Facility Manager Day 2018

Un passo oltre il futuro è il tema dell’edizione 2018 del Facility Management Day, che si svolgerà a Milano l’8 novembre al Palazzo delle Stelline di Corso Magenta. 

FM Day è manifestazione unica in Italia. Cuore dell’evento è un’agenda di conferenze e tavole rotonde studiate per approfondire i temi di maggior interesse nel campo della gestione dei servizi.

Il FM Day quest’anno approfondirà argomenti di grande attualità come la possibilità di creare innovazione in azienda, le nuove frontiere tecnologiche della blockchain e dell’IoT, l’intelligenza emotiva come strumento per creare l’ufficio ideale, opportunità e rischi del coworking, la necessità di comunicare il valore del ruolo del Facility Manager alla C-suite e il ruolo del FM nella gestione di una smart city.

Sette le tavole rotonde:

INSEGNARE A VOLARE: Metodi e parole per trasmettere la capacità di innovare alla propria azienda

FACCIAMOCI SENTIRE: Come il Facility Manager può comunicare il proprio valore al Top Management, tavola rotonda moderata da Rita Palumbo, in qualità di Segretario Generale di FERPI,

LA BUONA CONTAMINAZIONE: Condividere lo spazio di lavoro porta valore?

REAZIONE A CATENA: Come la blockchain cambierà il mondo dei servizi

LA CITTA’ PENSANTE: Il ruolo del FM nell’evoluzione dalla smart city alla sensing city e oltre

FACILITY OF THINGS: Come IoT e nuove tecnologie cambieranno la professione del Facility Manager

PER ANDARE DOVE DOBBIAMO ANDARE, PER DOVE DOBBIAMO ANDARE? Facility Manager a confronto

www.ifma.it

Terzo Osservatorio sul giornalismo

Il Servizio Economico-Statistico (SES) dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha avviato la terza edizione dell’Osservatorio sul Giornalismo, una fotografia dell’universo dei giornalisti italiani che dal 2014 mette in evidenza le dinamiche che stanno investendo il mondo della professione giornalistica e l’organizzazione del sistema informativo italiano.

Oltre a un’analisi basata su dati secondari (fonti INPGI e Ordine dei giornalisti), l’Autorità ha ritenuto utile condurre nuovamente un’indagine diretta sul campo destinata a tutti i professionisti dell’informazione che svolgono l’attività giornalistica in Italia o per testate italiane all’estero. 

Novità di questa edizione: il SES ha rimodulato il questionario su cui è basata la fase di rilevazione dei dati, integrando in particolar modo la sezione su minacce e intimidazioni ed ha introdotto un percorso specifico per i giornalisti che svolgono attività di comunicazione e ufficio stampa presso enti pubblici o privati. Ma non solo: per la prima volta tra i partner dell’iniziativa c’è FERPI, Federazione delle Relazioni Pubbliche Italiana, che ha collaborato alla definizione del questionario per la parte dedicata ai professionisti della Comunicazione.

La terza edizione del progetto si inserisce nel più ampio contesto formato, da un lato, dalle analisi e dal monitoraggio che il SES effettua periodicamente sull’intero settore dell’informazione (cfr. le indagini conoscitive in fieri su “Informazione locale” e “Piattaforme digitali e sistema dell’informazione“, o il recente “Rapporto sul consumo di informazione“) e, dall’altro lato, dalle nuove attività a garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali intraprese dall’Autorità con l’apposito Tavolo Tecnico.

Il questionario, perfezionato a seguito del confronto con i principali partner dell’Osservatorio, è disponibile online al seguente link per la compilazione da parte dei professionisti dell’informazione e della comunicazione.

Le informazioni raccolte con il questionario sono acquisite in forma anonima e analizzate in forma aggregata, e utilizzate per elaborazioni statistiche per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’Autorità, nel massimo rispetto dei principi in materia di trattamento dei dati personali sanciti dal Regolamento UE n. 2016/679, recante “Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati personali”.

risultati della I edizione (2014), elaborati sulla base delle risposte ricevute da 2.315 giornalisti, sono disponibili a questo link.

risultati della II edizione (2016), elaborati sulla base delle risposte ricevute da 2.439 giornalisti, sono disponibili a questo link.

