Norma Uni: comunicare per professione

La notizia data 9 settembre 2021 e ha per titolo “Pubblicata la norma Uni 11483:2021 – Attività professionali non regolamentate – Comunicatore professionale – Requisiti di conoscenza, abilità e autonomia e responsabilità”. A una prima lettura potrebbe sembrare un’altra (l’ennesima) norma tecnica, non obbligatoria e quindi non cogente per il mercato del lavoro. Ma in realtà non è così.

La norma Uni 11483:2021, frutto di tre anni e tre mesi di intenso lavoro di un tavolo che ha coinvolto diverse associazioni del settore, è un punto di svolta per la definizione delle professioni che sono comprese nel complesso mondo della comunicazione.  Non solo una norma tecnica, quindi, ma uno strumento innovativo e utile – il primo – per capire chi è, che cosa fa e quali sono le conoscenze e le abilità che un comunicatore deve garantire al mercato, per disegnare un settore dai contorni ancora indistinti, per diffondere la cultura di una professione ancor oggi impropriamente interpretata.

Il dato più significato sta nella definizione: il comunicatore professionale è un manager che gestisce processi complessi, progetta, coordina, realizza strategie e attività funzionali allo sviluppo di qualsiasi organizzazione, pubblica, privata e non profit. È un manager con responsabilità di risorse professionali e risorse economiche, impegnato a ideare e coordinare progetti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione in cui opera, sia come dipendente che come consulente esterno.

Quindi, attività ad alto contenuto intellettuale che richiedono una formazione culturale di largo respiro che spazia dall’etica alla scienza, dalla tecnologa alla creatività, intese come capacità di interpretare tendenze e cambiamenti socioculturali ed economici.

La norma ha suddiviso il mercato in cinque ambiti di riferimento: comunicazione pubblica e istituzionale, comunicazione politica, comunicazione di impresa, comunicazione tecnica, comunicazione sociale per il terzo settore. Mentre tre sono i livelli in relazione al grado di responsabilità: junior, expert e senior; tutte e tre le figure, a seconda dell’esperienza, si collocano rispettivamente ai livelli 3-5-7 del Qnq (Quadro nazionale delle qualificazioni).

Per lo svolgimento della professione, la norma Uni, infine, individua i cosiddetti “compiti comuni”, ovvero quelle attività che un professionista della comunicazione è chiamato a sviluppare a prescindere dalla sua specializzazione, che prevedono cinque fasi di processo: analisi, progettazione, attuazione, monitoraggio, valutazione, conclusione.

Parliamo di una figura apicale, che può e deve stare nella “stanza dei bottoni”, e che ora assume un livello di responsabilità e di condivisione mai evidenziato prima

Il cambio di registro riguarda l’approccio e il modello di prestazione professionale: il comunicatore è definito un manager in grado di relazionarsi con i vertici, a salvaguardia della notorietà, della reputazione e del “contenimento del rischio” delle organizzazioni in cui opera. È un manager apicale, che può e deve stare nella “stanza dei bottoni” che – grazie alla norma Uni – assume un livello di responsabilità e di condivisione mai evidenziato prima. È un manager che analizza, interpreta, propone, indirizza e risolve situazioni difficili e critiche. È una figura dirigenziale necessaria nelle imprese pubbliche, private e non profit, perché non si può più fare a meno di quel manager in grado di gestire complessità.

INPGI: tagli non risolutivi e ipotesi irrealizzabili

La storia infinita continua.

La trama è sempre la stessa: le difficoltà dell’INPGI, L’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, aumentano non di anno in anno, ma di giorno in giorno, con perdite da capogiro. Causa: diminuiscono i contribuenti attivi – giornalisti assunti – e aumentano i pensionati, grazie anche – se non soprattutto – ai prepensionamenti consentiti dalle politiche di sostegno all’editoria.

La soluzione prospettata dai vertici INPGI, ripetuta a dispetto dell’evidenza, è l’allargamento della platea ad altre figure professionali, comunicatori, grafici, poligrafici, web master e chi più ne ha più ne metta. Allargamento che ha ricevuto opposizioni motivate e decise, non solo da parte dei lavoratori non giornalisti, ma anche dall’interno del mondo giornalistico.

Tre consiglieri di amministrazione di INPGI hanno diffuso un comunicato che abbiamo letto con grande attenzione. Un resoconto puntuale della riforma dei tagli a danno dei giornalisti che dimostra quanto ancora si è lontani da una soluzione concreta. Lo pubblichiamo integralmente all’unico scopo di contribuire a fare chiarezza.

Dopo quattro anni di proposte e controproposte, è improcrastinabile avviare un percorso rigoroso e corretto su questioni complesse, che non possono più ricevere risposte parziali e temporanee dalle Istituzioni.

Il tema del futuro dell’informazione è un nodo centrale che va affrontato dal Governo con tutti gli attori della “produzione di contenuti”, attraverso Tavoli Tecnici congiunti di rappresentanza di tutte le realtà coinvolte. Non si tratta di avviare una trattativa, di mettere in atto azioni a difesa di interessi di parte. Si tratta di trovare soluzioni in grado di garantire lo sviluppo dell’occupazione sana, di individuare nuovi modelli di lavoro, di interpretare e gestire le sfide del futuro della digitalizzazione. E non c’è più molto tempo.

 

INPGI, appello alla concretezza

La storia si ripete e ritorna alla ribalta della cronaca che l’unica soluzione per “salvare l’INPGI” sarebbe l’allargamento della platea ai Comunicatori.  Una storia che si ripete da oltre tre anni, che pone una serie di interrogativi che, da tre anni, non trovano risposta.

