Covid-19: quali misure per il mercato della comunicazione?

di Rita Palumbo

Stiamo vivendo una pandemia che cambierà sostanzialmente stili di vita, modelli produttivi e scala di valori.

Che cosa sta succedendo al mondo del lavoro? Si lavora in smart working, si stanno sperimentando artigianali strategie di digital trasformation delle nostre organizzazioni, si sta abusando della Rete, si elaborano le prime statistiche sui nuovi modelli produttivi, si sta producendo una vasta letteratura sugli scenari politici economici e sociali del futuro prossimo.

Ma che cosa è realmente successo dal 23 febbraio al mondo del lavoro e in particolare al settore della Comunicazione?  

Da un giorno all’altro il mercato si è fermato. Le aziende, i nostri clienti, hanno dovuto prima rallentare e poi ridurre drasticamente la produzione. Le nostre agenzie – e non solo quelle impegnate nel comparto degli eventi – da un giorno all’altro, hanno visto svanire contratti e incarichi. Per molti lo smart working è diventato part time e il part time l’anticamera del licenziamento.

Non è una novità. Abbiamo già vissuto la cosiddetta “grande crisi” iniziata nel 2008 in Usa e arrivata in Italia con effetti devastanti nel 2011. Allora le nostre imprese pagarono un prezzo altissimo. Da allora il mercato della Comunicazione ha visto una crescita esponenziale di soggetti professionali individuali che offrono servizi e consulenza in modo discontinuo, rincorrendo incarichi che i committenti non valorizzano e che retribuiscono sempre meno e sempre peggio. Le nostre agenzie hanno dovuto adottare modelli di business con strutture agili, leggere, a bassi costi di gestione. Il tutto a dispetto dello sviluppo strutturale del settore, della crescita sana dell’occupazione e della produzione di valore economico. 

Stavano rialzando la testa. Stavamo contribuendo a rafforzare il nostro sistema produttivo con competenze qualificate e nuovi linguaggi digitali. Stavamo crescendo. 

Da un giorno all’altro tutto è cambiato. 

Che cosa fare? 

Come Rete delle Associazioni della Comunicazione abbiamo offerto al Governo le nostre competenze per collaborare a gestire l’emergenza, per contribuire alla ricostruzione dell’immagine e della reputazione del Sistema Italia. Siamo sicuri di dover fare la nostra parte. Siamo sicuri dell’utilità di un’interlocuzione continua e virtuosa con le Istituzioni. Così come siamo sicuri che – pur riconoscendo lo sforzo che sta facendo il Governo – alcune misure non possono essere sufficienti. 

Nel comunicato stampa diramato dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2020:  COVID-19, MISURE STRAORDINARIE PER LA TUTELA DELLA SALUTE E IL SOSTEGNO ALL’ECONOMIA, si legge 

“…  è riconosciuto un indennizzo di 600 euro, su base mensile, non tassabile, per i lavoratori autonomi e le partite IVA. L’indennizzo va ad una platea di quasi 5 milioni di persone: professionisti non iscritti agli ordini, co.co.co. in gestione separata, artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri, stagionali dei settori del turismo e degli stabilimenti termali, lavoratori del settore spettacolo, lavoratori agricoli …”;

“… è istituito un Fondo per il reddito di ultima istanza con una dotazione di 300 milioni di euro come fondo residuale per coprire tutti gli esclusi dall’indennizzo di 600 euro, compresi i professionisti iscritti agli ordini …”;

“… facilitazione per l’erogazione di garanzie per finanziamenti a lavoratori autonomi, liberi professionisti e imprenditori individuali …”;

“… rafforzamento dei Confidi per le microimprese, attraverso misure di semplificazione …” 

“… estensione ai lavoratori autonomi e semplificazione dell’utilizzo del fondo per mutui prima casa …; 

“… l’istituzione di un fondo emergenze spettacolo, cinema e audiovisivo e ulteriori disposizioni urgenti per sostenere il settore della cultura …”;  

“… Sospensione, senza limiti di fatturato, per i settori più colpiti, dei versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria per i mesi di marzo e aprile, insieme al versamento Iva di marzo. I settori interessati sono: turistico-alberghiero, termale, trasporti passeggeri, ristorazione e bar, cultura (cinema, teatri), sport, istruzione, parchi divertimento, eventi (fiere/convegni), sale giochi e centri scommesse….; 

“… la sospensione fino al 31 maggio 2020 dei versamenti dei canoni di locazione e concessori relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali per le associazioni e società sportive, professionistiche e dilettantistiche, che operano sull’intero territorio nazionale…; 

“… misure straordinarie urgenti a sostegno della filiera della stampa …”; 

 

Misure lodevoli per molti comparti. Ma se 600 euro sono un impegno notevole per le casse dello Stato restano un obolo per chi li riceve. E ancora: perché non ci sono misure specifiche a supporto delle aziende della Comunicazione, della Pubblicità e delle Relazioni Pubbliche? L’intero comparto, includendo tutto il mondo digital, è rappresentato da oltre 60mila tra società di capitali, ditte individuali e partite Iva, che danno lavoro a circa 250mila soggetti con varie formule contrattuali, il tutto per un giro di affari che supera i 15 miliardi di euro all’anno. Un comparto che produce valore tangibile e contribuisce a costruire e a preservare la reputazione del Sistema Paese.

