8 marzo 2019: soffitti di cristallo ancora di attualità

Troppe poche le donne CEO nel mondo. Troppi, ancora, i pregiudizi, troppe le difficoltà quotidiane. Quale potrà essere la chiave di volta per metter fine alle differenze di genere nel lavoro?

Oggi, 8 marzo 2019, la Commissione Europea ha pubblicato la Relazione sulla parità tra donne e uomini nell’UE 2016-2019. Nell’introduzione al Rapporto, Vĕra Jourová, Commissario per la giustizia e la parità di genere ha scritto: “… mentre l’Europa ha compiuto negli ultimi anni progressi graduali, grazie all’intenso lavoro a livello locale, nazionale ed europeo, la parità di genere è ancora lontana, in particolare nel mercato del lavoro, dove si registrano disparità delle retribuzioni e delle pensioni. Troppe poche le donne al comando delle imprese e delle istituzioni….”.

La parità di genere è uno degli obiettivi strategici della Commissione europea. L’impegno si concentra su 5 settori prioritari:

  • aumentare la partecipazione al mercato del lavoro femminile e l’indipendenza economica di donne e uomini
  • ridurre le differenze retributive e i divari pensionistici e quindi combattere la povertà tra le donne
  • promuovere l’uguaglianza tra donne e uomini nel processo decisionale
  • combattere la violenza di genere, proteggere e sostenere le vittime
  • promuovere la parità di genere e dei diritti delle donne in tutto il mondo

 

L’impegno strategico definisce gli obiettivi in ciascuna di queste aree prioritarie e identifica più di 30 azioni concrete. L’impegno per la parità di genere sarà integrato in tutte le politiche dell’UE e nei programmi di finanziamento dell’UE.

Otto marzo alla prova del “soffitto di cristallo”: nell’UE solo il 6,5% dei CEO è donna


 

L’impresa è femminile

L’impresa è femminile perché il mondo dell’imprenditoria vira verso il rosa, non a passi da gigante ma con decisione, grazie a capitane d’impresa che reinventano linguaggi e modelli di business. Le donne che decidono di fare impresa crescono di anno in anno e oltre il 70% di loro sceglie il terziario di mercato.
L’impresa è femminile perché gestire un’attività in proprio per una donna rischia di essere ogni giorno un’impresa nell’impresa, tra resistenze culturali, abitudini sociali e esigenze naturali.
L’impresa è femminile perché il genere vale più di quanto conta.
Impresa è femminile è l’occasione per tante imprenditrici, aspiranti tali, dirigenti e libere pensatrici per conoscersi e confrontarsi. E per farlo insieme alle istituzioni del territorio (Comune di Milano e Regione Lombardia), alla Fondazione Marisa Bellisario che si occupa di crescita e lavoro al femminile e a Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza, la più grande rappresentanza di impresa nel commercio e nei servizi del territorio.
Una mattinata, due momenti di plenaria, cinque tavoli, dieci buoni consigli, metà per la politica, metà dedicati dalle imprenditrici alle imprenditrici: un punto di arrivo e punto di inizio.

Nella prima parte dell’evento, in sessione plenaria, la presentazione dei dati della ricerca che ha avuto come campione le donne con cariche sociali di Confcommercio MIlano, Lodi, Monza e Brianza.

I 5 tavoli nascono da 5 temi di interesse identificati grazie ad un’indagine sui bisogni delle imprenditrici e prendono vita intorno a 5 straordinarie figure pivot diverse tra loro ma ugualmente appassionate.

  • Comunicazione | Veronica Benini, Ispiratrice al femminile, Spora, Stiletto Academy
  • Impegno sociale | Patrizia Fontana, Headhunter, Talent in Motion, Forum della Meritocrazia
  • Innovazione | Ilaria Puddu, Imprenditrice, food startupper, creatrice di format gastronomici
  • Sostenibilità | Roberta Talarico, Strategic Advisor, Bye – Be Your Essence, Impact Builder
  • Cultura | Andreè Ruth Shammah, Regista teatrale, imprenditrice, Teatro Franco Parenti

L’incontro, promosso dal Gruppo Terziario Donna di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza e dalla Fondazione Marisa Bellisario, si è tenuto martedì 15 ottobre  alle ore 09.30 presso Palazzo Bovara (corso Venezia, 51) a Milano. Ed è stato un vero successo, sia per il format che per i contenuti emersi.