I numeri: meno 242,2 milioni di euro il disavanzo del bilancio 2020, meno 188,4 milioni la differenza tra entrate contributive e uscite per le pensioni, meno 15mila i giornalisti attivi, per la precisione 14.700 a dicembre 2020, a fronte di quasi 10 mila pensioni pagate.

Il contesto: il mercato esige professionalità complesse a valenza digitale, e nemmeno il giornalismo può sottrarsi al cambiamento dei modelli produttivi dell’informazione. Nuovi modelli, nuove professionalità giornalistiche. Non altre figure professionali che esprimono diverse competenze.

I numeri e il contesto giustificano in qualche modo le difficoltà finanziarie dell’INPGI, senza entrare nel merito delle “prestazioni sostitutive dell’INPS” che avrebbero eroso milioni di euro all’ente privato dei giornalisti.

La questione, come sempre, riguarda le soluzioni possibili.

Se fosse necessario allargare il bacino dei contribuenti dell’INPGI, sarebbe necessario farlo con quei professionisti che svolgono l’attività giornalistica e non con altre figure professionali che nulla a che fare con “il diritto all’informazione” e “la libertà di stampa”.

Bisogna fare chiarezza ed essere trasparenti. Abbiamo ascoltato con grande attenzione e rispetto i vertici INPGI nell’audizione alla Commissione bicamerale di controllo sugli enti di previdenza avvenuta ieri, 27 maggio. I Comunicatori hanno diritto di capire che cosa significa in concreto l’affermazione della presidente Macelloni  “….abbiamo consegnato al tavolo e ai ministeri relazioni attuariali diverse e fatte a seconda di varie ipotesi, secondo le quali si conferma che con un allargamento della platea riferito ai numeri della potenziale platea di Comunicatori, l’istituto può conservare la stabilità e riportare i conti in ordine e il patrimonio in crescita. Questo dovrebbe essere già di per sé una garanzia per i nuovi iscritti.”

Quanti Comunicatori servirebbero? Come sarebbero individuati? Con quali criteri sono stati effettuati i calcoli attuariali? Su quali retribuzioni medie annue? E ancora: quali dei molteplici profili professionali della Comunicazione sarebbero coinvolti? Solo chi produce contenuti a nome e per conto delle aziende e delle organizzazioni (contenuti che nulla a che fare con il diritto all’informazione e la libertà di stampa)? Grafici? Web master? Pubblicitari? Content marketing?

Siamo contenti di apprendere che tutti auspicano la presenza dei sindacati confederali ad un Tavolo Tecnico, da noi richiesto alle Istituzioni competenti insistentemente da tempo. Sindacati confederali che non ci risulta siano d’accordo sull’ipotesi del salvataggio INPGI a spese dei Comunicatori.

Le questioni sono tante e tutte necessitano di analisi e soluzioni concrete. Anzi fattibili.

UNI: in arrivo la nuova edizione della norma sulla figura del comunicatore professionale

COMUNCIATO STAMPA

È in inchiesta pubblica finale in queste settimane il progetto di norma UNI1605641, che qualifica la figura del Comunicatore professionale.
Il documento, che ha per titolo “Attività professionali non regolamentate – Comunicatore professionale – Requisiti di conoscenza, abilità e autonomia e responsabilità“, è liberamente scaricabile dalla nostra banca dati online ed è aperto ai commenti di chiunque sia interessato al tema.

Il progetto, sviluppato dal Gruppo di Lavoro UNI/CT 006/GL 06 “Figure professionali operanti nell’ambito della comunicazione” della Commissione “Attività professionali non regolamentate“, definisce appunto i requisiti relativi all’attività del Comunicatore professionale, revisionando la norma UNI 11483 del 2013.

Questi requisiti, come per le altre norme del settore APNR, sono specificati a partire da compiti e attività specifiche e declinati in termini di conoscenze e abilità, così da identificarne chiaramente il livello di autonomia e responsabilità in coerenza con il Quadro Nazionale delle Qualificazioni (QNQ) e del Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF).

Tali requisiti sono inoltre espressi in maniera tale da rendere omogenei e trasparenti, per quanto possibile, i relativi processi di valutazione della conformità.

Il Comunicatore professionale viene definito come quel professionista che si occupa della comunicazione come asset strategico di sviluppo di istituzioni, organizzazioni pubbliche, private e non profit e persone fisiche, e che svolge la propria attività a forte contenuto intellettuale e multidisciplinare – di tipo sia esecutivo che manageriale – in qualità di libero professionista, imprenditore, dipendente o altre forme.
Il Comunicatore professionale progetta e realizza quindi strategie di comunicazione coerenti con gli obiettivi dell’organizzazione in cui o per cui opera.

Il documento individua cinque ambiti di riferimento da cui derivano i relativi profili specialistici:

  1. Comunicazione Pubblica ed Istituzionale
  2. Comunicazione d’Impresa
  3. Comunicazione Tecnica
  4. Comunicazione Politica
  5. Comunicazione Sociale per il Terzo Settore

 

In termini di competenze, a seconda dei livelli di autonomia e responsabilità associati all’esercizio dell’attività, il Comunicatore professionale può essere inquadrato come Junior, Expert o Senior.
Per ciascuno di questi livelli, il progetto di norma specifica innanzitutto i compiti comuni a tutti i profili individuati e i compiti specifici, secondo uno schema a matrice di facile consultazione.

Vengono poi definite le conoscenze e le abilità comuni e specialistiche del Comunicatore professionale.

Il documento si completa di una Appendice A che specifica le linee guida per la valutazione della conformità relativa ai risultati dell’apprendimento, e una Appendice B che fornisce un inquadramento generale per la realizzazione di una infrastruttura della cultura dell’integrità professionale, delineando quindi gli aspetti etici e deontologici applicabili.

Il progetto di norma è in inchiesta pubblica finale fino al 1° giugno prossimo.