Per maggiori informazioni: osservatoriogiornalismo@agcom.it

Link al questionario: https://it.surveymonkey.com/r/ossgiornalismoterzaedizione

 

La comunicazione del futuro prossimo

C’è molta confusione su ruolo e funzioni del Comunicatore professionale e conseguentemente sulla valorizzazione economica della prestazione d’opera.

Ma in quale contesto ci muoviamo? Chi sono i comunicatori di oggi? In che modo esercitano la professione? Che cosa chiedono i clienti? Quale sarà il modello di agenzia del futuro più efficace?

L’obiettivo dell’incontro è riuscire a recepire i bisogni degli operatori del settore e definire un modello di classificazione equilibrato che possa rappresentare adeguatamente i vari profili professionali, ma che soprattutto sia una leva di sviluppo per l’intero settore della Comunicazione.

Programma

Ore 17.00 – Registrazione/Accredito

Saluti istituzionali

Umberto Bellini, Presidente Asseprim

Confronto a più voci – La certificazione delle professioni della Comunicazione tra nuovi modelli di business, digitalizzazione e innovazione

  • Andrea Cioffi, CEO e partner di Digital Dictionary, Docente di Pianificazione e Controllo e Digital Communication Management dell’Università Cattolica di Milano.
  • Rita Palumbo, CEO WIP Consulting srl, coordinatore Settore Comunicazione Asseprim, rappresentante Confcommercio al Tavolo UNI/CT 006/GL 06 “Figure professionali operanti nell’ambito della comunicazione”
  • Stefano Saladino,  Entrepreneur, Digital Strategy Manager, consigliere Asseprim

Q&A

Networking Cocktail

www.asseprim.it
www.ferpi.it

Invito

 

Profili e saperi per un mercato delle bussole e non degli orologi

Quali sono oggi le basi di una formazione competitiva di professionisti della comunicazione?

La domanda apre immediatamente una prima riflessione su chi siano oggi i professionisti della comunicazione. Siamo ancora alla classificazione di un tempo, per cui la comunicazione era una competenza specifica –  i mediatori dell’informazione e i connettori dei soggetti interessati alla reciproca conoscenza – che si coltivava in aree specializzate, orientate a produrre media – i giornalisti – o relazioni – i consulenti? Oggi mi pare che questa classificazione stia clamorosamente saltando, per il semplice dato che la comunicazione non è più ancella ma regina della produzione di ricchezza. Si produce ricchezza mediante comunicazione, poi magari ci si procura anche dei pretesti, come la diffusione di prodotti o di servizi, oppure le gestione di attività più o meno pubbliche. Ma il cuore del processo di riproduzione della ricchezza sta proprio nella capacità di elaborare e distribuire narrazioni. Come spiega Mary Douglas “ogni prodotto non coincide più con il suo contenuto ma con il suo racconto”. Dunque il novero dei titolari di forme di comunicazione sta aumentando a vista d’occhio: imprese, professionisti, dirigenti, agenti, ricercatori, apprendisti, servizi, industrie, etc. Persino media. Persino il mondo dell’informazione oggi racconta se stesso.

Questo trend è ulteriormente stressato dalla convergenza con le forme di distribuzione e contatti virtuali. La rete come luogo di commercializzazione e distribuzione ha innestato un altro processo che rende la comunicazione un elemento centrale nelle relazioni umane: la necessità di profilare ogni interlocutore, sia esso cliente, fornitore, collaboratore, dipendente.

In questo contesto la comunicazione diventa pretesto e strumento per far produrre big data, raccoglierli e finalizzarli ad una ottimizzazione di ogni attività. La produzione di big data è diventata a questo punto il motore del processo relazionale, di cui il mercato è uno degli aspetti più rilevanti. Le recenti elezioni politiche ci hanno mostrato come l’evoluzione del sistema relazionale in rete sia ormai l’infrastruttura che tende a sostituirsi alla macchina politica e ad affiancare il sistema istituzionale.