Prossimo appuntamento: ottobre 2020.

La sintesi della ricerca a cura di Rita Palumbo

http://www.impresafemminile.it

Rassegna stampa quotidiani

Rassegna stampa web

 

Un premio all’esperienza

Milano, 25 novembre 2018 – “Fin dal tempi del liceo è stata attratta da tutto ciò che governa le relazioni economiche. Fermamente convinta dell’importanza e del valore delle informazioni, ho dedicato la sua vita allo studio e alla pratica della Comunicazione, come asset strategico per lo sviluppo delle imprese. Ha svolto questa professione con diversi ruoli – da collaboratore a titolare d’impresa – in diverse realtà, con dedizione e passione per contribuire alla crescita del mercato della Comunicazione e del nostro Sistema Paese”. 

Con questa motivazione, questa mattina, Rita Palumbo, amministratore e fondatrice di WIP Consulting, è stata premiata con un”aquila d’argento, un riconoscimento alla carriera e alla passione per la Comunicazione. 

La cerimonia, che si è svolta il 25 novembre, nella Sala Colucci di Palazzo Castiglioni, sede di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza, ha premiato gli imprenditori  che hanno svolto attività nel settore del commercio, del turismo e dei servizi, che si sono distinti per deontologia, etica e professionalità. 

Nell’immagine, al centro da sinistra: Maria Antonia Rossini, Rita Palumbo, Sara Carla Aina, owner di WIP Consulting srl, Dario Bossi 

 

Leader, meglio se donna

Lettera 43: Largo alle donne, fanno bene all’azienda

Negli ultimi anni si è diffuso, fortunatamente, un assunto che in pochi si sentirebbero di contraddire: non possiamo più permetterci di sprecare il talento femminile. Una posizione che ci libera da schemi del passato superati dall’evoluzione della società in cui viviamo, ma che non ci aiuta sul piano del “come”: che cosa dobbiamo fare affinché il potenziale femminile non venga bloccato da ostacoli, evidenti oppure nascosti, che ne impediscono la piena espressione? Il riferimento è alle famigerate quote rosa. Un concetto che suscita diffidenza, perché sembra suggerire un’imposizione che, con l’obiettivo nobile di porre rimedio a una stortura, introduce in realtà un’altra distorsione altrettanto criticabile. Gli choc, a mio avviso, sono necessari. Ciò che suscita polemica nell’immediato si traduce spesso, dopo un congruo periodo di tempo, in qualcosa di più accettabile e ordinario. C’è solo bisogno di uno strappo iniziale per lasciarsi alle spalle uno status quo dovuto perlopiù a regole non scritte, pigrizia mentale o semplice applicazione di schemi mentali diventati obsoleti.

IL 59% DEGLI AMERICANI VORREBBE PIÙ DONNE LEADER IN POLITICA

Nell’America di Donald Trump e degli accesi dibattiti innescati dal movimento #MeToo, quali sono gli orientamenti dell’opinione pubblica? Si riconosce la questione della piena inclusione delle donne nella vita economica e sociale della nazione come un’emergenza a cui porre rimedio o come un dato di contesto da accettare? Nell’ultimo report Women and Leadership 2018, pubblicato in questi giorni dal Pew Research Center, la fotografia scattata dall’istituto di ricerca a due anni dalla candidatura della prima donna alla Casa Bianca, Hillary Clinton, è in chiaroscuro: il 59% degli americani intervistati ammette che vorrebbe vedere più donne in posizioni apicali in ambito politico e la stessa percentuale si attenderebbe un numero maggiore di donne ai vertici delle aziende, con variazioni significative tra democratici e repubblicani. Gli elettori del primo partito sono il doppio più inclini dei sostenitori del Grand Old Party a riconoscere l’assenza delle donne nelle posizioni chiave della politica (79% contro 33%) e sono inoltre più propensi a indicare la discriminazione di genere come la vera causa di questo squilibrio (64% contro 30%). Un dato significativo, anche per gli strateghi politici che dovranno lavorare alle prossime elezioni di metà mandato.