Un auspicio lesivo dei diritti dei Comunicatori

di Rita Palumbo

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, sempre cauto ed equilibrato nelle sue dichiarazioni pubbliche, questa mattina è scivolato su un tema che lo vede anche docente universitario: il diritto costituzionale. Che il capo del Governo auspichi un allargamento della base contributiva di un Istituto di Previdenza privata – INPGI – con i contributi di altri soggetti che nulla hanno a che fare con il giornalismo, è incomprensibile. Anzi ingiustificabile se una “deportazione contributiva” imposta ex legge si configuri anche come un danno erariale.
FERPI è impegnata da tempo nella cosiddetta “questione salvataggio INPGI”, una battaglia che si può definire di trasparenza e di diritto costituzionale. Un impegno che – grazie anche alla nascita di ReteCoM, la Rete delle Associazioni per la Comunicazione e il Management – ci ha visto riuscire nel fronteggiare ogni tentativo di anticipare o accelerare l’allargamento delle base contributiva dell’INPGI con i comunicatori. Anche a dispetto della legge n. 58 del 2019 che per “salvare” l’Istituto, stabilisce un preciso piano di interventi e NON parla di comunicatori.
La dichiarazione del presidente Conte di questa mattina durante la conferenza stampa di fine anno lascia sbalorditi soprattutto perché smentisce quanto il Governo stesso ha comunicato il 9 dicembre scorso ai vertici INPGI, ma anche – se non soprattutto – perché “la deportazione contributiva produrrebbe solo effetti negativi”.
Così come è stato comunicato più volte anche in sedi istituzionali, le profonde e dichiarate criticità finanziarie dell’INPGI non possono essere risolte obbligando migliaia di soggetti a cambiare ente previdenziale, penalizzando un Istituto cardine del nostro sistema di welfare come l’INPS, ancor più oggi che stiamo vivendo una drammatica crisi sanitaria, economica e sociale, non tutelando comunque, in termini di sostenibilità, le pensioni attuali e future di giornalisti e comunicatori.
L’allargamento della platea contributiva dell’Istituto privato, non solo impone un complesso percorso normativo, ma è un progetto di difficilissima realizzazione per vari motivi:

  • problemi di applicabilità della norma per la difficile interpretazione dei requisiti di identificazione dei comunicatori in qualità di soggetti passivi della contribuzione trasferibile; senza sottovalutare i profili di presunta incostituzionalità sostenuta da eminenti giuristi;
  • ripercussioni sulla sostenibilità complessiva del sistema previdenziale pubblico nel trasferimento di contributi da una cassa pubblica ad una cassa privata;
  • appesantimento degli oneri amministrativi per le imprese, laddove molti comunicatori sono dipendenti di aziende che si troverebbero costrette a effettuare due diversi livelli di contribuzione;
  • possibile aggravio contributivo derivante da effetti di ricongiunzione di distinti periodi assicurativi;
  • possibili rischi sulle pensioni future dei comunicatori anche per l’impossibilità di verificare/gestire l’andamento della governance e della gestione INPGI in quanto appannaggio esclusivo, per Statuto, di giornalisti ed editori.

Non possiamo che auspicare, quindi, che l’auspicio del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sia archiviato come un incidente di percorso e che il Governo avvii quel necessario confronto con tutte le Parti Sociali coinvolte per progettare un progetto sostenibile di salvaguardia non solo delle pensioni dei giornalisti ma dei diritti di tutti i soggetti che a vario titolo operano nell’ambito della Comunicazione.

INPGI: frena l’ipotesi di una deportazione contributiva dei comunicatori

Come confermato di recente anche da fonti governative, il disavanzo finanziario dell’INPGI non può essere risanato con l’allargamento della base contributiva ad altri soggetti professionali. Questa è da sempre la posizione di ReteCoM, la Rete delle Associazioni per la Comunicazione e il Management che chiede di poter aprire tavoli di confronto con tutti gli attori del mondo del giornalismo e della comunicazione 

 

 

17 dicembre 2020 – ReteCoM, la Rete delle Associazioni per la Comunicazione e il Management, cui aderiscono CIDA, CONFASSOCIAZIONI, ASCAI, COM&TEC, FERPI, IAA, UNA e Manageritalia, ha appreso di un recente incontro tra il Consiglio di Amministrazione dell’INPGI e alcuni rappresentanti del Governo in merito al salvataggio dell’Istituto di previdenza dei giornalisti a causa del suo grave squilibrio previdenziale. 

Durante questo incontro è emerso l’orientamento – che ReteCoM ha sempre sostenuto – dell’inutilità della migrazione contributiva di migliaia di Comunicatori dall’INPS all’INPGI. ReteCoM fin dall’inizio ha infatti sottolineato che mai avrebbe accettato di avallare una deportazione contributiva che avrebbe forse rinviato il problema, impedendo il commissariamento dell’Istituto, ma lasciato al futuro previdenziale incerto i comunicatori subentrati e i giornalisti presenti.   

È stato dimostrato – ora anche da fonti governative – che lallargamento della platea contributiva con l’ingresso forzato di altre categorie professionali, per esempio i comunicatori pubblici i cui contributi ammonterebbero a poco più di cinquanta milioni di euro l’anno, era e resta insufficiente a salvare le pensioni dei giornalisti e non sarebbe comunque in grado di coprire gli altri 200 milioni annui necessari a portare l’INPGI definitivamente fuori dalla situazione drammatica in cui si trova.

