di Everel Group, azienda di componentistica che ha aperto un centro di Open Innovation; Mario Cammarota, manager R&D di Unox.

Introdotta dagli interventi della Console generale a Los Angeles Silvia Chiave e del Trade Commissioner Ita a New York e direttore esecutivo per gli Stati Uniti Antonino Laspina, e da uno speech del business futurist Alberto Mattiello, l’Italian Investor Night ha animato quindi l’Eureka Park con uno «Spritz&Pitch» che ha radunato innovatori e investitori internazionali in un’importante occasione di networking. Il Ces 2023 per l’Italia rappresenta un importante rilancio nel mercato statunitense, con il debutto nella più importante piazza dell’innovazione a livello mondiale di Innov.it, il primo Italian Innovation and Culture Hub nel mondo, inaugurato lo scorso ottobre al 710 di Sansome Street a San Francisco, Innov.it è uno spazio che aggrega le attività di sostegno agli ecosistemi tecnologici, scientifici e innovativi italiani con il suo Centro Innovazione, quelle di promozione della cultura e della lingua italiana dell’Istituto Italiano di Cultura, e quelle di promozione del Made in Italy all’estero e di internazionalizzazione delle imprese italiane di Ice.

Il Ces 2023

Quella del 2023 è un’edizione significativamente più grande rispetto al Ces 2022: 186 mila metri quadri di spazio espositivo, in aumento del 50%, 1000 espositori in più rispetto allo scorso anno, per un totale di 2400, pronti ad accogliere le più di 100 mila presenze attese nell’arco dei 4 giorni di expo. Un’edizione che vuole raccontare una tecnologia sempre più al servizio dei diritti umani, e che per la prima volta introdurrà la categoria prodotto Web3, che tiene insieme le tecnologie blockchain e il metaverso.

Il padiglione italiano

Oltre ai grandi marchi protagonisti delle esposizioni nella hall principale del Las Vegas Convention Center, sono 20 i paesi del mondo ad avere un padiglione dedicato nell’Eureka Park. Il padiglione Italia ospita una delegazione ricca e diversificata: dalla startup che ha creato una cover per smartphone con display per visualizzare una grafica personalizzata (cambiando quella invece di cambiare tutta la cover), ai parastinchi per giocare a calcio muniti di sensori che rilevano tutte le azioni e le giocate di chi li indossa, passando per un purificatore d’aria indossabile, un dispositivo di sblocco biometrico tramite onde cerebrali e tanti sistemi di intelligenza artificiale per processare grandi quantità di dati, scovando legami causali, formulando previsioni di comportamento o trovando il modo migliore per risparmiare energia.

Export: crescita su base annua in positivo (+21,2%)

Secondo un’indagine Istat, nel periodo gennaio-settembre 2022, la crescita su base annua dell’export è risultata molto sostenuta (+21,2%) e diffusa a livello territoriale, seppure con intensità diverse: l’aumento delle esportazioni è molto elevato per le Isole (+69,2%), intorno alla media nazionale per il Centro (+23,9%) e il Nord-ovest (+20,2%), relativamente più contenuto per il Nord-est (+17,7%) e il Sud (+15,3%). L’Istituto sottolinea che solo terzo trimestre 2022 si stima una crescita congiunturale delle esportazioni per quasi tutte le ripartizioni territoriali: +3,9% per il Centro, +2,0% per il Nord-ovest e +1,8% per il Nord-est.

Una contenuta flessione si rileva per il Sud e Isole (-0,6%). Nei primi nove mesi dell’anno, tutte le regioni italiane registrano incrementi delle esportazioni, a eccezione del Molise (-12,9%); i più marcati per Marche (+89,4%), Sardegna (+73,9%) e Sicilia (+66,7%). Il contributo più ampio alla crescita su base annua dell’export nazionale (5,4 punti percentuali) deriva dalla performance positiva della Lombardia (+20,5%).

Nello stesso periodo, l’aumento delle vendite di articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici da Marche e Lazio e di metalli di base e prodotti in metallo da Lombardia e Veneto spiega per 3,7 punti percentuali la crescita dell’export nazionale; un ulteriore contributo di 1,9 punti deriva dalle esportazioni di prodotti petroliferi raffinati da Sicilia e Sardegna. All’opposto, la contrazione dell’export di autoveicoli da Abruzzo, Lombardia, Toscana e Molise e di prodotti in metallo dalla Toscana fornisce un contributo negativo di 0,6 punti percentuali alla variazione delle esportazioni.

Nei primi nove mesi del 2022, i contributi maggiori alla crescita su base annua dell’export nazionale derivano dall’aumento delle vendite della Lombardia verso Germania (+24,1%), Stati Uniti (+37,5%), Svizzera (+33,2%) e Spagna (+28,4%), delle Marche verso il Belgio (+391,0%) e dell’Emilia-Romagna verso gli Stati Uniti (+44,8%). Apporti negativi, invece, provengono dal calo dell’export di Toscana (-15,6%), Friuli-Venezia Giulia (-72,0%) e Veneto (-12,1%) verso la Svizzera, di Lombardia e Piemonte verso la Russia (rispettivamente, -22,5% e -37,4%) e dell’Emilia-Romagna verso il Giappone (-15,9%).

L’analisi provinciale dell’export mostra performance positive per quasi tutte le province italiane: i contributi positivi più elevati si rilevano per Milano, Ascoli Piceno, Siracusa, Torino, Brescia, Cagliari, Vicenza, Modena, Bergamo e Bologna. Si segnalano dinamiche negative per Piacenza, Chieti, Massa-Carrara, Campobasso, Gorizia, Crotone, Caltanissetta e Palermo.

Gli investimenti in comunicazione e PR non si fermano con guerra, crisi energetica e inflazione

World Report ICCO 2022-23: guerra, crisi energetica e inflazione non fermano gli investimenti in comunicazione e PR.

Nel 2022 priorità date a ESGs (44% dei consensi), Relazioni con Influencer (36%) e Consulenza Strategica (30%). Globalmente indice di fiducia sulla crescita degli affari a 7.3 punti su 10, in Europa al 6.9, in UK 6.6. Per i prossimi 5 anni, a livello mondiale, aspettative dai settori Tecnologia (60%), Healthcare (51%) e Servizi Finanziari e Professionali (44%). A dirlo il World Report ICCO 2022-23.