La campagna elettorale infatti si è largamente condotta mediante una continua rimodulazione fra i meccanismi di contatto individuale e selettivo – collegio per collegio, gruppo sociale per gruppo sociale, famiglia politica per famiglia politica – e la elaborazione delle proposte politiche. Cosa è stata la gallina e cosa l’uovo? La raccolta di dati sulle domande politiche sono state matrice delle proposte o viceversa? E successivamente, la centralità dei data base sociali, che grazie ad una continua sovrapposizione di data set – dati di compagnie televisive o telefoniche o multiutility locali intrecciati a flussi di social network – hanno guidato forme di comunicazione di grande impatto elettorale. Parliamo della cosiddetta dark ads, quella forma di promozione diretta ad una moltitudine di singoli elettori, strategicamente collocati, per territorio, nei collegi contendibili, per posizione ideologica, al confine fra questa o quella forza politica, per capacità di orientamento, come opinion leader specifici e locali. Questa tecnica, che analizzo nel mio libro Algoritmi di libertà (Donzelli editori), ha prodotto una pressione rilevante, che in alcune aree, penso in zone come la Campania, o le Marche o l’Emilia, hanno spostato in maniera sensibile scacchieri elettorali. In quest’attività quanto hanno contato le figure intermedie? I consulenti o i competenti di partito? E quanto invece centri di sapere e di elaborazione verticali, come grandi agenzie internazionali o network di hacker?

Sono domande che ci riportano al quesito di partenza: come si sta giocando oggi la partita della comunicazione? Chi è il king? Proprio il libro che citavo prima si occupa di questa domanda: chi e come decide oggi la comunicazione? La risposta è secca: la potenza di calcolo. Oggi l’intera filiera del linguaggio, e dunque del pensiero della comunicazione è identificabile nella titolarità degli algoritmi, o meglio ancora degli automatismi semantici. La costruzione di sistemi, macchine, per parlare e distribuire, e dunque, per raccogliere ed analizzare i dati delle conversazioni, per poi rendere le successive comunicazioni ancora più aderenti e intime all’interlocutore, è il vero centro del sistema.

I dati ci dicono che già oggi il 52% dei contenuti della rete, di tutta la rete non solo la periferia dei social, non è prodotta da esseri umani. Così come i sistemi di raccolta ed analisi dei big data non sono gestiti umanamente. Così come i sistemi editoriali, che guidano l’attività di giornalisti, sono tutti governati da algoritmi. Dunque, torniamo alla domanda: cosa e come deve sapere un operatore della comunicazione per produrre valore? Deve adattarsi al processo di automatizzazione o deve introdurre varianti che diano al suo cliente o collaboratore la massima autonomia e personalizzazione nella progettazione del sistema? Questo non significa che dobbiamo diventare tutti cibernetici, così come non siamo tutti economisti, o tutti politici, o tutti sacerdoti, eppure sappiamo bene come riprogrammare la finalità di sistemi economici, politici o religiosi: riorganizzandone la direzione o il linguaggio.

Oggi gli algoritmi, cioè i titolari e gestori dei pochi algoritmi dominanti, stanno riclassificando le funzioni e le dinamiche del mercato, rendendo ad esempio, i service provider – Google, Facebook, Amazon – cerniere totali delle nostre relazioni, con una subalternità sia dei produttori che degli utenti.

Le nuove imprese, o le aziende che si ristrutturano e che incamerano competenze comunicative continuamente, trasferendo al loro interno funzioni e conoscenze che prima era vantaggioso delegare ai consulenti, costantemente devono aggiornare  strategie e modalità di relazioni e produzioni digitali.

Qual è il valore aggiunto che gli si può proporre? A queste imprese servono più bussole di orologi, più strategie di continua ricollocazione nel flusso dell’innovazione che scie di vincenti da seguire.