ReteCoM è dunque ancora più convinta di aver avuto ragione. Per questo ha più volte espresso contrarietà, motivandola e supportandola con dati e analisi, a qualsiasi operazione legislativa di natura puramente contabile e assolutamente non risolutiva che provocherebbe effetti profondamente negativi in termini di orizzonte pensionistico oltre che ai nostri professionisti della comunicazione anche alle gestioni dell’INPS che si vedrebbero sottrarre ulteriori risorse contributive da destinare ad una cassa previdenziale gestita in forma privata.

ReteCoM rimane solidale con i colleghi giornalisti e per questo auspica che si trovi al più presto una soluzione per risolvere una volta per tutte la questione previdenziale degli iscritti all’INPGI.

E chiede, come sempre, di essere coinvolta in confronti e/o decisioni che possano coinvolgere i comunicatori per ribadire, ancora una volta, la posizione delle Associazioni che riunisce, confidando di non dover ricevere più solo da fonti giornalistiche notizie sul futuro dei professionisti della Comunicazione.

 

Maurizio Incletolli – Presidente ASCAI, Associazione per lo Sviluppo della Comunicazione Aziendale

Mario Mantovani – Presidente CIDA, Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità

Tiziana Sicilia – Presidente COM&TEC, Associazione Italiana per la Comunicazione Tecnica

Angelo Deiana – Presidente CONFASSOCIAZIONI, Confederazione Associazioni Professionali

Rita Palumbo – Segretario Generale FERPIFederazione Relazioni Pubbliche Italiana

Alberto Dal Sasso – Presidente IAA Italy ChapterInternational Advertising Association

Andrea Cornelli – Vicepresidente UNA, Aziende della Comunicazione Unite

Comunicatori nell’Inpgi? Inutile, dannoso per l’erario e anticostituzionale

Intervista di Gianluca Vacchio di AdGInforma a Rita Palumbo.

Il giornalismo, mestiere con un livello di credibilità ai minimi storici, è una professione al collasso; l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti (Inpgi) – con una previsione di bilancio 2020 in passivo di 253 milioni – è un istituto in dissesto. Come uscirne? Parte del mondo del giornalismo – ma l’idea è accarezzata anche dal sottosegretario all’Editoria Andrea Martella – guarda al comparto della comunicazione come ad una vera e propria panacea. AdgInforma.it ne ha parlato con Rita Palumbo, che ha risposto in una doppia veste: Segretario generale Ferpi, Federazione italiana relazioni pubbliche che ha appena compiuto 50 anni; e come ideatore e coordinatore di ReteCom, l’insieme delle associazioni della comunicazione e il management, che ha al suo interno, oltre a Ferpi, anche Cida (Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità), Confassociazioni (Confederazione associazioni professionali), Ascai (Associazione per lo sviluppo della comunicazione aziendale), Una (Aziende della comunicazione unite), Iaa Italy (International advertising association chapter Italy) e Com&Tec (Associazione italiana per la comunicazione tecnica).

Qual è la vostra stima sul numero dei comunicatori in Italia? “Coinvolgendo nel nostro mondo anche tutti coloro che fanno comunicazione digitale – quindi ad esempio i web designer, media social manager e quant’altro – superiamo le 350 mila unità”, ha esordito Palumbo.

Un esercito… ma tutti questi professionisti non sono iscritti ad un albo professionale? “Assolutamente no. Per fare il comunicatore non c’è bisogno di essere iscritti all’Ordine dei giornalisti e non c’è correlazione col mondo del giornalismo. La comunicazione è un mestiere profondamente diverso dall’informazione. Si inseguono obiettivi e scopi diversi. L’informazione, regolata tra l’altro dall’articolo 21 della Costituzione, rispetta regole per informare liberamente e correttamente i cittadini. La comunicazione, invece, è un asset strategico di attività e strumenti per comunicare all’esterno interessi di parte”.

È chiaro, sono due mestieri diversi. Ma perché non unire le platee? “I due mestieri non devono essere confusi. Unire le platee – ha allargato le braccia il Segretario Ferpi – andrebbe ad inquinare entrambe le professioni”. Insomma, i comunicatori sono contrari a pagare i contributi all’Inpgi? “I comunicatori si augurano che l’istituto dei giornalisti si salvi – ha chiarito Palumbo – ma non possiamo essere noi a salvarlo”. Perché? “Per due motivi. Come ho detto sono due professioni distinte. Inoltre non esiste un contratto di lavoro di riferimento, i professionisti che svolgono le mansioni nell’ambito della comunicazione hanno il CCNL di settore. Gli interlocutori non saremmo noi, ma i Sindacati, Confcommercio e Confindustria. L’istituto di previdenza dei giornalisti ha una voragine di bilancio nella Cassa Inpgi 1, ovvero quella dei dipendenti. Quindi la partita è non solo con chi allargare la platea dei contribuenti, ma come e con quale contratto”.

Chiaro, due mestieri diversi, regolati da leggi e contatti diversi. Metterli insieme è una stupidaggine. “Esatto, ma ammesso e non concesso che si trovasse un’alchimia normativa e tutti i comunicatori delle grande imprese passassero all’Inpgi, sarebbero comunque troppo pochi – ha aggiunto Palumbo -. Anche se riuscissero a deportare i nostri contributi da Inps a Inpgi, non si colmerebbe quella voragine. Questo è il nodo centrale”.

Un terzo motivo per non procedere, insomma. Eppure 350 mila nuovi contribuenti non sono affatto pochi. “Il mondo della comunicazione è caratterizzato in maggioranza da liberi professionisti e Partite Iva, non sono assunti a tempo indeterminato. Senza contare che molti dei dirigenti assunti, spesso cambiano settore e passano dalla comunicazione ad altri comparti con altre funzioni, rimandando a quel livello contrattuale indicato nel CCNL di settore. Che si fa in quei casi? Chi sceglie chi dovrà contribuire all’INPGI 1 e non più all’Inps?”