STILI DI LEADERSHIP DIFFERENTI

Se allarghiamo l’immagine ai due sessi, notiamo che la percezione del gender gap si discosta: per sette donne su 10 è una realtà di fatto, mentre per solo metà degli uomini intervistati si tratta di un fenomeno di cui hanno contezza. Un risultato incoraggiante arriva da un’altra rilevazione: il 57% degli americani non ha problemi ad affermare che uomini e donne sono ugualmente in grado di occupare posizioni di responsabilità, anche se si riconoscono ai due sessi stili di leadership piuttosto diversi. La maggioranza degli intervistati, per esempio, indica le donne come le più adatte ad assumere un ruolo di guida basato sull’empatia nei confronti del proprio team e sulla capacità di trovare sempre un compromesso. Lo stesso vale per la politica: una leader donna sarà più incline a essere un modello di comportamento e a ricorrere a un atteggiamento meno aggressivo rispetto ai colleghi o avversari uomini. Gli uomini, al contrario, vengono preferiti in situazioni in cui è più utile assumersi dei rischi e dimostrare un modo di fare volitivo. Infine, se consideriamo i benefici per l’intera società gli americani non hanno dubbi: il 69% ha dichiarato che più donne in posizioni di responsabilità (in politica e nelle aziende) porterebbe a un miglioramento della qualità della vita per tutti.

Se guardiamo all’Italia, dobbiamo considerare alcuni passi importanti che sono stati compiuti negli ultimi anni. Non mi riferisco a macro-tendenze o ai segnali più evidenti (donne ai vertici di grandi aziende, associazioni e sindacati, oltre a donne in politica e alla guida di importanti dicasteri), quanto a un fenomeno che si è sviluppato senza clamori: il progressivo ingresso delle donne nei consigli di amministrazione. Lo choc iniziale positivo lo dobbiamo alla legge che ha preso il nome dalle sue due prime firmatarie Lella Golfo (Forza Italia) e Alessia Mosca (Pd), la 120 del 2011. La norma prevede di riservare nei board delle quotate e delle società a controllo pubblico un quinto dei posti al primo rinnovo (e un terzo al secondo e terzo rinnovo) al genere meno rappresentato. Trasformando una momentanea distorsione in un assist incredibile alla componente femminile. Le percentuali hanno premiato lo sforzo delle due parlamentari: più 17% di donne al primo rinnovo dei consigli di amministrazione e più 11% a quello successivo, in attesa del 2021, quando la norma andrà a scadenza.

LO STUDIO DELLA CONSOB

A valutare l’impatto positivo di questa inversione di tendenza ci ha pensato la Consob. In un quaderno di ricerca dal titolo Boardroom gender diversity and performance of listed companies in Italy, uscito in questi giorni, il team di studiosi dell’authority conclude che, se la percentuale di donne supera una soglia del 17%-20% del board, è evidenziabile un effetto positivo sui vari indicatori di performanceaziendale. Una sufficiente massa critica di manager donne (e non qualche isolata presenza di carattere perlopiù simbolico) è dunque in grado di innescare un circolo virtuoso, con impatti misurabili, tra gli altri, sul Return on Sales (Ros) e il Return on Assets (Roa). E l’intervallo di tempo analizzato è proprio quello più o meno corrispondente al varo della legge Golfo-Mosca (2008-2016).

POTENZIALE FEMMINILE IN AZIENDA E COMUNICAZIONE

Potremmo dunque affermare che la consapevolezza del problema, come ci raccontano i sondaggi condotti negli Usa, non basta. In questo caso, l’Italia può essere orgogliosa di una scelta coraggiosa che si è tradotta in trend di miglioramento concreti e in ricadute misurabili in termini di competitività. In attesa che questo regime transitorio giunga al termine, possiamo però fare in modo che ciò che è avvenuto per effetto di una regola si trasformi in consuetudine. Aprire le proprie aziende al potenziale femminile è anche una leva straordinaria di posizionamento: una comunicazione che insista su questo aspetto, sempre senza eccedere, può aiutare a rafforzare la riconoscibilità di un brand o garantire una maggiore coesione interna. Un altro elemento che può solo migliorarne ulteriormente la performance.