Pandemia, guerra in Europa, crisi energetica, iperinflazione: nonostante tutto, rimane l’ottimismo per il futuro del comparto delle Relazioni Pubbliche che, in media a livello globale, registra – rispetto al 2021 – un lieve aumento della fiducia su crescita e profittabilità. Le aspettative maggiori arrivano dai settori della tecnologia, del farmaceutico e dei servizi finanziari unitamente ai servizi offerti in comunicazione degli ESGs, Relazione con Influencer e Consulenza Strategica. Infine, sfide importanti lato Risorse Umane perché aumentano le difficoltà a trattenere i talenti e motivare i più giovani.

Questo in sintesi è quanto si evince dal World Report ICCO 2022-23, indagine sviluppata dall’International Communications Consultancy Organisation che è l’organizzazione globale che riunisce le associazioni di consulenza in comunicazione e PR in rappresentanza di 70 Paesi, Italia inclusa grazie a UNA PR Hub. Tra i principali elementi dello studio emergono:

1. Gli intervistati, in rappresentanza di circa 3.000 agenzie di consulenza in comunicazione e PR, hanno decretato ottimismo sulla crescita del comparto se pur con sostanziali differenze tra le diverse aree geografiche. Il mercato del Nord America fa segnare 8.2 punti di fiducia su 10, quello dell’America Latina 7.9, Asia-Pacific 7.8, Africa 7.2, Middle-East 7.2, Europa 6.9 e UK 6.6. In Europa Occidentale, in risposta agli choc causati dalla guerra in Ucraina, le aziende del comparto contano con maggiore intensità sul continuo sviluppo di servizi legati a: 1. Comunicazione degli ESGs 2. Consulenza Strategica e 3. Relazioni con Influencer. I settori più promettenti per il futuro sono invece rappresentati da 1. Healthcare 2. Tecnologia 3. Servizi Finanziari e Professionali.

2. L’ottimismo sull’Outlook mondiale 2023 – la media globale è di 7.3 punti di fiducia su 10 – viene alimentato da tre fattori chiave: 1. La maggiore attenzione dei CEO sulla Reputazione Aziendale 2. La rinnovata sensibilità dei consumatori sul ruolo sociale dei brand (purpose) 3. Un’attesa profittabilità crescente del comparto delle RP. In Europa Occidentale, l’ottimismo è più contenuto – 6.9 punti su 10 – ma rimane sostanzialmente buono nonostante gli choc e le tragedie causate dalla guerra in Ucraina. Le opportunità principali in comunicazione sono legate alle sfide prioritarie che le aziende clienti sono chiamate a vincere, tra le quali emergono: 1. Sostenibilità 2. Diversità, Equità e Inclusione 3. Data Privacy e Diritti dei consumatori.

3. Sul fronte delle skill ritenute più importanti per il futuro della professione, a livello globale il report presenta una top tre composta da: 1. Consulenza Strategica 2. Purpose e ESGs 3. Consulenza e Comunicazione in caso di Crisi. In Europa Occidentale, si presentano le stesse priorità, nello stesso ordine di importanza, evidenziando una sostanziale interconnessione tra le sfide delle diverse aree geografiche.

“In un contesto senza precedenti caratterizzato da choc come guerra, crisi energetica e inflazione, in molti mercati europei il business delle relazioni pubbliche e della consulenza in comunicazione è stato solido e in continua crescita. Una delle ragioni credo vada identificata nell’evoluzione del ruolo del nostro comparto, chiamato – in tempi tragici e di cambiamenti epocali – ad aiutare aziende e istituzioni a definire autenticamente ‘chi’ sono e a comunicare chiaramente questa identità a tutti i loro stakeholder, interni e esterni. Il passaggio è quindi dal ‘perché’ un brand esiste a ‘chi è o vuole essere’. Questo comporta un legame indissolubile tra impegni aziendali, azioni concrete e comunicazione che oggi diventa quindi ancora più strategica” afferma Massimo Moriconi, Amministratore Delegato di Omnicom PR Group Italia e Presidente Europeo di ICCO.

“È gratificante vedere come il business delle relazioni pubbliche continui a crescere, nonostante le forti contro correnti. I professionisti del nostro settore, in Italia e all’estero, hanno saputo adattare le proprie skills, fornendo servizi che permettono ai clienti di gestire al meglio le tante sfide che devono affrontare”, conclude Martin Slater, Presidente di Noesis e membro del Board di ICCO come rappresentante UNA PR HUB.

Norma Uni per valorizzare i comunicatori: l’evento di Manageritalia per fare chiarezza.

