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Collega a chi? La dignità dell’ufficio stampa

A inizio febbraio ho scritto un lungo articolo per la rivista Reputation Review incentrato sul mestiere dell’ufficio stampa. Volevo elaborare un vademecum per gli addetti ai lavori, dopo anni deputati a questo ruolo, con regole precise e qualche esempio che svelasse i segreti per ottenere risultati e riconoscimenti. Mentre scrivevo, è prevalso in realtà il desiderio di liberarmi dai tanti luoghi comuni che intaccano questa professione. Ne è uscito un pamphlet, ironico e istrionico.
Si va dal superamento delle conferenze stampa come momento ormai demodé per l’incontro con i giornalisti all’affermazione incontrastata del criterio della notiziabilità del fatto, secondo il quale se la notizia non c’è, anche il bisogno di comunicare dovrebbe indietreggiare. Tra una pagina e l’altra si parla di disintermediazione, trend topic e visual mania. Di costruzione di reputazione e di crisis management.
Se avete voglia di leggerlo, lo trovate qui.
Di fatto, tutto nasce da una semplice considerazione: senza gli uffici stampa metà delle redazioni non avrebbero materiale per riempire l’enormità di contenitori che oggi fanno l’informazione.
Ricordo perfettamente e nei particolari le occasioni in cui, rivolgendomi a un giornalista, mi sono trovata a utilizzare l’epiteto di collega. Alle volte ricevendo in cambio un segno di complicità, altre volte una smorfia. È reale il dibattito alimentato da chi intende marcare una netta linea di separazione tra chi lavora per una testata giornalistica o un gruppo editoriale e chi, invece, sta dall’altra parte, quella delle organizzazioni, delle imprese, delle associazioni.
Tantissimi comunicatori hanno alle spalle carriere simili alla mia: sono una giornalista professionista, ho studiato per diventarlo, ho passato un esame, ho lavorato come redattrice in quotidiani e settimanali nazionali per molti anni, prima di approdare in azienda e ora in Federmanager.
“Collega a chi?” avrebbe meritato un capitolo a sé, di questo pamphlet. Vi avrei annotato che, come sempre, bisogna guardare al merito della questione. Fuori dai cliché, la dignità del lavoro dipende giammai dall’appartenenza a una categoria, bensì dipende da come si fanno le cose, dall’onestà intellettuale e dal rigore morale con cui si esercita una professione.
Ecco perché a mio avviso un giornalista e un ufficio stampa possono, tra loro, riconoscersi colleghi. Ciò che la mia esperienza mi ha insegnato finora è che tra persone competenti ci si riconosce sempre. Quando c’è l’impegno a ricercare la versione più vicina alla verità delle cose, a ricostruirla, a dare voce ai suoi protagonisti, ci si stringe la mano.
È il bello di appartenere a questa comunità (non categoria) di comunicatori e professionisti che sta affrontando con tenacia le sfide aperte dal momento straordinario che stiamo vivendo.
Dopo il coronavirus, l’unico capitolo che avrei aggiunto a quel pamphlet sarebbe stato un inno alla competenza.

Dina Galano
Giornalista professionista, lavora in Federmanager dal 2015 come Portavoce del Presidente e come Responsabile della comunicazione. Dirige il mensile “Progetto Manager”. Scrive per riviste di approfondimento su temi economici, sociali e di attualità. Con una laurea in giurisprudenza, un master in giornalismo e una formazione in digital marketing e social media communication, ha iniziato la sua carriera nella carta stampata per poi passare al mondo della comunicazione aziendale e delle media relations.