Lavoro, parità di genere ancora lontana

Il mercato del lavoro

Paola Profeta

Speciale otto marzo – Rivista Il Mulino

 

Secondo l’ultimo Global Gender Gap Index del World Economic Forum, mentre nel campo dell’istruzione e della salute i divari di genere sono globalmente inferiori al 5%, in ambito economico resta da chiudere il 41% del divario e in ambito politico ben il 77%. Alcuni Paesi però sono più avanti di altri sul fronte della parità. Alcuni, come Islanda, Finlandia, Svezia, Norvegia per esempio, hanno chiuso più dell’80% delle differenze tra uomini e donne. L’Italia resta indietro: all’82esimo posto su 144 Paesi analizzati, in caduta libera di 32 posizioni rispetto all’anno precedente, e addirittura al 118esimo posto quando consideriamo le opportunità e i risultati economici.

Il mercato del lavoro è, insieme alla politica, il luogo in cui le differenze di genere sono più ampie. Il tasso di occupazione femminile, come è dimostrato dal grafico, sia pur in lieve aumento negli ultimissimi mesi, è ancora fermo al di sotto del 50%, fanalino di coda in Europa, insieme alla Grecia, ben lontano da quel 75% che l’Europa raccomanda di raggiungere entro il 2020. Al Sud, il tasso è addirittura fermo al 30%.

Eppure le donne italiane sono più istruite degli uomini: su 100 ragazzi che si laureano, 60 sono ragazze. Non era così sessant’anni fa, quando solo il 25% dei laureati era donna. Restano alcuni divari nelle discipline di studio, con una scarsa presenza delle donne nelle discipline Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), che sono e diventeranno sempre più importanti e remunerative sul mercato del lavoro. Ma anche in questi campi la presenza femminile sta aumentando.

Le statistiche sul mercato del lavoro, invece, stentano a migliorare. La vita delle donne lavoratrici italiane è un percorso a ostacoli. Già al primo lavoro perfino le laureate guadagnano circa il 7% in meno degli uomini (secondo i dati Almalaurea). La forbice si allarga al momento della scelta di avere figli: anche se l’età media alla nascita di un figlio aumenta, nella speranza che più avanti sia più facile combinare figli e lavoro, sono molte le madri che smettono di lavorare alla nascita di un figlio. Secondo gli ultimi dati dell’Ispettorato del lavoro, nel 2016 il 76% delle dimissioni sono state di lavoratrici madri. Un abbandono che è spesso definitivo, perché, in Italia più che in altri Paesi europei, è difficile rientrare sul mercato del lavoro dopo una lunga assenza. Più del 40% delle madri che si licenzia motiva la sua scelta con la difficoltà di conciliare il lavoro con la famiglia. Non solo la quantità, ma anche la qualità del lavoro femminile è inferiore a quella maschile: secondo l’Eurostat (2017), il 15,8% delle donne italiane lavora a tempo determinato, contro il 13,5% degli uomini: un fenomeno che si è accentuato negli anni della crisi economica. Le donne lavorano più spesso degli uomini part-time, con ripercussioni negative sulle carriere, e spesso il part-time è anche involontario, con conseguenze negative sui salari.

Per le donne che resistono sul mercato del lavoro, la parità retributiva è ancora lontana. Anche se i dati ufficiali Eurostat mostrano che l’Italia è uno dei Paesi con il più basso differenziale salariale di genere, si tratta del risultato della forte selezione positiva che caratterizza il mercato del lavoro italiano: le donne con potenziali redditi bassi restano fuori dal mercato del lavoro, con la conseguenza che le donne che lavorano hanno salari mediamente più alti – e quindi più vicini a quelli maschili – di quelli che vedremmo se la partecipazione femminile al mercato del lavoro fosse più elevata.