Una bussola assolutamente esclusiva e personale per riprogrammare e ricombinare potenze di calcolo, memorie e big dati, in base alla propria strategia e non alla dipendenza da pochi service provider. È  più complicato? Può darsi, ma la lezione che ci viene dal mercato editoriale è che ogni scorciatoia produce desertificazione e marginalità sul mercato.

www.ferpi.it

Internazionalizzazione: strategie, pensiero e competenze, gli ingredienti di una rivoluzione cultura

Il 15 marzo a Milano si è tenuta la seconda edizione de Le Professioni del Futuro, il convegno nazionale firmato da InTribe, con il patrocinio di Ferpi. Il focus di quest’anno è stato il Digital Mismatch, ovvero il divario tra competenze esistenti e le esigenze del mercato. Sulla scia dei risultati dello scorso anno, il dibattito ha confermato che il lavoro c’è ma che riguarda nuovi profili ed impone un nuovo approccio che travolge/stravolge le professioni tradizionali. Si tratta di uno scenario che suggerisce non pochi quesiti, come per esempio: con quali regole verranno gestite le professioni del futuro? Qual è il gap tra esperienza quotidiana e tendenze degli analisti? Quali sono le proposte istituzionali? Come tutto ciò si declina nella realtà economica, sociale e culturale del nostro Paese?Volendo ridurre la visuale, al di là delle ovvie constatazioni, che cosa significa Digital Mismatch per il mercato e per i professionisti della comunicazione? Un’evoluzione o una perdita di identità? Per comprendere il gap tra offerta e domanda del mercato e dare risposte qualificate allo sviluppo del nostro settore, bisogna imparare a gestire i nuovi processi, essere capaci di mitcharei nostri bisogni con le esigenze del mercato. E far sentire la nostra voce.

 

Il lavoro c’è, bisogna solo aggiornarsi e prenderselo. Oggi la parola crisi non esiste più, esiste un nuovo mercato, con nuove regole. Sta cambiando l’intero DNA economico dell’Italia.

Crescono i posti di lavoro ma mancano le competenze

Le aziende ricercano sempre più profili con skill in ambito tecnologico e digitale, che nessuno riesce ad occupare per mancanza di competenze specifiche, questo significa che le persone in cerca di lavoro spesso non sono in grado di rispondere ai requisiti e alle competenze tecnologiche e digitali necessarie alle aziende.

Il Digital Mismatch riguarda ognuno di noi.

Il dato più allarmante è che l’impatto complessivo potrebbe essere di circa 2.000.000 di posti vacanti entro due anni, se non investiamo quanto prima nella formazione di noi stessi e dei nostri dipendenti (fonte: stime InTribe – Osservatorio Digital Mismatch 2018).

Una recente indagine dell’Unione Europea (dati Cedefop) ha evidenziato come entro il 2020, in Italia avremo circa 135.000 posti di lavoro vacanti in ambito ICT (750.000 in Europa); secondo una stima InTribe, questo corrisponderà a circa il 18% delle posizioni lavorative in questo ambito.

Inoltre, fra 2 anni il 25% delle posizioni aperte saranno delle nuove professioni, inesistenti fino a 5 anni fa, e tutte avranno a che fare con il mondo tecnologico e digitale. Esperti di intelligenza artificiale, analisti dei big data ed esperti di cyber security saranno tra le professioni più richieste.

La vera rivoluzione: cambiano le professioni tradizionali

La rivoluzione riguarderà soprattutto le professioni contaminate dal digitale e dalle tecnologie: entro 10 anni il 70% dei lavori evolverà in chiave tecnologica e gran parte delle professioni del futuro saranno evoluzioni di quelle esistenti.

In questa repentina e costante innovazione tutti sono chiamati al continuo aggiornamento professionale. Occorre aumentare le proprie hard skill tecnologiche e verosimilmente questo accadrà per tutta la durata della vita lavorativa.

Le aziende dovranno investire massivamente in formazione, quale asset strategico aziendale, l’alternativa è la perdita di competitività, a totale vantaggio di startup e imprese tecnologiche che, in questo periodo storico, acquisiscono velocemente quote di mercato innovando prodotti, servizi e processi.