“E’ importante che oggi siamo qui a parlare di comunicatori con altre Associazioni con le quali collaboriamo da tempo. La norma Uni è un primo determinante passo che ci ha visto tutti coinvolti per dare valore a una professione, come quella del comunicatore professionale, che opera con funzioni anche manageriali. Rappresentanza, valorizzazione del ruolo e un welfare personalizzato e personalizzabile sono alcuni dei punti cardine di quello che già facciamo per le alte professionalità che operano come executive o a stretto contatto con i vertici aziendali”. Così Donatello Aspromonte, vicepresidente Manageritalia executive professional, ha aperto i lavori dell’incontro ‘Professione comunicatore’, organizzato da Manageritalia executive professional coinvolgendo altre prestigiose associazioni del settore.
Rita Palumbo, Confcommercio Imprese per l’Italia/Asseprim, relatrice della norma Uni, ha aggiunto: “La norma Uni, che con tanto lavoro di squadra abbiamo reso concreta e ufficiale, definisce il comunicatore un manager in grado di gestire processi complessi. I contorni del comunicatore professionale sono ancora indefiniti. Partiamo dalla norma per dare ai comunicatori una dignità professionale che oggi è loro poco riconosciuta e che, invece, ha un’importanza determinante per il successo delle organizzazioni”.
L’indagine realizzata nei mesi scorsi da AstraRicerche per Manageritalia su un campione di oltre 500 comunicatori, dipendenti, autonomi o imprenditori, evidenzia il vissuto di questi professionisti. Cosimo Finzi, ceo AstraRicerche, ha spiegato, nella sintesi: “La parte più interessante della ricerca è quella relativa alle competenze: il 36% lamenta che le proprie competenze non siano pienamente utilizzate nella propria attività lavorativa e ben il 43.2% che non siano riconosciute da altri. Soprattutto è chiaro a tutti (82.2%) che le proprie competenze dovranno crescere o cambiare per fronteggiare il mercato del lavoro e le nuove sfide professionali già nei prossimi 3-5 anni, tanto che quasi tre intervistati su quattro (73.9%) affermano di essere interessati a un percorso di certificazione delle competenze”.
“Eppure – ha osservato Cosimo Finzi – solo il 26.8% conosce i contenuti della norma tecnica Uni 11483:2021. Altri due temi di interesse sono la percezione di avere un reddito non adeguato rispetto all’impegno richiesto (64%) e il desiderio di avere un’associazione dedicata alla professione de comunicatore in Italia (76,5%)”.
“La norma Uni – ha commentato Tiziana Sicilia, presidente Com&tec e presidente tekom Europe – è rilevante per il settore della comunicazione tecnica anche perché è un primo passo per vedere maggiormente riconosciuta la professionalità e per passare da una formazione qualificata a una certificata”.Sull’importanza della norma e di lavorare insieme le ha fatto eco anche Anna Rita Fioroni, presidente Confcommercio professioni, coordinatrice della cabina di regia Professioni Uni, che ha sottolineato come “le nuove tutele debbano riguardare anche le nuove professioni che nel mondo del terziario avanzato sono in rapida e continua evoluzione”.
“L’evento – ha spiegato Carlo Romanelli, presidente Manageritalia executive professional – è un primo passo che Manageritalia Executive Professional compie per valorizzare professioni vecchie e nuove che hanno nelle alte professionalità che operano fuori dal lavoro dipendente una componente importante. Tra queste ci sono di certo i comunicatori, uno dei segmenti sui quali vorremmo agire in verticale collaborando insieme alle altre principali associazioni, come fatto nel caso della norma Uni. Questa è quindi la roadmap per il futuro”.
L’incontro, seguito in platea e online sui social Manageritalia da quasi un migliaio di persone, ha coinvolto in due tavole rotonde anche Massimiliano Parboni, partner Barabino & Partner; Carlo Gardini, technical documentation manager in MG2; Virgilio D’Antonio, direttore del dipartimento di Scienze politiche e della comunicazione – Università di Salerno – SdC Network; Daniela Vellutino, docente dipartimento di Scienze politiche e della comunicazione – Università di Salerno.
A dare il benvenuto all’Università Marconi, Tommaso Saso, direttore marketing e relazione esterne e docente di Marketing e comunicazione d’impresa – Università G. Marconi.

Le istituzioni sui social media: il report DeRev

Un report pubblicato il 5 maggio 2022 da DeREv ha messo in luce il ruolo dei social media nella comunicazione istituzionale delle Regiorni e dei presidenti di Regione.

La comunicazione istituzionale sui social media ha un ruolo fondamentale per il coinvolgimento dei cittadini. Il mezzo digitale ha potenzialità enormi: permette di raggiungere platee molto ampie e di ingaggiarle in un’ottica di partecipazione attiva. Abbiamo analizzato l’efficacia della comunicazione sulle piattaforme social di Regioni e presidenti di Regione, scoprendo chi fa il miglior uso di questo canale per raggiungere i cittadini ed informarli. Una Regione o un presidente di Regione, infatti, non possono comportarsi come un esponente politico perché non si rivolgono unicamente a elettori o a sostenitori. Hanno, invece, la responsabilità di parlare a tutti i cittadini in quanto portatori di un messaggio istituzionale. Quante persone si riescono a raggiungere sui social media, e con quanta efficacia, rappresenta oggi un dato rilevante sotto il profilo democratico.

Perché indagare la comunicazione istituzionale sui social media
Come spiegato dal CEO di DeRev, Roberto Esposito, “la comunicazione digitale ha un estremo valore perché offre ai cittadini maggiori possibilità di esercitare pienamente i diritti correlati alla cittadinanza. Andrebbe quindi intesa propriamente come strumento di empowerment e abilitazione della partecipazione attiva”. Oltre al presupposto teorico, la comunicazione istituzionale sui social media è anche più efficace di qualsiasi altro canale di informazione, grazie alla diffusione che può garantire ai messaggi e agli algoritmi che consentono la profilazione degli utenti. Secondo quanto rilevato, c’è ancora molto margine di azione, in Italia, per migliorare le performance in termini di efficacia della comunicazione istituzionale. Basti pensare che molte Regioni, ancora oggi, non investono per promuovere i propri contenuti e incentivare il dialogo con i cittadini attraverso il marketing digitale.

Metodologia della ricerca
L’efficacia della comunicazione istituzionale sui social media è stata misurata sulle piattaforme Facebook, Instagram e Twitter. L’analisi ha preso in considerazione gli account ufficiali delle Regioni e dei presidenti, escludendo quelli dei consigli regionali, degli assessorati o i verticali di settore, nel periodo compreso tra l’1 gennaio 2021 e il 25 aprile 2022. Ne è stata ricavata una classifica nazionale sulla base del DeRev Score. Si tratta di un punteggio ottenuto da un algoritmo che tiene in considerazione tre parametri principali: l’ampiezza della community (numero di follower), la crescita della community su ciascuna piattaforma (percentuale di aumento del numero di follower) e l’engagement su ciascun canale social (percentuale di interazioni giornaliere).

La comunicazione istituzionale sui social media delle Regioni italiane
È la Lombardia la Regione italiana che meglio si comporta in termini di comunicazione istituzionale sui social media. Si mostra infatti capace, meglio di tutte le altre, di parlare con i propri cittadini, seguita da Lazio ed Emilia-Romagna. L’Ente, attualmente guidato da Attilio Fontana, totalizza il secondo risultato nazionale in termini di ampiezza della community (571mila follower totali), preceduta soltanto dalla Campania (665mila), ma supera nettamente l’Ente guidato da De Luca per tasso di engagement complessivo (9,3% contro 0,5%). Fanalino di coda, invece, per Valle D’Aosta e Trentino Alto Adige. Queste ultime, tuttavia, fanno parte del gruppo di Regioni che hanno scelto di investire maggiormente nella comunicazione verso l’esterno, sotto il profilo di marketing territoriale finalizzato all’attrattività e all’incoming turistico, piuttosto che sul dialogo con gli abitanti.