Anche le possibilità di carriera sono poche. Le donne in posizioni manageriali in Italia sono circa il 20%. Il valore migliora quando guardiamo ai consigli di amministrazione nelle società quotate, dove la percentuale femminile supera il 30%, grazie all’introduzione della legge sulle quote di genere nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società quotate e al controllo pubblico (legge 120/2011, detta Golfo-Mosca). Si tratta, come sottolinea anche l’Oecd, dell’unica dimensione in cui l’Italia eccelle, grazie ad una legge considerata esemplare in Europa.

Quali misure aiuterebbero a sciogliere il nodo della partecipazione delle donne al mondo del lavoro? Uno dei motivi per cui le donne smettono di lavorare alla nascita di un figlio è la “competizione” che si innesca tra stipendio della donna e spese di cura: se la donna lavora, è necessario pagare una baby-sitter o un asilo nido, che possono essere più costosi dello stipendio stesso della donna. Poiché la donna tipicamente guadagna di meno dell’uomo, anche se i figli dovrebbero essere una responsabilità di entrambi i genitori, e anche in presenza di una cultura paritaria, la cura finisce per ricadere sulla donna. Di cosa hanno bisogno le madri per continuare a lavorare? Per esempio, di sgravi fiscali totali rispetto alle spese di cura per i figli (ma anche per gli anziani e i disabili a carico) e di incentivi: le donne che tornano al lavoro dopo la maternità obbligatoria dovrebbero ricevere almeno tanto quanto quelle che prolungano il congedo, e cioè il 30% del proprio stipendio, per esempio sotto forma di bonus o di voucher per le spese di cura. Un’altra misura fondamentale è il congedo di paternità, periodo esclusivo per i padri retribuito allo stesso livello di quello materno, che in Italia al momento è solo di 3 giorni. Una maggiore condivisione della cura, infatti, è fondamentale per sbloccare la rigida divisione dei ruoli tra uomini e donne esistente nel nostro Paese, che ostacola il lavoro femminile.

Di fronte della crescente consapevolezza che il lavoro femminile sia una questione fondamentale di diritti, ma anche un enorme potenziale di crescita del Paese, i risultati italiani dovrebbero far scattare l’allarme e far balzare l’occupazione femminile in cima all’agenda decisionale, politica ed economica. Oltre a mettere in campo misure appropriate, è infatti necessario anche creare un contesto culturale adeguato, nel quale le azioni possano avere successo. Una sfida impegnativa, ma necessaria. Non solo l’8 marzo.

Onu, donne e discriminazione

Da NOI SIAMO FUTURO

Il 3 settembre 1981 entrava in vigore la convinzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna. La cosiddetta CEDAW, contiene i principali diritti civili, politici, sociali, economici e culturali, declinandoli al femminile.

A livello internazionale era stato riscontrato che l’assenza di una specifica menzione delle donne nell’attribuzione di determinati diritti umani era troppo spesso equivalsa alla loro mancata concessione. E se in Italia il voto attivo e passivo è un diritto scontato per le donne della nostra generazione, così come l’accesso alle professioni, agli incarichi e agli uffici pubblici, solo recentemente altre riforme hanno determinato il possibile accesso delle donne nell’arma e inciso ancor più significativamente sul diritto di famiglia, ad esempio garantendo il congedo di paternità in alternativa a quello di maternità.

Eppure l’Italia non sembra avere le carte in regola sull’eliminazione della disparità uomo-donna. Una discriminazione che pesa sullo sviluppo economico del Paese, soprattutto sul suo tessuto sociale, in preda a tensioni tra i generi che spesso si riversano nella violenza.

La Banca D’Italia ha preso in esame alcuni dati relativi al 2008. Le donne si trovano in condizione di disparità rispetto agli uomini, non solo perché pressate dagli impegni familiari, ma anche perché sono spesso relegate in posizioni lavorative di basso livello di retribuzione. Il Mezzogiorno, dove già il tasso di occupazione femminile è molto basso, ha assorbito quasi metà del calo nazionale delle occupate causato dalla crisi. Nel 2009 in Italia soltanto il 28,7% delle donne con licenza media aveva un’occupazione, contro il 37,7% medio dell’UE. Nel nostro Paese solo le laureate “storiche” riescono a raggiungere i livelli europei, mentre le neolaureate continuano a trovare enormi difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro.