Eppure molti giornalisti sono diventati comunicatori. E fanno un ottimo lavoro. “C’è un nodo da sciogliere insieme, e riguarda l’attività di ufficio stampa. Nella scienza della comunicazione di natura anglosassone – ha spiegato la Palumbo – l’ufficio stampa di un’azienda ha come stakeholder i giornalisti. Nella crisi che sta vivendo il nobile mestiere del giornalismo, in molti si dedicano nell’unico ambito della comunicazione in cui possono mettere a fattore le proprie competenza. Ma è una stortura del sistema”.

Ma allora cosa bisognerebbe fare? “Martella – ha suggerito il Segretario Ferpi – deve intervenire sulle aziende editoriali, deve salvare le imprese, stanziare fondi dedicati, cristallizzare le società e creare occupazione giornalistica stabile. Pensare di mettere questa toppa fa male ai giornalisti e ai comunicatori. Martella deve difendere la professione dei giornalisti non inquinarla. E la salvezza della previdenza dei giornalisti passa dalla salvaguardia dei loro posti di lavoro”.

Eppure Martella, e non solo, sembra deciso a procedere sull’allargamento della platea contributiva dell’Ingi con i comunicatori. Ne avete parlato? E cosa ci dobbiamo aspettare da parte vostra? “Certo che ne abbiamo parlato con il Sottosegretario Martella e in quella occasione sull’argomento mi è sembrato facesse un po’ di confusione. Se si deciderà di procedere per legge, faremo una levata di scudi, anche perché sarebbe anticostituzionale. Senza contare che sarebbe un danno enorme per l’erario. Togliere la contribuzione all’Inps, già sotto pressione per le politiche assistenziali, a favore di un istituto di previdenza privato è un danno erariale – ha concluso la Palumbo – e un torto per migliaia di persone che non vogliono essere deportate in una cassa privata che non riguarda il loro lavoro”.

 