Le Regioni su Facebook
Dai risultati dell’indagine sulla comunicazione istituzionale sui social media si evince che Facebook è la piattaforma più diffusamente utilizzata sia dagli Enti regionali che dai presidenti di Regione. Tre Regioni registrano tassi di engagement particolarmente elevati: Lazio (29,07%), Lombardia (26,15%) ed Emilia-Romagna (23,74%) riescono a coinvolgere i propri cittadini nel flusso di informazioni istituzionali quasi 30 volte di più delle altre, che si fermano al risultato del Friuli Venezia Giulia di appena l’1,96% di engagement. Sul fronte dell’ampiezza della community, la parte da leone la fa la Campania con 665mila follower in totale, di cui 486mila su Facebook. La Campania è anche la Regione che ha fatto registrare una delle crescite maggiori (+127.956 follower nel periodo considerato), seconda soltanto alla Sicilia (+143.056).

La diffusione del messaggio in rapporto alla popolazione
Dai dati risulta evidente come alcune Regioni, tra le quali la Campania e la Sicilia, abbiano dato priorità all’ampiezza della community per cercare di parlare con quanti più cittadini possibili. Se si considerano tutte le piattaforme, l’Ente guidato da De Luca riesce a raggiungere l’11,72% della popolazione regionale. Un dato quasi eguagliato dalla Sicilia (11,17%) e superato soltanto dalla Liguria (12,98%), che però ha molti meno abitanti. Tuttavia, nonostante lo sforzo, Campania e Sicilia risultano penalizzate dalla scarsa partecipazione degli utenti. Risultano appena sotto le performance di Abruzzo e Basilicata che raggiungono, rispettivamente, il 10,28% e il 10,19% dei cittadini. Al contrario, realtà come quelle della Calabria e del Trentino Alto Adige mostrano scenari caratterizzati da una bassissima capacità di arrivare agli abitanti: appena lo 0,96% la prima e lo 0,51% la seconda.

Le Regioni su Instagram (e il fattore giovani)
Su Instagram è la Liguria a comportarsi meglio in fatto di engagement (2,70%), seguita dalla Toscana (1,89%), dalla Puglia (1,83%) e dalla Lombardia (1,71%). Anche su questa piattaforma, è la Campania ad avere il maggior numero di follower (145mila), seguita da Sicilia (93mila) e Lombardia (81mila) ma si tratta in entrambi i casi di numeri molto inferiori a quelli che si notano su Facebook. Segno che, a livello nella comunicazione istituzionale sui social media, le Regioni sono molto lontane dai giovani elettori e cittadini. I ragazzi, molto più propensi a frequentare piattaforme come Instagram e TikTok, ottengono soltanto una eco dello sforzo comunicativo dell’Ente. Da questo punto di vista, una nota di merito va al Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che è l’unico a possedere e a presidiare attivamente un account su TikTok.

Le Regioni su Twitter
Twitter si rivela una piattaforma marginale per la comunicazione istituzionale sui social media delle Regioni e maggiormente presidiata da alcuni governatori. Le community più ampie sono quelle della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, potendo contare, rispettivamente, su 120mila e 130mila follower. Tuttavia, le rilevazioni in riferimento all’engagement rilevano che si tratta di una comunicazione poco coinvolgente e quindi poco efficace. Non si va mai oltre lo 0,6%, che è il miglior risultato ed è totalizzato dalla Liguria.

­La comunicazione istituzionale sui social media dei presidenti di Regione
La ricerca di DeRev ha preso in considerazione anche la comunicazione istituzionale sui social media dei presidenti di Regione. Ne è emerso che le migliori performance siano quelle di chi ha profili di rilievo nazionale. La classifica risulta guidata da Luca Zaia, seguito da Vincenzo De Luca, Stefano Bonaccini, Nicola Zingaretti e Attilio Fontana. In particolare, dal raffronto tra le due analisi, è emersa l’attitudine dei governatori a concentrare gli sforzi sulla propria persona. Soltanto pochi governatori mostrano di credere maggiormente che la comunicazione istituzionale debba passare dall’Ente. Tra i primi c’è Zaia, che appare il più efficace nella comunicazione sui social media grazie alla capacità di generare molte interazioni (quasi 13 milioni su Facebook), ma guida una Regione che è soltanto 14esima nella propria classifica. Al contrario, altri come Vincenzo De Luca applicano all’Ente la stessa strategia e attenzione riservata alla propria comunicazione e focalizzata sulla crescita della community.

I presidenti di Regione su Facebook
De Luca vanta la community più vasta, che ammonta ad oltre 1,5 milioni di follower, seguito da Zaia (1,1 milioni) e, a notevole distanza, da Stefano Bonaccini (395mila). Il numero di follower della base della classifica dà la misura del gap: 3.700 follower per il presidente della Valle D’Aosta, Erik Lavavez, e 9.200 per Donato Toma che guida il Molise. In termini di engagement la fanno da padroni Nicola Zingaretti e Attilio Fontana, ma le rispettive community di 370mila e 243mila follower non sono neanche lontanamente paragonabili ai colleghi di Veneto ed Emilia-Romagna. La ricerca ha evidenziato che Zaia e De Luca hanno anche ottenuto la maggiore crescita di follower: 336mila il primo e 413mila il secondo. Infine, si segnala il risultato di Zaia in termini di interazioni: oltre 13 milioni, seguito da Bonaccini che ne ha totalizzate quasi 10 milioni e, molto lontano, da De Luca (5,7 milioni).

I presidenti di Regione su Instagram
È Luca Zaia il presidente di Regione che vanta la maggiore community su Instagram (490mila follower). Lo segue De Luca (407mila) e, molto indietro, Bonaccini che si ferma ad una community di 157mila follower. Si conferma così il dato già rilevato in occasione dell’analisi delle Regioni, con una comunicazione per lo più concentrata su Facebook e lontana dai giovani. La performance migliore in termini di engagement è del presidente dell’Emilia-Romagna (11,9%), seguito da Giovanni Toti (7,4%) e Zaia (6,3%). Anche su questa piattaforma il presidente del Veneto si distingue per ammontare di interazioni: oltre 14 milioni, con Bonaccini che ne totalizza 8,4 milioni e De Luca 4,3 milioni. Bonaccini e Zaia risultano anche i più prolifici in termini di produzione di contenuti: il primo ha pubblicato 3.458 post nel periodo considerato, il secondo 3.033. A seguire, quelli più prossimi sono De Luca (1.562 post) e Alberto Cirio (1.253 post).