La situazione peggiora per le donne sposate e con figli; inoltre il peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro ha rallentato l’inserimento delle donne nelle professioni più qualificate e riavviato un fenomeno di “marginalizzazione” verso occupazioni già relativamente molto “femminilizzate”. I dati dell’OECD mostrano come l’Italia sia uno dei Paesi peggiori per essere una donna lavoratrice. I dati dell’ISTAT e dell’INAIL, che rivelano un aumento della partecipazione nel mercato del lavoro, mettono in evidenza anche un dato incontrovertibile: una donna su due non lavora. Sono 2,3 milioni le donne che risultano inattive per motivi di famiglia, di queste il 40% ha un diploma di scuola superiore o un titolo universitario, il 45% vive al Sud. Dati che spiegano come le donne, malgrado una preparazione adeguata, siano scartate per ruoli di rilievo: su di esse ricadono le inadempienze delle Stato e devono occuparsi della casa e della famiglia.

La condizione della donna nel mondo del lavoro

 

Neuromarketing e shopping

Le neuroscienze hanno da tempo dimostrato che esistono processi cognitivi ed emotivi di cui non abbiamo il controllo razionale e di cui siamo (parzialmente o totalmente) inconsci.

Il neuromarketing è una branca della cosiddetta neuroeconomia che studia le dinamiche volte all’individuazione di canali di comunicazione più diretti ed efficaci per i processi decisionali d’acquisto. Studiare e comprendere cosa provano e come decidono i consumatori, può aiutare i negozianti a rivolgere l’attenzione ai propri clienti in modo nuovo, per capire meglio i loro comportamenti e i loro bisogni inespressi, cosa si aspettano di trovare in un negozio e, soprattutto, quali sono i meccanismi mentali che guidano le loro decisioni e li rende soddisfatti e felici durante l’esperienza di shopping.

In collaborazione con Terziario Donna Nazionale, il 14 novembre alle ore 10.30, nella sala Castiglioni di Palazzo Bovara – Corso Venezia 51, a Milano, si terrà un approfondimento sul tema dal titolo: “Il neuromarketing nel negozio”. 

Per info e accredito:

terziario.donna@unione.milano.it

Tel. 02. 7750205

Terziario Donna Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianz

 

Donne & Leadership

Lettera 43

«Nessun Paese potrà mai prosperare veramente se soffoca il potenziale delle donne e si priva del contributo di metà dei suoi cittadini» (Michelle Obama). Negli ultimi anni il tema della leadership femminile e delle difficoltà avvertite dalle donne nel raggiungimento di posizioni managerialiall’interno delle aziende sono diventati importanti argomenti di dibattito, specialmente a fronte del fatto che attualmente la popolazione femminile rappresenta la metà della forza lavoro globale. I recenti movimenti di rivendicazione dei diritti delle donne e della parità di genere hanno mostrato che, nonostante il numero delle donne che ricoprono incarichi di rilievo sia in aumento tanto nel mondo degli affari quanto in quello della politica, esistono ancora una serie di ostacoli strutturali e sociali che impediscono la piena affermazione di una leadership femminile forte e diffusa.

LE DONNE CEO SONO ANCORA TROPPO POCHE

Secondo la classifica stilata da Dow Jones a gennaio 2019, Women CEOs of the S&P 500, la percentuale di donne che ricoprono ruoli diamministratore delegato nelle 500 principali compagnie del mondo si aggira intorno al 4,8% (24 aziende): un dato davvero esiguo se si pensa che il 44% dei dipendenti di queste imprese è composto da donne. Bassa anche la percentuale di figure femminili in posizioni di senior manager(26,5%), e quella dei posti nei consigli di amministrazione detenuti da dirigenti donne (21,2%). Queste cifre rendono di fatto difficile abbattere quel famoso glass ceiling ampiamente analizzato in letteratura e contro il quale gran parte delle professioniste di ogni settore continua a scontrarsi.