Al via il gruppo di lavoro per la riforma della legge 150/2000

di Rita Palumbo

Oggi, 9 gennaio 2020, al Dipartimento della Funzione Pubblica per l’Amministrazione Aperta nasce il gruppo di lavoro per la riforma della legge 150/2000 sulle attività d’informazione e comunicazione nelle amministrazioni pubbliche e la Social Media Policy nazionale.
Il gruppo, voluto dal Ministro Fabiana Dadone, coordinato da Sergio Talamo Formez e PA Social, ha visto la partecipazione di Ferpi e degli altri protagonisti del mondo del giornalismo e dei corsi di laurea di Scienze della Comunicazione.
I temi: trasparenza, dati aperti, accountability degli amministratori pubblici, servizi digitali e competenze nelle PA per la partecipazione dei cittadini. Clima collaborativo e precise parole d’ordine: ascolto, deontologia e formazione, ma soprattutto distinzione dei ruoli e delle funzioni tra giornalisti e comunicatori per una riforma della Legge 150/2000 che definisca, in maniera adeguata ai tempi, vecchi e nuovi profili professionali e sia di riferimento per la valorizzazione economica di entrambe le professioni anche nella contrattazione collettiva.
Serrati i tempi di esplorazione delle varie proposte di modifica normativa; obiettivo è arrivare ad un’intesa tra i vari soggetti di rappresentanza sulle evoluzioni delle professioni giornalistiche e della comunicazione nelle PA.
Ringraziamo il Ministro Dadone, il coordinatore del gruppo di lavoro Sergio Talamo e Stefano Pizzicannella, che coordina il Piano Nazionale per l’Open Government, per aver dato vita ad un gruppo di lavoro che coinvolge – alla pari – tutti i soggetti interessati in questa sfida che porterà ad una concreta apertura e al rinnovamento dei linguaggi istituzionali per la comunicazione pubblica in Italia.

Giornalisti, comunicatori e salvataggio INPGI: facciamo chiarezza. Anzi avviamo il confronto

di Rita Palumbo

La fine di ogni anno è dedicata ai bilanci. Sulla “questione INPGI”, invece, si è ai primi passi di un percorso che non sarà certo facile.
Le questioni sono tante e troppi gli interessi di parte, ma la conferenza stampa congiunta promossa dalle Reti delle associazioni della comunicazione è stato un segnale forte e chiaro che non è stato ignorato dai media: trasparenza, informazione e coinvolgimento su decisioni che riguardano le differenze tra la professione del giornalista e quelle dei comunicatori, i contratti collettivi nazionali di lavoro consolidati nel tempo e il sistema previdenziale pubblico.

Confronto istituzionale, quindi, per salvaguardare ruolo, diritti e pensioni dei comunicatori. Solidarietà e volontà a sostegno di ruolo, diritti e pensioni dei giornalisti. La proposta, fino ad ora ignorata dalle Istituzioni: un Tavolo Tecnico istituito dal governo che coinvolga tutti i soggetti interessati, non solo giornalisti e comunicatori ma anche gli istituti di previdenza pubblica e privati e gli esperti della materia.

La conferenza stampa congiunta tra le associazioni della comunicazione è riuscita a sottolineare che la questione “salva INPGI” non riguarda sono i comunicatori, ma sia il diritto alla tutela previdenziale di tutti, sia la sostenibilità nel lungo termine degli enti previdenziali.
Tutte le proposte legislative – per fortuna fino ad ora bocciate – sono state poco chiare sulla sostenibilità finanziaria e soprattutto sulla legalità dell’operazione: perché (tentare di) salvare un Istituto previdenziale privato con i contributi di un numero indefinibile di contribuenti, generando una perdita per l’INPS di circa 100milioni all’anno? Perdita che graverebbe su tutti i cittadini italiani in termini di fiscalità generale, senza contare il numero elevatissimo dí ricorsi a cui si andrebbe inevitabilmente incontro. E comunque 100milioni all’anno non basterebbero all’INPGI che ha un fabbisogno annuale di 180 milioni.