I presidenti di Regione su Twitter
Se Twitter risulta una piattaforma è marginale per le Regioni, non lo è altrettanto per i presidenti. Zingaretti e Bonaccini, in particolare, devono il proprio posizionamento in classifica anche grazie a questo social media. Il presidente del Lazio vanta la community più ampia (582mila follower) che si configura come particolarmente ingente. A seguire, infatti, si rintracciano Michele Emiliano che però raggiunge appena 154mila utenti, Luca Zaia (130mila), e proprio Bonaccini con 128mila. Il presidente dell’Emilia-Romagna totalizza però più interazioni: 824mila contro le 252mila del collega del Lazio e le 206mila di Luca Zaia.

Confronto tra la comunicazione istituzionale sui social media delle Regioni e dei presidenti
In generale i presidenti di Regione fanno registrare numeri molto più alti rispetto a quelli dell’Ente che guidano, sia in termini assoluti che in percentuale, sia come interazioni che per numero di follower. La tendenza è quella di investire più sulla persona e meno sull’Istituzione. È una scelta sostanziale, considerato che entrambi i canali di comunicazione attingono allo stesso budget, ma che soltanto uno appartiene a un soggetto permanente, che resta patrimonio dei cittadini a prescindere dalle tornate elettorali. Come sottolineato dal CEO di DeRev, Roberto Esposito, “da un punto di vista strategico non è sbagliato puntare sulla forza comunicativa di chi guida un’Istituzione, ma bisognerebbe fare altrettanto con i canali ufficiali.

Mini-Program Altagamma: il Made in Italy su Wechat

VO+ Magazine del 15 Novembre 2022 riporta il Mini-Program Altagamma su WeChat, nell’ambito di una collaborazione tra la Fondazione, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (ICE).

Il progetto è stato pensato per uno sviluppo sulla piattaforma di messaggistica più diffusa della Repubblica Popolare Cinese, che integra diverse funzioni tra transazioni economiche ed acquisti online. Una community di 1,2 miliardi di utenti, fatto di consumatori cinesi più giovani e inclini all’uso del digitale rispetto agli occidentali, che rappresentano oggi il 34% del mercato di alta gamma.

Si stima che nel 2025 questa percentuale crescerà fino al 45%: un acquisto su due sarà, quindi, cinese. Anche a livello globale si assiste a un ringiovanimento delle fasce di età alto spendenti: l’espansione dei brand di alta gamma, per il 180%, sarà infatti determinata dalle Generazioni Y e Z (gli under 40).

L’iniziativa, a cui hanno aderito 75 brand soci di Altagamma, sviluppata con il supporto dell’agenzia cinese D1M, ha una durata di sei mesi e si prefigge di offrire ai consumatori cinesi una rappresentazione collettiva e coerente dell’Industria Culturale e Creativa Italiana, attraverso gli strumenti di comunicazione digitali e contemporanei che più si addicono ai consumatori giovani.

Attraverso 120 post verrà creato un racconto virtuale dei valori dell’alto di gamma italiano e delle attività dei marchi aderenti. Per il settore della gioielleria hanno attualmente aderito: Buccellati, Bulgari, Pomellato, Vhernier. «Il lancio del primo Mini-Program Altagamma ci rende particolarmente orgogliosi perché, con ben 75 imprese coinvolte, è un esempio virtuoso di iniziativa di sistema e bene esprime lo spirito collaborativo della Fondazione, sintetizzato dal nostro motto Cooperare per meglio Competere», ha affermato Matteo Lunelli, Presidente di Altagamma.

«Le nostre imprese hanno bisogno oggi di dialogare con i giovani consumatori cinesi che rappresenteranno quasi il 50% del mercato mondiale di alta gamma. In questo momento in cui permane l’impossibilità di visitare il nostro Paese, un social media come WeChat è uno strumento prezioso. La trasversalità dei settori rappresentati dai brand che convivono nel Mini-Program WeChat restituisce una visione corale della nostra eccellenza, contribuendo a creare un’immagine solida dell’Italia, fondata su bellezza, creatività e innovazione». Il formato scelto da Altagamma per la promozione dei suoi brand su WeChat è quello del Mini-Program, una sub-applicazione che ha conosciuto negli ultimi anni una rapida diffusione. Il Mini-Program offre ai brand la possibilità di ingaggiare gli utenti di WeChat attraverso modalità di interazione, di informazione e di entertainment, rimanendo sempre all’interno dell’app che gli utenti cinesi utilizzano quotidianamente.

INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE, LA SITUAZIONE IN ITALIA

Il rapporto ICE 2021-2022 evidenzia la prontezza delle imprese esportatrici italiane durante e dopo la pandemia, infatti l’Italia registra tassi di crescita migliori rispetto a quelli di altre grandi economie comparabili.

All’inizio del 2022 la crescita tendenziale ha registrato un positivo del 22,4%. Nei dati però va considerata l’inflazione che dopo anni, sta caratterizzando l’evoluzione dell’economia mondiale.

Positiva è anche la crescita in termini di volume dell’export del nostro Paese, i prezzi delle materie energetiche contribuiscono al forte rialzo del valore delle importazioni e si riflettono sul deterioramento dell’avanzo commerciale.

L’80% delle aziende esportatrici sono di piccole e medie dimensioni.

L’Agenzia ICE dal 2019 ha messo in atto 20 nuove azioni, rivolte ad ammodernare e rendere più fruibili i suoi servizi alle imprese; ha modulato durante la pandemia e accelerato dopo la pandemia le attività di servizio più tradizionali (fiere in Italia e all’estero e formazione). Queste azioni si traducono in un incremento di 1,55 volte delle imprese servite e di 2,79 volte dei servizi di assistenza erogati alle imprese.

 

Il Bonus Export Digitale

Tra gli incentivi per l’internazionalizzazione delle imprese, si segnala il Bonus Export Digitale, per il quale è stato prorogato il termine per la presentazione delle domande e che vede come beneficiarie le microimprese del settore manifatturiero italiano. Il termine era stato inizialmente fissato al 15 luglio 2022 ed è stato successivamente prorogato fino ad esaurimento delle risorse disponibili. Si tratta di un contributo a fondo perduto promosso dal Ministero degli Esteri e dall’Agenzia ICE che stimola l’internazionalizzazione delle microimprese attraverso soluzioni digitali. In questo articolo vi spieghiamo come funziona e a quanto ammonta l’agevolazione concessa.

 

AGEVOLAZIONE

Per l’acquisto di soluzioni digitali per l’internazionalizzazione, il Bonus Export Digitale mette a disposizione delle imprese un contributo a fondo perduto di 4.000 euro a fronte di un investimento di almeno 5.000 euro. L’incentivo si rivolge anche alle reti e ai consorzi a cui aderiscono almeno 5 microimprese. In questo caso, l’agevolazione sale a 22.500 euro a fronte di spese ammesse di importo non inferiore a euro 25.000.