L’ALTA PRESENZA FEMMINILE TRA I MANAGER MIGLIORA LE PERFORMANCE AZIENDALI

Questi risultati dovrebbero indurre le aziende a predisporre una serie di misure volte a diminuire il gap della rappresentazione femminile in posizione di leadership per un duplice motivo. Non solo perché il loro impegno segnerebbe un importante passo nella riduzione degli ostacoli che impediscono una sostanziale parità di genere all’interno della società, ma anche perché genererebbe un considerevole impatto sull’immagine di un’azienda e sulla sua organizzazione interna. È un dato ormai consolidato da anni di ricerche e analisi che una forte presenza femminile nei consigli di amministrazione influisca positivamente sulla performance finanziaria di un’impresa e che un elevato numero di donne in posizioni manageriali ne aumenti il capitale reputazionale. La sfida è dunque rivolta a individuare i fattori che causano questo squilibrio all’interno delle aziende e ridurne progressivamente le conseguenze.

Donne e Comunicazione: il fattore C

di Rita Palumbo

Uno spazio tutto al femminile quello di “Donne e Comunicazione”, l’evento organizzato lo scorso 23 maggio da PWN Rome e dalla Delegazione Ferpi Lazio, a Palazzo Fiano, a Roma. Tema cardine dell’incontro, il nuovo valore percepito della comunicazione e come questo stia cambiando, dalle media relations al corporate storytelling. Un vero e proprio talk show che, oltre a me – che ho partecipato nella doppia veste di CEO di WIP Consulting e Segretario Generale Ferpi – , ha visto partecipare Susanna Bonini, corrispondente da Roma di US – Italy Global Affairs Forum, Carlotta Ventura, Direttore Brand Strategy e Comunicazione di Ferrovie dello Stato e Silvia Castagna, Relazioni Istituzionali e Grandi Clienti di Doxa S.p.A., moderate da Benedetta Rizzo, CEO at HDRA Group, in cui si è parlato di come le aziende comunicano con i propri stakeholder, anche promuovendo i risultati raggiunti dalle donne in ruoli di leadership.

PWN Rome, parte della comunità PWN Global, network finalizzato allo sviluppo della leadership per le donne professioniste, è un’organizzazione no-profit su base volontaristica, nata come punto di contatto fra donne career-oriented con diverse esperienze lavorative e giunte a livelli diversi del loro percorso di sviluppo professionale. Obiettivo dell’organizzazione quello di creare opportunità di networking, sviluppo professionale e sviluppo della leadership.

L’iniziativa, organizzata da Ferpi Lazio e da Pwn Rome, non è stata solo interessante, è stata intensa. La sala era letteralmente gremita di donne e di ragazze. Che cosa è emerso dal confronto? Che tutte le relatrici, io compresa, che ho avuto l’onore e l’onere di aprire la serata con la mia storia, sono donne che non hanno subito battute d’arresto per discriminazione. Sono “arrivate”, ricoprono posti di responsabilità grazie alla loro tenacia e alla loro volontà. Quando ho detto che la vita delle donne è condizionata da un fattore determinante, da una parola che comincia con la C, ho dovuto fermarmi, sorridere e dire che si sbagliavano a pensare ad una parte del corpo umano. La parola C a cui ho fatto riferimento, che sintetizza il mio percorso professionale, è CORAGGIO.  I social hanno apprezzato, la sala ha condiviso. Il dibattito, o meglio la testimonianza di tutte le relatrici, ha ribadito che non si può parlare più di emarginazione sistemica, ma che nonostante la crisi economica che impedisce la crescita e non crea posti di lavoro, anzi li cancella, alle donne serve ancor più coraggio perché si confermano motore della ripresa economica (+ 4,9% le imprese al femminile nel mercato del PR nell’ultimo anno, e 5,7% tra il 2012 e il 2016) per affrontare questi tempi di grandi cambiamenti.

Il vero valore aggiunto di quest’iniziativa, nata dalla volontà di “contaminazione di esperienze” del delegato di Ferpi Lazio, Giuseppe  De Lucia, è stata la platea: tantissime giovani donne che, anche a margine dell’evento, si sono presentate e si sono confrontate, che hanno chiesto consigli e hanno fatto proposte.

Non c’è miglior soddisfazione professionale ed associativa della possibilità di trasmettere valori ed esperienza a chi è e dovrà essere protagonista del futuro.

 

Rita Palumbo