Questa è la reale situazione, non quella prodotta dalla campagna di disinformazione fatta ad arte per nascondere le conseguenze di un provvedimento legislativo imposto e non condiviso.
Le domande sono d’obbligo: perché privilegiare una categoria a dispetto di un’altra? E soprattutto, perché i rappresentanti delle associazioni del mondo della comunicazione non sono mai state coinvolte? Le proposte legislative fino ad ora presentate rispondono ad un mero modello contabile che punta soprattutto ad evitare il commissariamento dell’INPGI e forse a nascondere anche informazioni fondamentali, come quelle della Corte di Conti che nella recente relazione quadrimestrale delle SEZIONI RIUNITE IN SEDE DI CONTROLLO (Presiedute da Enrica Laterza) sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri. Leggi pubblicate nel quadrimestre maggio – agosto 2019 (articolo 17, comma 9, della legge 31 dicembre 2009, n. 196), riportata sul sito https://banchedati.corteconti.it/documentDetail/SSRRCO/16/2019/RQ alle pagine 23 e 24 viene così testualmente citata la norma contenuta nell’art. 16 quinquies della legge Crescita del 28 giugno 2019 n. 58, riguardante l’ingresso nell’INPGI dei comunicatori a partire dal 2023:
Quanto a singole coperture poi, per l’art. 16-quinquies, comma 2 in particolare (INPGI), a parte la scarsa chiarezza del meccanismo normativo basato su ipotesi, si registra una compensazione a valere dei minori oneri di cui al provvedimento quali si dovrebbero registrare a partire dal 2023: non viene individuata però una misura specifica che sia in grado di fornire, a partire dall’esercizio citato, le necessarie disponibilità, di cui è ignota peraltro la natura (se si tratti cioè di risorse di bilancio ovvero di autorizzazioni legislative di spesa)“.
L’allargamento per legge della platea contributiva dell’INPGI non ha alcun equilibrio, da qualsiasi angolazione venga esaminato. E di questo parere sono anche il presidente INPS Pasquale Tridico, l’economista e già presidente INPS Tito Boeri e il Consigliere Economico della Presidenza del Consiglio, Alberto Brambilla.

Ultimo, ma non certo per importanza, tema nodale della questione riguarda le differenze tra le professioni del giornalista e quelle dei comunicatori. Per usare una metafora: l’Informazione e la Comunicazione sono due binari paralleli di un sistema ferroviario a tecnologia avanzata, che solo in alcuni punti si intersecano. Questi punti di incontro non hanno nulla a che fare con la previdenza. E nessun tipo di confronto sulla complessità delle nostre professioni può partire dal salvataggio dell’INPGI. Quindi ricominciamo daccapo: le nostre parole d’ordine sono realismo, fattibilità, rispetto del lavoro e dei diritti di tutti. Solo a queste condizioni potremo parlare di mercato, di previdenza e di evoluzione tecnologica e avviare un confronto che punti alla valorizzazione delle nostre professioni.

Guarda il video della conferenza.

Articoli sul tema:

Sul tema:

https://www.ferpi.it/news/inpgi-i-comunicatori-chiedono-chiarezza-urgente-costituire-un-tavolo-tecnico

Salvataggio INPGI: i comunicatori non possono risanare la cassa previdenziale dei giornalisti

INPGI: i comunicatori contro l’allargamento della base contributiva e la strumentale generalizzazione

Salvataggio INPGI: la ferma opposizione delle associazioni della comunicazione

INPGI e Decreto Crescita: la verità sul salvataggio

Giornalisti e comunicatori, necessario lavorare insieme per ridefinire le nuove professioni

Norma-ponte per salvare l’INPGI

INPGI: i comunicatori chiedono chiarezza. “Urgente costituire un tavolo tecnico”

Il giornalismo e la comunicazione sono professioni profondamente diverse, per scopo e modalità di produzione. Unificare queste professioni a livello prima previdenziale nell’INPGI e poi contrattuale, teorizzando un ipotetico contratto per giornalisti-comunicatori, è illogico e privo di fondamento sia sul piano professionale sia sul piano lavoristico-contrattuale.
Questo il punto di partenza della conferenza stampa indetta oggi a Roma dalle Reti delle Associazioni dei comunicatori.
Le Associazioni contrastano il disegno di legge che prevede l’ingresso nell’INPGI dei comunicatori, in primo luogo perché tutto è stato fatto a insaputa dei diretti interessati e delle Associazioni che li rappresentano. Poi perché non c’è nulla di chiaro. Quali strumenti sarebbero messi in atto per individuare quei professionisti che svolgono attività pertinenti alla Comunicazione con contratti di subordinazione afferenti ai CCNL di settore? Che cosa si prospetterebbe loro entrando nell’INPGI? Le ricadute sul mercato sarebbero pesantissime, sia sul welfare sia sui livelli occupazionali.
Le Reti delle Associazioni dei comunicatori si sono mosse per tutelare i propri iscritti, ma anche il sistema previdenziale pubblico e, quindi, stanno agendo per tutelare i diritti di tutti gli italiani. A detta del presidente dell’Inps Pasquale Tridico, dell’economista ed ex presidente dell’Inps Tito Boeri, del Consigliere economico alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Alberto Brambilla e di altri rappresentanti di istituzioni interessate, esperti e gruppi politici, allargare la base contributiva dell’INPGI è un’idea sbagliata che avrebbe conseguenze negative non solo per gli interessati. Tutti hanno a cuore il futuro dei giornalisti e del loro ente previdenziale, che vanno tutelati, ma non a discapito dei comunicatori.
In chiusura della conferenza stampa congiunta, i rappresentanti delle Associazioni dei comunicatori hanno illustrato i loro obiettivi: fare chiarezza sulla fattibilità dell’operazione, ribadire una ferma opposizione a qualsiasi operazione legislativa di natura puramente contabile che punterebbe a privilegiare una categoria a dispetto di un’altra, esigere un Piano strategico di lungo periodo per salvaguardare le pensioni, non solo dei comunicatori, ma anche quelle dei giornalisti. Ecco perché è urgente che le Istituzioni costituiscano al più presto un Tavolo Tecnico per discutere – con tutti i soggetti coinvolti – del futuro dell’Informazione e della Comunicazione. Alla pari.
Presenti alla conferenza stampa congiunta:

  • Maurizio Incletolli, Presidente ASCAI – Associazione per lo sviluppo della Comunicazione Aziendale
  • Mario Mantovani, Presidente CIDA – Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità,
  • Tiziana Sicilia, Presidente COM&TEC – Associazione italiana per la comunicazione tecnica
  • Angelo Deiana, Presidente CONFASSOCIAZIONI – Confederazione Associazioni Professionali
  • Rita Palumbo, Segretario Generale FERPI – Federazione Relazioni Pubbliche Italiana
  • Andrea Cornelli, Vicepresidente UNA – Aziende della Comunicazione Unite

Salvataggio INPGI: i comunicatori non possono risanare la cassa previdenziale dei giornalisti

I vertici dell’INPGI, l’Istituto di Previdenza dei Giornalisti “Giovanni Amendola”, lo dichiarano in ogni occasione: i conti dell’Istituto saranno messi in sicurezza con l’allargamento della platea contributiva ai Comunicatori. Dichiarazioni che vanno in senso contrario a quanto previsto dalla Legge in vigore – la n. 58 del 2019 che ipotizza il salvataggio dell’Istituto in termini del tutto diversi e solo a valle di una serie di azioni di riforma – e in beffa a qualsiasi diritto degli stessi Comunicatori, che non sono stati nemmeno ascoltati dalle Istituzioni, benché la partita in gioco riguardi anche la loro occupazione e il loro futuro pensionistico.
Si tratta di un’operazione che suscita molte perplessità, non solo per l’approccio, ma soprattutto per la sostenibilità, come ha ribadito anche il presidente dell’INPS Pasquale Tridico, intervenuto all’assemblea CIDA che si è svolta il 4 dicembre a Roma. I motivi della non sostenibilità di questa proposta – come riportato dai media – sono stati ben sintetizzati dal presidente Inps Pasquale Tridico che, sollecitato dal presidente Mario Mantovani, ha detto: “Lascia molti dubbi e perplessità questa idea. Le critiche mosse rispondono alle mie stesse preoccupazioni. L’operazione di portare fuori dall’Inps questa categoria porrebbe due difficoltà: una iniziale che consiste nella definizione della categoria dei comunicatori, l’altra è quella finale della sostenibilità.  A mio parere è molto rischioso e sarebbe certamente più sostenibile lasciarli all’interno dell’Inps, che è il welfare degli italiani. I comunicatori sono anch’essi contribuenti dello Stato sociale italiano e hanno tutto il diritto di avere una pensione sicura domani. Reputo quindi che sia più sostenibile lasciarli all’interno dell’Istituto che rappresento”.

CIDA, CONFASSOCIAZIONI, FERPI, UNA, ASCAI, COM&TEC e IAA – ovvero le associazioni più rappresentative del mercato della Comunicazione – sono impegnate da mesi a fare chiarezza sull’operazione “salva-INPGI” per evitare “la deportazione contributiva” di migliaia di Comunicatori, sostenendo – numeri alla mano – che comunque non si riuscirebbe a risanare le casse dell’Istituto.

Questi i numeri.

Assestamento 2019: meno 169 milioni di euro di squilibrio previdenziale, che nel 2018 ha registrato meno 149 milioni. Liquidità a fine settembre 2019: meno di 400 milioni di euro in titoli vari a valori di mercato, oltre agli immobili sempre più difficili da collocare senza una considerevole riduzione del valore. Fabbisogno di liquidità aggiuntiva: non meno di 180 milioni all’anno, cifra destinata ad aumentare per chiusure, licenziamenti, ammortizzatori sociali e nuovi prepensionamenti, che – sembra – siano in arrivo grazie all’intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Andrea Martella.