 

Quali sono le spese ammissibili?

  • spese per la realizzazione di sistemi di e-commerce verso l’estero, siti e/o app mobile, ivi compresi eventuali investimenti atti a garantire la sincronizzazione con marketplace internazionali forniti da soggetti terzi;
  • spese per la realizzazione di sistemi di e-commerce che prevedano l’automatizzazione delle operazioni di trasferimento, aggiornamento e gestione degli articoli da e verso il web nonché il raccordo tra le funzionalità operative del canale digitale di vendita prescelto e i propri sistemi di Customer Relationship Management – CRM (ad esempio i sistemi API – Application Programming Interface);
  • spese per la realizzazione di servizi accessori all’ e-commerce quali quelli di smart payment, predisposizione di portfolio prodotti, traduzioni, shooting fotografici, video making, web design e content strategy;
  • spese per la realizzazione di una strategia di comunicazione, informazione e promozione per il canale dell’export digitale, con specifico riferimento al portafoglio prodotti, ai mercati esteri e ai siti di vendita online prescelti;
  • spese per digital marketing finalizzate a sviluppare attività di internazionalizzazione: campagne di promozione digitale, Search Engine Optimization (SEO), costi di backlink e di Search Engine Marketing (SEM), campagne di content marketing, inbound marketing, di couponing e costi per il rafforzamento della presenza sui canali social, spese di lead generation e lead nurturing;
  • servizi di CMS (Content Management System): restyling di siti web siano essi grafici e/o di contenuti volti all’aumento della presenza sui mercati esteri;
  • spese per l’iscrizione e/o l’abbonamento a piattaforme SaaS (Software as a Service) per la gestione della visibilità e spese di content marketing, quali strumenti volti a favorire il processo di esportazione;
  • spese per servizi di consulenza per lo sviluppo di processi organizzativi e di capitale umano finalizzati ad aumentare la presenza sui mercati esteri;
  • spese per l’upgrade delle dotazioni di hardware necessarie allo sviluppo di processi organizzativi;
  • ogni altra spesa per servizi strettamente connessi alle finalità del bando.

Le imprese che intendono accedere al Bonus Export Digitale, dovranno rivolgersi a fornitori abilitati e iscritti in uno specifico elenco, non pubblico e consultabile solo dalle imprese beneficiarie.

Le donne nel mondo dell’imprenditoria, la situazione dell’Italia a giugno 2022

Le imprese femminili in Italia a fine giugno 2022 sono 345.000, costituendo il 22% del totale.
Il V rapporto sull’imprenditoria femminile presentato da Unioncamere, il Centro studi Tagliacarne e Si.Camera rivela che l’impresa femminile si differenzia da quella maschile per caratteristiche, dimensioni e impiego.
Prevale l’occupazione nel settore dei servizi 66,9% rispetto al 55,7% di quelle maschili. Le imprese Stem sono ancora poco scelte dalle imprenditrici, inoltre le imprese femminili hanno minori dimensioni (il 96,8% sono micro imprese con fino a 9 addetti), la maggior diffusione è nel sud del Paese dove viene raggiunto il 37%. La regione con il maggior numero di imprenditrici è la Lombardia, seguita da Campania, Lazio, Sicilia e Veneto
A livello regionale è utile informarsi su bandi e iniziative, come quello della Camera di commercio del Gran Sasso dedicato alle imprese dell’Abruzzo composte da almeno il 60% di donne, oppure la Regione Lazio elargisce contributi a fondo perduto per la creazione di imprese costituite da under 35 e donne.
Iniziative di formazione e informazione sono fatte da Terziario Donna, che rappresenta e coordina le imprenditrici associate a Unione Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza.

Una guerra ai tempi dell’era digitale

“Net-war. Ucraina, come il giornalismo sta cambiando la guerra”, così si intitola il nuovo libro di Michele Mezza, che viene approfondito da un articolo del “Terzo Giornale”. Si approfondiscono dinamiche, società e cultura della guerra in quest’era digitale.

I comportamenti delle due parti – i cittadini ucraini e la truppa di Mosca, che per numero ed estrazione sociale rappresentano un campione significativo della società russa – appaiono come la diretta conseguenza delle rispettive culture e pratiche di autonomia sociali, prima ancora che dell’organizzazione militare: quelle della popolazione di Bucha, che pur in una condizione estrema ha trovato naturale ricorrere, individualmente o a gruppi, a tutte le risorse tecnologiche per concorrere alla difesa territoriale, contrapposte a quelle dei russi che invece ignorano le più elementari norme di sicurezza esponendosi al fuoco nemico. In entrambi i casi il motore di quei comportamenti è stato l’individuo digitale, o meglio il nuovo principio di cittadinanza che consente a una persona, in virtù dei sistemi digitali di cui dispone, di aumentare a dismisura le sue capacità e la sua intraprendenza.

Fondamentale risulta, approfondendo questa pista, la differenza su cui riflette Manuel Castells in Reti di indignazione e speranza: la differenza fra individuazione – che implica la progettualità di una persona tesa a rivolgersi, attivandole, a comunità e gruppi collettivi, come la rete tendenzialmente permette – e un individualismo fine semplicemente del proprio benessere personale. Seguendo queste due categorie possiamo anticipare l’ipotesi che gli ucraini agiscano secondo l’individuazione mentre i russi sono figli di un atavico individualismo centralizzato.

La novità è proprio l’affiorare, a livello di massa, di questa tendenza all’individuazione come categoria di governance territoriale, o meglio ancora, come cartina al tornasole per scorgere l’attitudine di una comunità a una sorta di mutualismo digitale che finalizza le risorse tecnologiche a una crescita del controllo sociale sullo Stato centrale. La rete è causa ed effetto di questo nuovo istinto sociale.

Sono proprio i modelli comportamentali che caratterizzano i due belligeranti ad aiutarci a comprendere le ragioni del sorprendente epilogo emerso nella prima fase della guerra, in cui la diversa interpretazione delle risorse tecnologiche comunitarie ha decretato sul terreno l’impasse della potente armata d’invasione russa. Come ci spiega nel suo contributo in appendice, l’ingegner Pierguido Iezzi, amministratore delegato di Swascan, una delle compagnie europee più accreditate nella pianificazione e analisi di cybersecurity, il potenziale di attacco digitale russo è risultato efficace nelle incursioni contro altri Stati europei, ma comunque segnato da una logica gerarchica centralizzata, dove si coglie una visione della tecnologia digitale come puro consumo individuale separato da qualsiasi logica cooperativa e collaborativa; un consumo appunto refrattario ad ogni forma comunitaria, esattamente come appare la società civile russa, atomizzata, priva da secoli di strumenti di partecipazione reale alla governance del Paese.