Pronti partenza e…

C’è un omissis nel titolo di questo articolo, volutamente. Manca la parola VIA quella che il Governo Italiano ancora non pronuncia per il settore delle crociere.
Il Paese è di nuovo in movimento, tutto è ripartito, tranne la Scuola, e chissà se ripartirà a settembre, e gli Atenei, rimasti chiusi fino all’ultimo appello, mentre teatri e cinema trovano la loro sede all’aperto, per fortuna.
Il Paese è di nuovo in movimento, certo un po’ stentatamente e con risultati non soddisfacenti, ancora. Le misure di sicurezza non consentono di riempire negozi, centri commerciali, ristoranti e altri luoghi chiusi. Bisogna mantenere la distanza di sicurezza anche in spiaggia, evitare gli assembramenti, tranne poi che nelle piazze e nelle vie della movida accade di tutto durante il weekend. E la mascherina deve essere sempre indossata su naso e bocca in tutti i luoghi chiusi.
Ma almeno il Paese è ripartito e con esso anche il comparto del turismo e della ristorazione. Aerei, traghetti, aliscafi e navi sono abbastanza pieni, e, anche se c’è un cambio di prenotazione, alla fine si parte.
I dati non sono incoraggianti, certo, ma si sa che la stagione estiva per quest’anno lascerà, in ogni caso, ferite non rimarginabili.
Mancano i turisti stranieri e questo è un brutto colpo da sopportare. Alberto Corti, Responsabile del Settore Turismo di Confcommercio stima che quest’anno ne arriveranno tra il 75 e l’80% in meno rispetto al 2019; gli italiani che andranno in vacanza saranno il 20% in meno e le perdite per il mese di luglio per la Coldiretti sono già di 3 miliardi di euro. Se non arrivano i turisti si lavora meno nei ristoranti, bar, gelaterie e pasticcerie; hotel e pensioni che offrono colazione, mezza e intera pensione ordineranno forniture alimentari più contenute a discapito della distribuzione. Aggiungiamoci poi il danno indiretto, quello, cioè della mancata promozione di prodotti locali e souvenir Made in Italy che tanto contribuiscono a rafforzare il brand Italia nel mondo.
Vi è un turismo di prossimità, si cerca la vacanza non lontano da casa, un po’ per paura di varcare perfino i confini regionali, un po’ perché la vacanza quest’anno sarà più breve per tanti, quindi non vale la pena allontanarsi troppo.
E mancheranno anche tanti turisti italiani, quelli che hanno richiesto il bonus vacanze per poi rendersi conto che l’80% delle strutture non li accetta.
Soffrono i villaggi, i resort, gli hotel e allo stesso tempo fioccano i voucher per la mancata partenza, per la cancellazione di un volo, per una struttura ricettiva che non riesce a sostenere i costi per la riapertura.
E già! Quest’estate soffrono un po’ tutti i comparti del turismo. Mal comune mezzo gaudio? Gli italiani sanno rimboccarsi le maniche e dare il meglio nei momenti di difficoltà e andrà benino anche questa estate.
E con le crociere a che punto siamo?
Sorprese dalla tempesta perfetta, le navi da crociera non hanno avuto altra chance che mettersi alla cappa e aspettare il momento migliore per dispiegare le vele e prendere il largo.
Il Covid-19 si è abbattuto sulle compagnie da crociera con un effetto domino e le ha costrette a fermarsi nei porti dove era necessario bloccare tutto, a seconda delle disposizioni di emergenza intraprese dai governi di volta in volta.
Le navi da crociera non hanno scelto di restare all’ ancora, sono costrette a sbuffare dai fumaioli senza solcare una linea di rotta.
Perché? Il Governo italiano non prende ancora la decisione per dare il VIA al comparto crocieristico.
Il CLIA (Cruise Lines International Association), l’organizzazione mondiale delle compagnie da crociera, sin dalla dichiarazione di pandemia mondiale ha convocato i rappresentanti dei vettori per concordare linee guida e protocolli da adottare durante l’emergenza, per rimpatriare i passeggeri a bordo delle navi ancora in giro per il mondo, per monitorare eventuali contagiati, anche dopo lo sbarco dei passeggeri, per sanificare gli ambienti, per prepararsi al peggio così come alla ripartenza.
Tutti i vettori hanno aperto tavoli di crisi seguendo giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, la diffusione del virus di paese in paese. Ciò che accadeva in Italia in marzo e aprile si verificava in Francia e in Spagna e in Gran Bretagna qualche settimana dopo e via via, come un’onda anomala, il virus è sbarcato in USA, ai Caraibi e in Brasile. Dall’India e i restanti paesi dell’Estremo Oriente, così come dal continente africano le informazioni erano e sono ancora disastrose.
E intanto tutte le flotte si fermavano a poco a poco.
Le navi da crociera, si sa, vivono di internazionalità; senza passeggeri provenienti dai più disparati Paesi e senza scalare i porti internazionali è difficile pensare ad una crociera come viaggio di scoperta. Era difficile pianificare un itinerario all’ interno dei confini nazionali prima del Covid19, certo. Adesso non lo è più perché anche la crociera è stata ripensata secondo i dettami di questa pandemia.
Tra i diversi vettori c’è chi sospende gli itinerari come la Princess Cruises fino a metà dicembre, proteggendo le commissioni degli agenti di viaggio sulle prenotazioni finora saldate.
Royal Caribbean Cruise Lines, che nel frattempo ha cambiato nome e logo, adesso Royal Caribbean Group, estende la sua policy di cancellazione “Cruise with Confidence” alle partenze fino al mese di aprile 2022. Per chi prenota ex novo offre la possibilità di cancellare il viaggio fino a 48 ore prima ricevendo un bonus valido fino all’aprile 2022, tariffe garantite come al momento della prenotazione, qualsiasi imprevisto occorra.
C’è chi dice addio ad alcune navi come la spagnola Pullmantur che dismette due tra le sue unità la Monarch e la Sovereign, e forse anche alla Horizon toccherà la stessa sorte mentre è stata avviata la procedura di ristrutturazione economica e finanziaria della compagnia. Qualora la compagnia riuscisse a resistere sul mercato con il marchio Pullmantur, userebbe le navi del gruppo che la ha in proprietà, la Royal Caribbean Group.
MSC Crociere ha già pronte due unità da rimettere in viaggio: MSC Grandiosa che scalerà i porti italiani del mediterraneo orientale e una seconda nave per la parte occidentale.
L’Associazione CLIA spinge per il ritorno all’operatività anticipando i colloqui con i Centers for Disease Control per ripristinare le attività. Adam Goldstein, Presidente di Clia, si è dedicato fino ad ora a tutelare la salute e alle operazioni di rimpatrio dei membri dell’equipaggio ancora a bordo delle navi nelle acque degli Stati Uniti. Adesso è tempo di iniziare un dialogo nell’estensione del No Sail Order che indica “una volontà nello scambio di informazioni e lo sviluppo di approcci al ripristino dell’operatività. “Il fatto che stiamo iniziando a convergere ci rende più ottimisti sul tipo di impegno che stiamo cercando con i Cdc”, ha affermato Goldstein.
E di fatto i colloqui intrapresi con i governatori in Europa hanno contribuito a accelerare la ripresa delle operazioni di crociera, seppur limitate, in Germania e Norvegia.
In nord Europa la tedesca TUI Kreuzfahrten è già ripartita da Amburgo per crociere in Norvegia e presto anche Aida Kreuzfahrten partirà dai porti tedeschi.
“L’UE si è impegnata con noi in modo abbastanza intenso attraverso molteplici cicli di discussione per lavorare verso un orientamento che consenta ai governi nazionali di adottare procedure adeguate, che, in combinazione con i nostri protocolli, crediamo sia ciò che ha consentito la Germania e la Norvegia di ricominciare”, ha detto Goldstein.
La CLIA  ritiene che un numero maggiore di Paesi europei a breve potrebbe iniziare le operazioni di crociera. “Affinché il mercato nordamericano si rigeneri, due cose devono accadere: l’industria delle crociere ha bisogno dell’approvazione dei Cdc per riprendere le operazioni dentro e fuori gli Stati Uniti e i porti di scalo devono accettare le navi”, ha commentato Goldstein. “Questo lavoro critico richiederà tempo, ma è nell’interesse di tutti adottare un approccio reciprocamente convergente”.
Ma ancora niente è deciso e questa incapacità nelle decisioni rischia di affossare il mercato in modo significativo. Da Miami, capitale mondiale del business crocieristico, arrivano notizie drammatiche. Decine di ammiraglie ancora all’ancora, licenziamenti, vendita di alcune navi, rottamazione per altre unità, posticipo delle consegne delle nuove navi ordinate e fermo delle attività di tutto il comparto marittimo e portuale: rimorchiatori, rifornitori di catering e di combustibile, manutentori ordinari e straordinari fermi e cantieri navali senza nuove commesse. Sarebbe ora che il governo italiano autorizzasse MSC Crociere e Costa Crociere a riprendere l’attività circoscritta al Mediterraneo scalando solo porti italiani lungo i 7.914km di costa, isole comprese.
Perché le Compagnie si sono preparate in questi lunghi mesi, hanno formato il personale di bordo alle nuove disposizioni igienico-sanitarie, hanno sanificato ponti, saloni, corridoi, piscine, cabine, cucine, tutti i locali presenti su un hotel galleggiante quali sono le navi moderne con una capacità dai 2.500 a 5.000 ospiti.
MSC Crociere è pronta a ripartire, attende il via libera del governo e fissa anche la data del 16 agosto per sollecitare le parti governative ad una dichiarazione definitiva e ridare avvio a un settore che contribuisce al 3% del PIL italiano e muove un fatturato di 45 miliardi di euro occupando oltre 120.000 lavoratori.
Il comparto crocieristico ha lavorato in questi mesi allo sviluppo di un protocollo per garantire la salute dei crocieristi e degli equipaggi, un protocollo già approvato dal Comitato Tecnico Scientifico che recepisce le normative europee degli Ue Healthy Gateways, un protocollo implementato insieme al team di esperti internazionali messi a disposizione dalle due più note compagnie in Italia.
MSC e Costa resistono affrontando enormi costi aziendali e zero entrate. I due gruppi garantiscono tutti i contratti di lavoro a tempo indeterminato attivi al momento dell’insorgenza della pandemia, hanno chiesto ai collaboratori di lavorare in remoto da casa e hanno fatto appello alla parziale cassa integrazione. Il blocco totale dell’industria crocieristica coinvolge anche i terminal portuali, i fornitori di bordo, le agenzie di viaggio, i vettori incaricati dei trasferimenti a terra, gli operatori delle escursioni.
Le compagnie hanno spiegato al Premier Conte che riprendere l’attività a metà agosto coniuga sicurezza, salute e lavoro. La sola MSC Crociere imbarcherebbe oltre mille marittimi italiani a bordo delle due navi che la compagnia ha progettato di far partire in agosto. Quindi la riapertura garantirebbe immediata occupazione per dipendenti che oggi sono di fatto senza lavoro, con relativo beneficio per le loro famiglie e la comunità. Del resto negli anni, proprio per la loro stessa natura, le navi da crociera sono sempre state all’avanguardia nel prevenire la diffusione dei virus a bordo. E in questi mesi MSC ha messo a punto un proprio protocollo che va oltre le linee guida nazionali e internazionali e si preoccupa di proteggere gli equipaggi e i passeggeri, dal momento della prenotazione fino al ritorno nelle proprie abitazioni. Il modello è pensato anche per la realizzazione di escursioni “protette”, per garantire la sicurezza dei passeggeri e delle comunità locali interessate dalla visita dei turisti. Il Covid ha ribaltato il pianeta. Continuare – con buona dose di disinformazione – a demonizzare o a temere un settore fonte di produttività, redditi e lavoro non sembra una scelta opportuna per tentare di risollevare l’economia italiana.
L’arrivo delle navi e dei turisti nei porti italiani attiverebbe un volano per l’economia di fornitura correlata, che va dal lavoro portuale agli approvvigionamenti di cibo e altre materie prime dal territorio, fino all’indotto legato al turismo.  Se il Governo Italiano non accelera le procedure l’intero settore da 120 mila addetti sarà sull’orlo dell’abisso.
Il più recente  DCPM ha fissato al 31 luglio l’ultima data per decidere il destino delle crociere.
Manca poco per sentire di nuovo le sirene che annunciano la partenza delle navi dai porti delle nostre città.