Quindi, anche analizzando solo i numeri, l’INPGI avrebbe poco più di due anni di “respiro” e, soprattutto, non potrebbe essere salvata nemmeno se riuscissero a “scippare” i contributi dei Comunicatori dall’INPS.

La legge in vigore n.58 del 28 giugno-2019, all’Art. 16-quinquies recita “…. per evitare effetti negativi in termini di saldo netto da finanziare… sono accantonati e resi indisponibili nel bilancio dello Stato i seguenti importi: 159 milioni di euro per l’anno 2023, 163 milioni di euro per l’anno 2024, 167 milioni di euro per l’anno 2025, 171 milioni di euro per l’anno 2026, 175 milioni di euro per l’anno 2027…”
E poiché i numeri non si interpretano, ma si leggono per quel che sono, nonostante gli accantonamenti non si riuscirebbe a coprire nemmeno il fabbisogno corrente. E a rischio sarebbero le pensioni non solo dei giornalisti ma anche quelle dei comunicatori
Evidenziata la non sostenibilità dell’operazione “forzata e ingiusta”, ci sono altri temi che le Istituzioni competenti – il ministro del Lavoro Catalfo e il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Martella – dovrebbero tener ben presente: quanti e quali sono davvero i Professionisti identificabili come Comunicatori nel nostro Paese e la ricaduta che un’imposizione legislativa così miope avrebbe sull’occupazione dei Comunicatori e sui contratti collettivi nazionali di lavoro. La necessità di un confronto con le associazioni che rappresentano il mondo della Comunicazione non è più rinviabile.

 

Comunicare in Europa: al via gli incontri all’Università di Salerno

Quanto è importante la terminologia istituzionale per l’accesso ai servizi pubblici digitali? Dove nascono i termini dell’italiano istituzionale? Qual è la strategia comunicativa di #ComunicaItalia, il nuovo sito dedicato a comunicatori, addetti stampa e social media manager per sensibilizzare i professionisti della comunicazione pubblica al valore che assume la promozione dei servizi digitali nel percorso di trasformazione della pubblica amministrazione italiana?
Questi i temi di riflessione discussi all’Università di Salerno nel ciclo di incontri “Comunicare in Europa”, promosso dall’Osservatorio sulla Comunicazione della Pubblica Amministrazione in Italia e in Europa del Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione (PoliCom), di cui è responsabile scientifico Daniela Vellutino, docente di Italiano istituzionale al corso di laurea di Scienze della Comunicazione e Comunicazione pubblica e Linguaggi istituzionali al corso di laurea magistrale in Corporate Communication e Media.
Gli incontri, con il patrocinio dell’Agenzia per l’Italia Digitale e sono promossi in collaborazione con l’Associazione Italiana di Terminologia (Ass.I.Term) e l’Open Government Forum, organismo coordinato dal Dipartimento per la Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si terranno:

  • lunedì 2 dicembre, con la partecipazione di Paola Rizzotto (Dipartimento Lingua Italiana, Commissione Europea), Angela Creta (Comunicazione e Relazioni Esterne, Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), Licia Corbolante (terminologa e curatrice del blog Terminologiaetc).  L’obiettivo del primo incontro è di riflettere sull’importanza di standardizzare la terminologia istituzionale fin dalla sua origine nei documenti UE in modo da creare risorse linguistiche utili ai servizi pubblici digitali.
  • lunedì 16 dicembre, con la partecipazione di Gabriele Ciasullo (Servizio “Banche dati e Open Data” dell’Area “Architetture, standard e infrastrutture”, Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), Nicola Mastidoro (esperto di trattamento automatico della lingua, Corrige.it e Com&Tec), Claudio Nobili (Docente di Italiano e Linguaggi Specialistici, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Salerno). L’obiettivo del secondo incontro è quello di riflettere sull’importanza della semplificazione dei testi amministrativi e sulla creazione di repertori dei termini istituzionali in lingua italiana.

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Relazioni Pubbliche: le previsioni di mercato 2020

Attese positive per il futuro del comparto delle Relazioni Pubbliche anche se con toni più cauti rispetto a un anno fa, è quanto si evince dal World Report ICCO 2020, l’Indagine sviluppata dall’International Communications Consultancy Organisation – l’organizzazione globale che riunisce le Associazioni di Categoria di 66 Paesi, cui ha partecipato anche Assorel, socio italiano e fondatore di ICCO.

Le singole Associazioni, in rappresentanza di circa 3.000 imprese di Comunicazione e PR, hanno sottolineato alcuni dei fattori principali che determinano sfide e opportunità per il comparto, tra i quali emergono: la crescente necessità per le aziende di dimostrare il proprio “ruolo sociale” (Purpose), Climate Change, Diversity & Inclusion, Data Privacy, l’etica nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e il rapporto tra giovani e informazione.

Per quanto riguarda le richieste dei clienti, su scala globale, a farla da padrone è la Corporate Reputation (41%), seguita da Product Marketing & Sales (35%) e Issue & Crisis Management (8%).