Nell’assetto gerarchico russo le tecnologie sociali indotte dall’intera scala in cui è organizzata una comunità evoluta – dalle famiglie ai quartieri, alle città, alle congregazioni religiose, fino alle categorie professionali o alle lobby di interessi – risultano compresse e irrigidite in una traduzione tutta gerarchica e autoritaria. La chiave che spiega le diverse attitudini, lo vedremo meglio più avanti, è legata alle pratiche di negozialità fra società civile e Stato centrale, che in Russia non vantano memorie e predisposizioni. Il risultato nelle esperienze digitali è che realtà e realizzazioni, per quanto evolute e sorrette da capacità e competenze di indubbio livello, rimangono poi prevalentemente inscritte in una logica di subordinazione gerarchica, come sono del resto gli hacker di San Pietroburgo, che pianificano le interferenze nei Paesi occidentali descritte da Pierguido Iezzi.

Al contrario, in Occidente, compresa l’Ucraina, la società digitale, seppur dominata da strozzature monopoliste, dove la proprietà di piattaforme e algoritmi tende a sovrapporsi a un libero gioco nella gestione di dati e profilazioni, rimane caratterizzata da un sistema di cooperazione e competitività comunitaria, in cui l’individuo è protagonista in quanto parte di un grafo sociale autonomo, come avrebbe detto Albert-László Barabási nel suo fondamentale Link. In quel testo l’autore spiega come la dinamica di una rete, rappresentabile appunto in grafi, nonostante la concentrazione della sua attività attorno ai nodi più condivisi, rimanga una potenza inedita e straordinaria nell’evoluzione del capitalismo industriale. Torniamo così alla distinzione fra individuazione e individualismo di cui parlava Castells.

Persino i proprietari delle piattaforme, da Google a Facebook ad Amazon, che proprio nella dinamica delle reti a invarianza descritte da Barabási inevitabilmente finiscono per accentrare progressivamente la maggiore rilevanza e quantità di relazioni, devono poi comunque trovare il modo di conquistare la complicità dei propri utenti, arrivando a camuffare o a distorcere le relazioni con il proprio pubblico. Ma è proprio questo sforzo che ci dice come il sistema reticolare non sia automaticamente controllabile e manipolabile dai proprietari.

La guerra dei joiners

Dinanzi a questa visione sociale della società digitale, la guerra in Ucraina diventa più nitidamente analizzabile nel suo apparentemente inspiegabile andamento, in cui sono contrapposte due realtà istituzionali asimmetriche. L’ottica digitale che a noi pare avere dato un timbro alla guerra, smentendo la previsione di una facile vittoria russa e stupendo il mondo per le forme e la pervasività di una mobilitazione sociale attorno al governo di Kiev, ha portato sul campo di battaglia abilità, saperi, competenze e soprattutto solidarietà e tradizioni nella cooperazione fra i diversi soggetti che intervengono nel combattimento, a volte persino a loro insaputa. Una cultura che la rete ci ha insegnato nei suoi ormai due decenni di guida delle nostre vite.

Stiamo parlando di quell’intelaiatura di relazioni e autonomie di cui parlava Charles Tilly, che vede lo Stato come dominus inter pares e non come dominatore nel gioco dei negoziati fra interessi e culture che in Occidente caratterizza le democrazie rappresentative rispetto alle autocrazie asiatiche, e che Alexis de Tocqueville definì in maniera impareggiabile “a nation of joiners”.

La straordinaria, quanto profetica, definizione che Tocqueville sceglie per definire quell’impasto fra piccola proprietà, grandi latifondi e autonomie locali che germina poi quello che saranno gli Stati Uniti, sarà anche il terreno di coltura di quel fenomeno che è stata appunto la “nascita della società in rete”, come la definisce Manuel Castells nel primo dei volumi che compongono la sua trilogia sull’età dell’informazione.

La forma di convergenza e occasionale cooperazione fra individui e grumi di interessi, in cui è la provvisorietà ad assicurare autonomia e indipedenza a tutti i soci, a differenza delle esperienze europee, e italiane in particolare, di collaborazione e cooperative fra lavoratori strutturate in apparati permanenti per acquisire e incrementare una piccola proprietà di terra o accedere vantaggiosamente a beni e servizi, fa crescere la figura dell’anonimo e momentaneo interlocutore che in rete si aggrega su un tema o una richiesta facendo montare la valanga fino a minacciare i giganti.

Quell’infinito mosaico di joiners che si ritrovano su ogni tema e argomento, per poi separarsi una volta raggiunto l’obiettivo, e magari scontrarsi fra gli ex compagni di avventura su un tema diverso, ha generato e poi protetto la crescita di quel fenomeno che abbiamo chiamato “i social”: le piattaforme di Facebook e TikTok cosa sono se non piazze globali dove joiners di tutto il mondo si incontrano per istantanee quanto addirittura sconosciute cooperazioni? La rete è una grande eredità di quei joiners americani che costringe, questa è la sua ambiguità, le comunità a seguire questo istinto per poterla praticare.

I grafi che misuravano le attività digitali, e che ora con la guerra sono sospesi, dicono che in Ucraina ci sono circa il triplo dei siti web che in Russia e il traffico punto a punto è più del doppio, nonostante la popolazione sia circa un terzo. Si tratta di un termometro attendibile della vitalità della composizione sociale, benché nel Paese rimanga ancora forte una struttura da clan legata a latifondi economici dove oligarchi, di stampo russo, controllano intere regioni in cui operano i singoli settori economici. Ma questa struttura a guglie viene articolata e temperata dalla stratificazione storica che ha portato in Ucraina ondate di popolazioni sia da Est, con le orde tartare e poi le successive invasioni dalle steppe russe, sia da Ovest dove polacchi e baltici hanno ridisegnato più volte le frontiere. Un ruolo nel rendere il profilo sociale del Paese più frastagliato e pluralista lo gioca anche la religione, che scompone trasversalmente, da sud-est a nord-ovest, le comunità secondo l’osservanza dei diversi riti ortodossi e le diverse professioni del credo cattolico.

