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Leader, meglio se donna

Lettera 43: Largo alle donne, fanno bene all’azienda

Negli ultimi anni si è diffuso, fortunatamente, un assunto che in pochi si sentirebbero di contraddire: non possiamo più permetterci di sprecare il talento femminile. Una posizione che ci libera da schemi del passato superati dall’evoluzione della società in cui viviamo, ma che non ci aiuta sul piano del “come”: che cosa dobbiamo fare affinché il potenziale femminile non venga bloccato da ostacoli, evidenti oppure nascosti, che ne impediscono la piena espressione? Il riferimento è alle famigerate quote rosa. Un concetto che suscita diffidenza, perché sembra suggerire un’imposizione che, con l’obiettivo nobile di porre rimedio a una stortura, introduce in realtà un’altra distorsione altrettanto criticabile. Gli choc, a mio avviso, sono necessari. Ciò che suscita polemica nell’immediato si traduce spesso, dopo un congruo periodo di tempo, in qualcosa di più accettabile e ordinario. C’è solo bisogno di uno strappo iniziale per lasciarsi alle spalle uno status quo dovuto perlopiù a regole non scritte, pigrizia mentale o semplice applicazione di schemi mentali diventati obsoleti.

IL 59% DEGLI AMERICANI VORREBBE PIÙ DONNE LEADER IN POLITICA

Nell’America di Donald Trump e degli accesi dibattiti innescati dal movimento #MeToo, quali sono gli orientamenti dell’opinione pubblica? Si riconosce la questione della piena inclusione delle donne nella vita economica e sociale della nazione come un’emergenza a cui porre rimedio o come un dato di contesto da accettare? Nell’ultimo report Women and Leadership 2018, pubblicato in questi giorni dal Pew Research Center, la fotografia scattata dall’istituto di ricerca a due anni dalla candidatura della prima donna alla Casa Bianca, Hillary Clinton, è in chiaroscuro: il 59% degli americani intervistati ammette che vorrebbe vedere più donne in posizioni apicali in ambito politico e la stessa percentuale si attenderebbe un numero maggiore di donne ai vertici delle aziende, con variazioni significative tra democratici e repubblicani. Gli elettori del primo partito sono il doppio più inclini dei sostenitori del Grand Old Party a riconoscere l’assenza delle donne nelle posizioni chiave della politica (79% contro 33%) e sono inoltre più propensi a indicare la discriminazione di genere come la vera causa di questo squilibrio (64% contro 30%). Un dato significativo, anche per gli strateghi politici che dovranno lavorare alle prossime elezioni di metà mandato.

STILI DI LEADERSHIP DIFFERENTI

Se allarghiamo l’immagine ai due sessi, notiamo che la percezione del gender gap si discosta: per sette donne su 10 è una realtà di fatto, mentre per solo metà degli uomini intervistati si tratta di un fenomeno di cui hanno contezza. Un risultato incoraggiante arriva da un’altra rilevazione: il 57% degli americani non ha problemi ad affermare che uomini e donne sono ugualmente in grado di occupare posizioni di responsabilità, anche se si riconoscono ai due sessi stili di leadership piuttosto diversi. La maggioranza degli intervistati, per esempio, indica le donne come le più adatte ad assumere un ruolo di guida basato sull’empatia nei confronti del proprio team e sulla capacità di trovare sempre un compromesso. Lo stesso vale per la politica: una leader donna sarà più incline a essere un modello di comportamento e a ricorrere a un atteggiamento meno aggressivo rispetto ai colleghi o avversari uomini. Gli uomini, al contrario, vengono preferiti in situazioni in cui è più utile assumersi dei rischi e dimostrare un modo di fare volitivo. Infine, se consideriamo i benefici per l’intera società gli americani non hanno dubbi: il 69% ha dichiarato che più donne in posizioni di responsabilità (in politica e nelle aziende) porterebbe a un miglioramento della qualità della vita per tutti.

Se guardiamo all’Italia, dobbiamo considerare alcuni passi importanti che sono stati compiuti negli ultimi anni. Non mi riferisco a macro-tendenze o ai segnali più evidenti (donne ai vertici di grandi aziende, associazioni e sindacati, oltre a donne in politica e alla guida di importanti dicasteri), quanto a un fenomeno che si è sviluppato senza clamori: il progressivo ingresso delle donne nei consigli di amministrazione. Lo choc iniziale positivo lo dobbiamo alla legge che ha preso il nome dalle sue due prime firmatarie Lella Golfo (Forza Italia) e Alessia Mosca (Pd), la 120 del 2011. La norma prevede di riservare nei board delle quotate e delle società a controllo pubblico un quinto dei posti al primo rinnovo (e un terzo al secondo e terzo rinnovo) al genere meno rappresentato. Trasformando una momentanea distorsione in un assist incredibile alla componente femminile. Le percentuali hanno premiato lo sforzo delle due parlamentari: più 17% di donne al primo rinnovo dei consigli di amministrazione e più 11% a quello successivo, in attesa del 2021, quando la norma andrà a scadenza.

LO STUDIO DELLA CONSOB

A valutare l’impatto positivo di questa inversione di tendenza ci ha pensato la Consob. In un quaderno di ricerca dal titolo Boardroom gender diversity and performance of listed companies in Italy, uscito in questi giorni, il team di studiosi dell’authority conclude che, se la percentuale di donne supera una soglia del 17%-20% del board, è evidenziabile un effetto positivo sui vari indicatori di performanceaziendale. Una sufficiente massa critica di manager donne (e non qualche isolata presenza di carattere perlopiù simbolico) è dunque in grado di innescare un circolo virtuoso, con impatti misurabili, tra gli altri, sul Return on Sales (Ros) e il Return on Assets (Roa). E l’intervallo di tempo analizzato è proprio quello più o meno corrispondente al varo della legge Golfo-Mosca (2008-2016).

POTENZIALE FEMMINILE IN AZIENDA E COMUNICAZIONE

Potremmo dunque affermare che la consapevolezza del problema, come ci raccontano i sondaggi condotti negli Usa, non basta. In questo caso, l’Italia può essere orgogliosa di una scelta coraggiosa che si è tradotta in trend di miglioramento concreti e in ricadute misurabili in termini di competitività. In attesa che questo regime transitorio giunga al termine, possiamo però fare in modo che ciò che è avvenuto per effetto di una regola si trasformi in consuetudine. Aprire le proprie aziende al potenziale femminile è anche una leva straordinaria di posizionamento: una comunicazione che insista su questo aspetto, sempre senza eccedere, può aiutare a rafforzare la riconoscibilità di un brand o garantire una maggiore coesione interna. Un altro elemento che può solo migliorarne ulteriormente la performance.