Parlando di risorse umane invece, il Report evidenzia che nei prossimi 10 anni il settore delle PR accoglierà talenti con skill legati a Ricerca e Pianificazione (44%), Analytics e Misurazione (42%), Creatività (37%), Consulenza in caso di Crisi (28%) e Creazione contenuti multimediali (22%).

Per l’anno 2019, il report evidenzia per la regione dell’Europa Occidentale una crescita in queste aree (in ordine di importanza):

1. Corporate Reputation
2. Strategic Consulting
3. Social media & community management

L’outlook sulla crescita attesa in Europa Occidentale per i prossimi 5 anni si focalizza su questi servizi:

1. Strategic Consulting
2. Corporate Reputation
3. Purpose and CSR

I settori dove si è registrata la maggior crescita nel 2019 in Europa Occidentale sono:

1. Technology
2. Healthcare
3. Financial and professional services

I settori considerati a maggior potenziale di crescita per i prossimi 5 anni in Europa Occidentale sono:

1. Technology
2. Healthcare
3. Industrial & manufacturing

“Il pianeta ha bisogno, oggi più che mai, di comunicatori capaci di creare dialogo tra audience altamente polarizzate e intellettualmente isolate. In questo scenario, la rivoluzione tecnologica in atto può rappresentare sia un’opportunità per mettere in contatto prospettive di pensiero diverse sia un elemento di ulteriore radicalizzazione delle opinioni. Le relazioni pubbliche giocano un ruolo importante nella definizione dell’etica, dei confini e delle conseguenze di questa rivoluzione, iniziando dal dibattito sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale”, afferma Massimo Moriconi Amministratore Delegato di Omnicom PR Group Italia e Rappresentante per l’Italia nel Board of Management di ICCO come Delegato Assorel.

“Inoltre – prosegue Moriconi – il report di ICCO evidenzia la rilevanza della consulenza strategica in comunicazione per gli anni a venire. Nell’era del ruolo sociale della marca, alle aziende viene chiesto di dimostrare qual è il contributo che apportano alla società in cui operano. Oggi, comunicare in modo efficace ‘il perché’ un brand esiste, diventa contemporaneamente un’opportunità di supporto alle vendite e di rafforzamento della reputazione”.

www.ferpi.it

INPGI: i comunicatori contro l’allargamento della base contributiva

Appello alle Istituzioni delle associazioni ASCAI, CIDA, COM&TEC, CONFASSOCIAZIONI, FERPI, IAA, UNA. I comunicatori scendono in campo contro l’allargamento della base contributiva e la strumentale generalizzazione. Comunicazione e informazione sono due mondi paralleli ma molto diversi. Confonderli minerebbe le basi del nostro sistema democratico, peggio ancora se per interessi corporativi.

I risultati dell’ultimo bilancio della gestione previdenziale dell’Istituto di Previdenza dei Giornalisti “Giovanni Amendola”, confermano un dissesto finanziario annunciato: assestamento al bilancio 2019oltre meno 169 milioni di euro; preventivo 2020 quasi -190 milioni di euro. La soluzione del Presidente Marina Macelloni non lascia spazio ad interpretazioni: la costante perdita di posti di lavoro “…ci ha portato ad ottenere, nel giugno scorso, la legge che ci consentirà di ampliare la nostra platea. Dal 2023 la nostra platea di iscritti potrà essere allargata ad altre figure professionali che svolgono attività affini e in molti casi sovrapposte alla nostra. Certo, il percorso va completato ma la soluzione da noi prospettata con forza e discussa nel corso di oltre un anno di incontri con i ministeri e con tutti gli interlocutori istituzionali, è diventata legge dello Stato” (fonte sito FNSI).

Una soluzione discussa con tutti tranne che con i soggetti professionali che sarebbero coinvolti in questa operazione: i comunicatori e le loro associazioni di categoria.I comunicatori sono fermamente convinti della necessità di collaborare sul piano professionale, ma ribadiscono con grande fermezza le differenze strutturali di vocazione e di missione che distinguono gli informatori dai comunicatori.

Tutte le associazioni del mercato della comunicazione chiedono trasparenza sia sui conti dell’INPGI che sulle ipotesi legislative e sottolineano:

“La legge cui fa riferimento il presidente Macelloni (decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58) chiede ad INPGI (articolo 16-quinquies) tagli dei costi e riforma del sistema previdenziale quali condizioni per ipotizzare l’allargamento della base contributiva ad altre figure professionali. Tuttavia, nessuna riforma e nessun taglio dei costi sono stati nemmeno ipotizzati”. “Allo stato attuale, l’INPGI non reggerebbe nemmeno se fosse coinvolto un esercito di comunicatori. Si intende privare l’Inps di 20/30.000 contribuenti per conferirli ad una cassa privata in dissesto finanziario.  Le criticità di gestione dell’Istituto – ammesse pubblicamente anche dai vertici della Cassa – non possono essere risolte, tuttavia, obbligando migliaia di soggetti a cambiare ente previdenziale, peraltro con le difficoltà che ne deriverebbero nell’uniformare le prestazioni di due enti così profondamente diversi. E quella che oggi viene proposta come soluzione irrinunciabile per INPGI, sarebbe non solo manifestamente inefficace, ma avrebbe ricadute disastrose sull’occupazione nel mercato della comunicazione, sull’INPS e sul futuro previdenziale di centinaia di miglia di professionisti, giornalisti compresi”.