La frontiera che è stata violata dalle truppe russe vede appunto da una parte un Paese in cui si stavano irrobustendo gruppi di joiners, persino grazie alle contrapposizioni territoriali e linguistiche che hanno caratterizzato gli anni precedenti la guerra, e dall’altra un profilo della società ancora indifferenziato, in cui il dispositivo militare amministrativo statale appare come il moloch che schiaccia i protagonismi sociali.

Da questa differenza trarremo le ragioni che, nella prima fase della guerra, hanno visto la resistenza ucraina maneggiare e ottimizzare al meglio quei sistemi digitali che reclamano sempre autonomia e indipendenza in chi li usa. Esemplificativo di questa realtà è stato il ruolo ad esempio dei sindaci delle diverse città ucraine occupate o liberate nell’ondivago andamento dei combattimenti. Personaggi che abbiamo visto affiancare persino i comandanti militari nell’organizzazione della resistenza attorno a Kiev, nelle prime due settimane, e poi lungo tutto quell’intricato fronte sud in cui ogni città diventava una fortezza medioevale da difendere per eventuali controffensive. La biografia di questi sindaci – prevalentemente sportivi o ex militari – e la loro popolarità – anche nelle regioni di lingua russa li abbiamo visti sostenuti e seguiti dalle popolazioni locali – ci fanno intendere come ogni città sia stata un centro ad alta autonomia che manteneva una propria identità e in alcuni casi, nelle zone di confine, persino una propria politica estera, diversa da quella del governo centrale, ma non per questo si separava dallo sforzo di resistere all’invasione russa.

Sul versante opposto vediamo muoversi un pachiderma, com’è il dispositivo militare e amministrativo russo, figlio di un Paese troppo grande per permettersi frammentazioni o decentramenti, dove le distanze sono dominate solo da grandi apparati di comando e comunicazione che fanno capo a un vertice isolato, il Cremlino.

Una struttura che avverte come unico collante il legame fra il singolo russo e la sua terra, quella porzione di territorio che può calpestare o controllare, ritagliandola con lo sguardo dall’indifferenziato orizzonte che da Sebastopoli, passando per la capitale, arriva fino a Vladivostok, ben undici fusi orari a oriente. In questa infinita pianura, dove terra e cielo non riescono a districarsi, la storia non ci ha mostrato alcuna significativa forma di autorganizzazione, se non quelle ataviche istituzioni di proprietà della terra che venivano cancellate o rivoltate dalla semplice volontà di un nobile, che abbia mai potuto parlare, non dico negoziare, con Mosca. Come sbottò nella prima metà dell’Ottocento il marchese di Custine, aristocratico francese certo non sostenitore delle più ardite teorie democratiche dinanzi all’autoritarismo del regime russo, “è un tale popolo che rende indispensabile un dominio così dispotico, o è un dominio così crudele che rende il popolo così poco maneggevole?”. Uno scenario sintonizzato perennemente sulla paura dell’invasore come unica identità attiva comune. Quello stesso sentimento a cui ricorse Stalin nel suo fatidico discorso del 3 luglio del 1941 per chiamare alla resistenza contro i nazisti quelli che apostrofò con l’inconsueta espressione di “sorelle e fratelli”. Un attaccamento ancestrale che ha portato i russi ad aver vinto tutte le guerre difensive, mentre sono stati sconfitti in tutte quelle offensive.

La difesa si basa infatti su un’automatica reazione che riesce a far parlare vertice e base, mentre l’attacco prevede una lucida formazione, una capacità di trasmissione e pianificazione delle ragioni per cui si esce dai propri confini. Tanto più se la guerra è una competizione di intelligence, come avremo modo di vedere, dove bisogna massificare i dati, moltiplicare gli occhi, gestire e combinare le informazioni.

Così George Friedman, direttore della rivista “Geopolitical Futures”, inquadrava, nel marzo del 2022, lo svolgimento della prima fase delle operazioni belliche: “L’Ucraina non ha un centro di gravità ma solo una fanteria sparsa, che non ha fornito alcun obbiettivo specifico da distruggere. Anche se si potrebbe considerare guerriglia, non lo è, e l’Ucraina ha sorpreso il nemico con la sua resistenza e imprevedibilità. L’aggressore può rispondere con attacchi brutali sulla popolazione ma così non lascia agli ucraini altra scelta che combattere. L’esercito russo non era organizzato per questa guerra, non l’aveva pianificata e non può che adottare provvedimenti brutali contro i civili”. La commistione dei comportamenti della popolazione ucraina con i linguaggi dell’informazione digitale ci svela la natura e la matrice di questa imprevedibilità che ha così sorpreso i russi. E non solo.

Come Gramsci scrisse nei suoi commenti dopo la conclusione della prima guerra mondiale, nel 1919, che i cinque anni che infiammarono l’Europa valevano come cinque secoli di storia per il Vecchio continente per il loro impatto dirompente su equilibri e organizzazione degli Stati, così oggi i mesi della guerra in Ucraina che hanno sconvolto il 2022 ci sembrano bruciare decenni del pur frenetico tempo del XXI secolo, in cui le sorprese della storia ormai non ci sorprendono più.

In questo terribile anno che doveva segnare la ripresa, dopo i mesi della pandemia, siamo diventati tutti più insicuri e aggressivi per esserci trovati a contatto diretto con la linea del fuoco come non ci era mai capitato nelle precedenti esperienze di combattimenti, neanche in quelle più vicino ancora, come fu la Jugoslavia. Non solo l’evoluzione della rete ci ha fatto seguire le scie di morte dei missili che colpivano bersagli fra le folle umane, ma la dinamica di quelle azioni, l’osservazione e la trasmissioni di quelle immagini ci mostravano civili come noi, giornalisti o semplici testimoni, che giostravano con sistemi quali quelli che noi usiamo tutti i giorni – dagli smartphone ai droni commerciali, dai sistemi di tracciamento alle app comunitarie – che erano parte dei combattimenti, interferendo e alterando la stessa guerra.

L’informazione è diventata […] logistica militare. E questa evoluzione è possibile perché la struttura sociale reclama oggi decentramento delle informazioni e partecipazione alle decisioni, persino in guerra, sicuramente sul territorio, inevitabilmente nelle istituzioni. Si fa politica spalmando il potere lungo tutta l’organizzazione dei consensi. Si fa la guerra collegando lo specialista militare con le capacità del cittadino digitale.