Smettere d’imparare significa precludersi l’opportunità di evolvere assieme al mercato e, a tendere, di restarne esclusi.

Lauree STEM e STEAM

La rivoluzione valorizzerà nel breve periodo le lauree STEM (Science, Technology, Engineering e Match) e vedrà la necessità di creare nuovi titoli di studio. L’evoluzione, già avvenuta nel mondo anglosassone e che avverrà anche in Italia nei prossimi anni (circa 5, secondo le stime InTribe) è l’introduzione di una A per ARTS nell’acronimo (STEAM).

Le competenze umanistiche abbinate a quelle scientifiche sono fondamentali per creare un’interdisciplinarità basilare alla corretta applicazione del digitale e delle nuove tecnologie in qualsiasi ambito, anche quelli che fino a qualche anno fa non avevano beneficiato di alcun impatto tecnologico, ma che a adesso ne stanno capendo l’importanza.

www.ferpi.it

La formazione per superare il digital mismatch

Una recente indagine realizzata da Capgemini e Linkedin descrive come il 34% delle imprese italiane abbia perso competitività a causa delle scarse competenze digitali di dipendenti e collaboratori. L’indagine ha inoltre fatto emergere come sempre più persone (circa il 55% dei lavoratori) investano i propri soldi e il proprio tempo per formarsi e acquisire nuove competenze, perché molto spesso le aziende non sono disposte ad investire in formazione.

Dove ha origine il problema?

L’evoluzione digitale sta creando nuove professioni, dando origine ad un fenomeno denominato Digital Mismatch: le aziende ricercano profili in ambito tecnologico e digitale che nessuno riesce ad occupare per mancanza di competenze specifiche.

Una recente indagine dell’Unione Europea (dati Cedefop) ha evidenziato come entro il 2020, in Italia avremo circa 135.000 posti di lavoro vacanti in ambito ICT a causa del Digital Mismatch; secondo una stima Intribe, questo corrisponderà a circa il 18% delle posizioni lavorative in questo ambito. Il Digital Mismatch, però, non è un problema relegabile unicamente alle professionalità dell’ICT, riguarda ognuno di noi e l’impatto complessivo potrebbe essere di circa 2.000.000 di posti vacanti entro tre anni, se non investiamo quanto prima nella formazione di noi stessi e dei nostri dipendenti (fonte: stime InTribe su dati Cedefop, per Osservatorio Digital Mismatch 2018). Questo accade perché la trasformazione tecnologica e digitale è ormai diventata pervasiva, coinvolgendo anche professionalità che fino a pochi anni fa non avevano alcun legame con il mondo digitale (come la commessa, il medico o l’agricoltore). Negli ultimi 20 anni abbiamo infatti assistito ad una accelerazione tecnologica paragonabile ai 400 anni precedenti, acuitasi maggiormente negli ultimi 5 anni. Se fino agli anni ’90 dello scorso secolo le professioni evolvevano ogni 2 generazioni, oggi i cambiamenti sono radicali e nel giro di pochi anni danno origine a nuove opportunità lavorative, inesistenti prima. L’avvicendarsi di nuove tecnologie apre certamente grandi opportunità, ma rende difficile alle aziende restare al passo, sia dal punto di vista tecnologico, sia per la formazione e aggiornamento dei propri dipendenti.

Life long learning

La pervasività della tecnologia ha già cambiato il nostro modo di vivere e sta cambiando il nostro modo di lavorare, oggi un’azienda solida necessita di persone flessibili, disposte ad acquisire nuove competenze e, a volte, a far evolvere il proprio ruolo verso nuove professionalità.

Le aziende, dal canto loro, devono investire massivamente in formazione, quale asset strategico aziendale, l’alternativa è la perdita di competitività e di quote di mercato, a totale vantaggio di startup e imprese tecnologiche che, in questo periodo storico, acquisiscono velocemente quote di mercato innovando prodotti, servizi e processi.

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