“Ecco quindi perché chiediamo di essere ascoltati dalle Istituzioni competenti e di aprire un tavolo tecnico per la gestione dei criteri economici di fattibilità di un’operazione che, per come è stata gestita fino ad ora, punta a confermare privilegi immotivati di una categoria – quella dei giornalisti/informatori – in forte crisi occupazionale”.

 

Salvataggio INPGI: la ferma opposizione delle associazioni della comunicazione

Se per mesi abbiamo detto #INPGIancheNO, ora diciamo basta a qualsiasi tentativo che mette a rischio l’identità delle nostre professioni e il nostro futuro pensionistico.
La situazione a fine giugno 2019, con l’articolo 16-quinquies del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58  era stata “congelata” per 18 mesi, perché il governo chiedeva ad INPGI tagli dei costi e riforma del sistema previdenziale, prima di ipotizzare l’allargamento della base contributiva ad altre figure professionali.
Alla ripresa delle attività parlamentari, ai primi di settembre, i vertici INPGI hanno fatto sì che alcuni parlamentari ripresentassero nuovi emendamenti, in questi giorni in discussione alle Commissioni 10 e 11 del Senato. L’emendamento in questione proporrebbe lo slittamento del commissariamento dell’INPGI di 18 mesi, dal 31 ottobre 2019 al 30 aprile 2021. Quest’operazione in realtà nasconderebbe i veri obiettivi dei vertici INPGI, ovvero:

  • evitare il commissariamento dell’attuale Consiglio di Amministrazione,
  • non applicare alcuna riforma dell’Istituto con relativi tagli di costi,
  • non essere costretti a presentare un bilancio attuariale sulla verifica dell’equilibrio economico-finanziario della Cassa nel medio e lungo periodo,
  • far scattare già a luglio 2020 l’allargamento della base contributiva ad altri soggetti professionali, tra cui i comunicatori, per mantenere inalterati gli attuali assetti del sistema previdenziale privato dei giornalisti

Per bloccare qualsiasi tentativo confuso ed inconcludente di salvare l’Istituto di Previdenza dei Giornalisti allargando la base contributiva ad altri soggetti professionali, abbiamo scritto una lettera richiedendo un incontro urgente al ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Nunzia Catalfo, e al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Andrea Martella. A firmarla non solo Ferpi: ASCAI, COM&TEC e TEKOM EUROPE, IAA Italy, UNA, ma anche CIDA – Confederazione Italiana dei Dirigenti, Quadri e Alte professionalità del settore pubblico e privato, che rappresenta a livello istituzionale i circa 150.000 manager italiani e ha numerosi associati che lavorano nel mondo della comunicazione. Sono realtà rappresentative del mercato della Comunicazione che, consapevoli delle responsabilità economiche e sociali del ruolo associativo, sono scese in campo a difesa dei propri associati. Ci auguriamo di essere ricevuti al più presto e che, al di là delle scadenze proposte e degli slittamenti richieste dai vertici INPGI, i decisori legislativi obblighino l’Istituto di previdenza dei giornalisti ad adottare misure concrete e che non si approvino scorciatoie nel breve periodo che porterebbe ad un temporaneo salvataggio dell’INPGI, ma metterebbero a rischio le pensioni sia dei comunicatori che dei giornalisti.

INPGI e Decreto Crescita: la verità sul salvataggio

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Norma-ponte per salvare l’INPGI

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Ferpi: ritirato l’articolo INPGI, continua il confronto sulla professione

Ferpi: preoccupazioni e criticità per la proposta INPGI

Salvataggio INPGI, cronaca e retroscena

La “Crisi INPGI” è una questione complessa e anche – anzi soprattutto –  un caso scolastico di disinformazione strumentalizzato per interessi politici.

Tante interpretazioni su numeri e scenari e un unico dato di fatto: l’Istituto di Previdenza dei Giornalisti è in serie difficoltà economiche, il modello contributivo è diventato insostenibile e per poter mantenere in vita la Cassa di previdenza privata, è necessario allargare la platea contributiva.

La vicenda è così tanto complessa e coinvolge così tanti attori,  da creare allarmi e preoccupazioni da più parti: giornalistiINPSassociazioni di categoria ed ovviamente Ferpi.

Considerate le tensioni e le richieste di rassicurazioni da parte di molti colleghi, è bene fare il punto della situazione.