Comunicazione pubblica, primo passo verso la riforma della legge 150/2000

di Rita Palumbo

Ferpi, uno dei  protagonisti della riforma della legge sulla comunicazione pubblica, questa mattina ha partecipato alla cerimonia  di presentazione, al Ministro per la Funzione Pubblica Fabiana Dadone, del documento programmatico che ha recepito le richieste della nostra associazione in tema di presidio e rafforzamento degli spazi di comunicazione e relazioni pubbliche.

Il documento presentato ricostruisce in 10 punti un approccio volto al rafforzamento degli apparati comunicativi delle Pubbliche Amministrazioni, in un’ottica di recupero di capacità propositiva negli ultimi tempi troppo latente.
Due le figure professionali che andranno a qualificare la nuova area. Al comunicatore sono assegnati i rapporti con il cittadino, gli eventi, la pubblicità, l’editoria, le consultazioni pubbliche e la citizen satisfaction, la redazione delle carte dei servizi e dei bilanci per la rendicontazione sociale (accountability), la gestione di laboratori per la partecipazione civica, la comunicazione interna, la gestione del brand pubblico, le relazioni esterne e istituzionali, l’identità dell’Ente e la comunicazione internazionale. Al giornalista pubblico sono invece assegnati l’analisi e il trattamento delle notizie di interesse dell’amministrazione, la redazione di testi e comunicati, i rapporti con i media, la cura di newsletter e pubblicazioni informative, il fact checking e ogni altra attività attinente al settore dell’informazione.
Un primo passo avanti è stato fatto. Abbiamo apprezzato il tentativo di recupero nel documento del Ministro della strategicità della funzione comunicativa negli Enti pubblici. Non basta infatti la strutturazione di strumenti digitali per modernizzare la PA. E certo le competenza dell’informazione rimangono correttamente nell’alveo dei rapporti con la stampa. Occorre al contrario orientamento strategico e capacità manageriale per innovare le istituzioni pubbliche in un mondo globalizzato e iper-comunicativo. In questo senso, come avviene per i sistemi d’impresa, è giusto e corretto che anche le Istituzioni abbiano al proprio interno professionisti della comunicazione capaci di guidarne i registri di spiegazione di norme e attività, oltre che – come capitato in questa crisi – di guidarne le scelte in materia di comunicazione di crisi e di emergenza. Rispetto a questo aspetto spiace constatare che la figura apicale di funzione, ancora una volta, resti discrezionale e non si abbia avuto la forza e il coraggio di renderla, almeno per alcune tipologie di PA, obbligatoria.
L’importanza che le attività d’informazione e di comunicazione nelle PA siano curate da professionisti è stata ribadita anche dalle associazioni civiche che partecipano all’Open Government Partnership Forum (OGP), l’iniziativa internazionale che mira ad ottenere impegni concreti dei Governi di tutto il mondo per la trasparenza, il sostegno alla partecipazione civica, la lotta alla corruzione dentro e fuori le Pubbliche Amministrazioni.
Per le associazioni civiche presenti in OGP, Daniela Vellutino: “Trasparenza, accountability e i dati pubblici inerenti gli interessi nazionali è necessario siano comunicati ai cittadini in modo standardizzato a livello nazionale. La riforma della legge 150/2000 deve tenere conto del nuovo ruolo dei cittadini: non più utenti-consumatori o contribuenti, ma cittadini attivi, reattivi e proattivi che partecipano ai processi decisionali. Solo un comunicatore pubblico ben formato può garantire ai cittadini il diritto di sapere”.
Adesso anche la riforma della legge 150/00 entra nella fase 3.
Il percorso è appena cominciato e c’è tanta strada, tanto lavoro da fare. Il documento è – e deve essere considerato – un primo passo verso una riforma della legge 150/2000, che vedrà la nostra associazione impegnata ed attenta a evitare interessi di parte e prevaricazioni che nulla hanno a che vedere con la comunicazione pubblica trasparente ed efficiente.