La cronaca. I vertici dell’INPGI già nel 2017 lanciano l’allarme sul disavanzo previdenziale e a metà del 2018 iniziano le consultazioni con Governo e Associazioni di categoria. L’idea: allargare la platea contributiva con soggetti che “più o meno” hanno a che fare con la produzione di contenuti, e quindi i comunicatori in senso lato e generico, anche se professionisti un po’ “disprezzati” dai giornalisti perché portatori di interessi di parte.

Tra le Associazioni coinvolte nelle consultazioni, FERPI conquista un ruolo di primo piano e dice no all’ipotesi di una “deportazione” contributiva all’INPGI fin dal primo incontro della seconda metà di settembre 2018. La posizione di FERPI, condivisa anche da altre associazioni del settore, è motivata concretamente: anche un esercito di comunicatori, considerati gli squilibri dei meccanismi previdenziali dell’Istituto potrebbe risanarne le casse. E la “deportazione” dall’INPS all’INPGI comporterebbe una situazione di precarietà contributiva, oltre che un danno erariale rilevante. Contrari i comunicatori, contrari anche molti giornalisti.

La cronaca politica. Sulla “Crisi INPGI” il Governo ha due posizioni contrastanti: il Sottosegretario Claudio Durigon sta lavorando alacremente per salvare l’Istituto con l’obiettivo di preservare le caratteristiche peculiari della cassa privata in nome della salvaguardia dell’informazione. Dall’altra parte il Sottosegretario Vito Crimi che, convinto della necessità urgente e prioritaria di una riforma dell’intero comparto giornalistico, mette all’ultimo punto nell’elenco delle questioni aperte il salvataggio dell’INPGI.

Dopo mesi di dibattiti parlamentari, proposte e bocciature di emendamenti, si è arrivati all’approvazione dell’Articolo 16-quinquies. (Disposizioni in materia previdenziale) Comma 2. del Decreto Crescita, in vigore lo scorso 1° luglio. L’Articolo 16-quinquies indica specifiche misure, che posso essere così sintetizzate:

1. Entro il 1° luglio del 2020 l’INPGI dovrà adottare una nuova riforma delle prestazioni previdenziali, che tagli prima di tutto le spese e, in subordine, aumenti le entrate contributive.

2. Entro il 1° febbraio 2021, ovvero dopo 18 mesi dall’approvazione del decreto Crescita, l’INPGI dovrà presentare un nuovo bilancio attuariale per valutare gli effetti della nuova riforma sulla sostenibilità dei conti a medio e a lungo termine.

3. Se nel caso le misure precedenti sintetizzate al punto 1 e 2 non dovessero dimostrare un miglioramento della situazione dell’INPGI, allora il Governo dovrebbe ampliare la platea degli iscritti con uno o più regolamenti.

Quel che ci interessa è quindi la scadenza di febbraio 2021, quando presumibilmente, la situazione INPGI risulterà la stessa e l’ipotesi dell’allargamento della base contributiva ritornerà di attualità.  E qui rientreremmo in ballo noi comunicatori, anche se non citati espressamente dall’emendamento.

I numeri e le cifre. A seconda del momento i comunicatori utili all’INPGI sono 13 mila che diventano 17 mila, a volte 20 mila. Ma son numeri molto ipotetici. Per sanare le casse dell’INPGI1, ovvero quello dei dipendenti, occorrerebbero i contributi dei comunicatori dipendenti delle aziende, che sono assunti con i contratti i lavoro collettivi del settore merceologico di apparenza, gestiti da CGIL, CISL, UIL, Confcommercio, Confindustria e sindacati autonomi. Siamo in un ambito fortemente normato attraverso i CCNL. Come individuare quei dipendenti se non c’è un contratto specifico per gli addetti alla Comunicazione, funzione spesso accorpata al marketing che nulla ha a che fare con la produzione dei contenuti?

Così come è vero che noi comunicatori siamo “oggetto” di una contesa che non è la nostra, è altrettanto vero che  una “deportazione contributiva” non potrà essere applicata tout court, senza alterare le normative vigenti in materia di contratti di lavoro, senza che il Governo si confronti con tutti gli altri protagonisti del mercato. Ed è per questo che FERPI, insieme agli altri stakeholder coinvolti nella  “Crisi INPGI”, chiede con forza l’avvio di un Tavolo del Governo su questi temi, per gestire le dinamiche che riguardano l’evoluzione della professione e della previdenza, che deve rimanere nell’ambito dell’INPS.

La vicenda “Crisi INPGI” ci ha insegnato che dobbiamo continuare a lavorare per rafforzare la rappresentanza degli interessi dei comunicatori e sottolineare l’importanza del nostro ruolo per il Sistema Paese. È un percorso lungo, complesso e quindi non facile, che dobbiamo affrontare insieme alle altre associazioni del nostro mondo per valorizzare la nostra professione.

 

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