 

Si rafforza il fronte dei Comunicatori e dei Manager

EMERGENZA CORONAVIRUS, l’ITALIA DIVENTA “ZONA ROSSA”. LA RETE DELLE ASSOCIAZIONI DEI COMUNICATORI E DEL MANAGEMENT SI RAFFORZA E RINNOVA L’APPELLO AL GOVERNO 

 

 

Fronte comune del mondo della Comunicazione per supportare Istituzioni e Parti Sociali. Fondazione PUBBLICITÀ PROGRESSO e COMUNICAZIONE PUBBLICA si uniscono a ASCAI, CIDA, COM&TEC, CONFASSOCIAZIONI, FERPI, IAA, UNA per definire un programma di azioni utili al superamento dell’attuale contesto di crisi e al rilancio del Sistema Italia 

 

10 marzo 2020 – Fondazione Pubblicità Progresso e Comunicazione Pubblica aderiscono alla Rete delle associazioni e del management. 

 “Il nostro paese sta attraversando una grave crisi sanitaria che va affrontata facendo squadra – afferma Andrea Farinet, presidente Fondazione Pubblicità Progresso – La coesione sociale del nostro Paese, ormai un’unica indistinta ‘zona rossa’, diventa cruciale per superare questa crisi. Ora più che mai, la comunicazione sociale congiunta tra i diversi protagonisti del contesto comunicativo riveste una valenza fondamentale. Diventa essenziale il passaggio dall’informazione alla comunicazione, basata esclusivamente sull’autorevolezza delle fonti scientifiche con un aggiornamento puntuale e completo. La Fondazione Pubblicità Progresso è in prima linea con i propri Soci Fondatori e Soci Sostenitori per attivare azioni utili alla difesa ed al rilancio del Sistema Italia. Insieme, uniti e coesi, senza faziosità e particolarismi ce la faremo!”

 “Quel che è avvenuto in queste settimane e le decisioni del governo rivolto a tutta l’opinione pubblica italiana richiedono una comunicazione capillare affinché l’emergenza venga affrontata con senso di responsabilità individuale e collettiva – afferma Virgilio Dastoli, presidente di Comunicazione Pubblica – Poiché l’emergenza sta diventando sempre più europea e internazionale è essenziale comunicare ciò che è stato deciso finora e sarà deciso nelle prossime settimane dalle autorità europee perché la protezione dal virus va al di là delle frontiere nazionali

L’emergenza CORONAVIRUS sta generando una crisi giorno dopo giorno sempre più complessa. 

La Rete delle Associazioni dei Comunicatori e del Management, consapevole dell’importanza di una “Buona Comunicazione” in situazioni di complessità, rinnova l’appello alle Istituzioni e mette a disposizione del Paese le competenze, l’esperienza e le capacità progettuali dei propri soci, attraverso un’unità operativa permanente di professionisti altamente qualificati e specializzati in tutte le aree coinvolte nel processo di gestione delle situazioni di crisi nazionale. 

 

Un pool di professionisti, manager, società e agenzie a disposizione delle nostre Istituzioni e delle Parti Sociali a livello nazionale, regionale e locale, in grado di garantire un confronto costruttivo, utile a disegnare insieme i prossimi passi a sostegno delle aziende italiane, dei lavoratori delle famiglie. 

Tutte le Associazione della Rete vantano player e competenze specifiche di alto valore professionale in tutti i campi della Comunicazione e della gestione aziendale. Un patrimonio di cultura e professionalità di cui l’Italia ha bisogno e di cui Forze Sociali e Istituzioni possono avvalersi per rilanciare la reputazione e l’economia del nostro Paese. 

 

 

Maurizio Incletolli, Presidente ASCAI, Associazione per lo sviluppo della Comunicazione Aziendale

Mario Mantovani, Presidente CIDA, Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità

Virgilio Dastoli, Presidente Comunicazione Pubblica, Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale

Tiziana Sicilia, Presidente COM&TEC, Associazione Italiana per la Comunicazione Tecnica

Angelo Deiana, Presidente CONFASSOCIAZIONI, Confederazione Associazioni Professionali

Rita Palumbo, Segretario Generale FERPI, Federazione Relazioni Pubbliche Italiana

Alberto Dal Sasso, Presidente IAA Italy ChapterInternational Advertising Association

Andrea Farinet, Presidente PUBBLICITÀ PROGRESSO, Fondazione per la Comunicazione Sociale

Andrea Cornelli, Vicepresidente UNA, Aziende della Comunicazione Unite