Tik Tok: i trend del 2024

Nel report annuale di Tik Tok del 2024 ( What’s next 2024 trend report) sono state annunciate le previsioni sulle tendenze dell’anno, offrendo agli esperti di marketing conoscenze chiave sui desideri e le esigenze in evoluzione della nostra community per configurare l’anno che sta iniziando.

Nel 2024, la community di TikT ok favorirà lo sviluppo di una mentalità trasformativa, che viene definita ‘coraggio creativo’. I brand che dimostrano coraggio creativo su TikTok, forti di un mix di curiosità, immaginazione, vulnerabilità e audacia, saranno quelli che costruiranno connessioni più profonde con la community. Trasformare il coraggio creativo da manifestazionie occasionale a presenza quotidiana nei propri comportamenti e strategie sarà la chiave per il salto di qualità su TikTok. I brand che otterranno maggior successo susciteranno sempre più spesso curiosità globali, rivoluzioneranno gli archi narrativi tradizionali e renderanno più profonda la fiducia con il loro pubblico.

“Nel 2023 la nostra community, forte di oltre un miliardo di persone, è entrata costantemente su TikTok per trovare senso di comunità, sorpresa e divertimento”, dichiara nella nota Sofia Hernandez, Global Head of Business Marketing di TikTok. “In un’epoca in cui la narrazione è diventata prevedibile, TikTok mette in vetrina una creatività che supera il classico schema di inizio, maturità e fine. Nel 2024 vedremo la community di TikTok valorizzare questo aspetto come mai prima. Grazie a un mix di curiosità, immaginazione, vulnerabilità e audacia, il coraggio creativo pervaderà la nostra vita quotidiana”.

Nella redazione del rapporto, gli analisti di TikTok si sono concentrati sulle tendenze più attuabili e durature, con una preferenza per i ‘segnali di tendenza’, cioè quei modelli di contenuto che evidenziano comportamenti e interessi emergenti, che i brand possono sfruttare per dare forma alla loro content strategy a lungo termine.

Questi segnali si possono suddividere in tre categorie:

  1. Suscitare curiosità
  2. Innovare la narrazione
  3. Infondere fiducia

Suscitare curiosità: chi entra in TikTok, cerca molto più di una singola ‘risposta giusta’. Ogni curiosità e interesse porta a prospettive pertinenti, scoperte inesplorate e azioni nella vita reale, grazie alla perfetta combinazione tra scoperta e mentalità attiva. In effetti, i TikToker sono 1,8 volte più propensi ad accettare che TikTok li introduca a nuovi argomenti che non sapevano nemmeno di apprezzare.

Mai come oggi ci sono state così tante opzioni per scoprire nuove idee o cose, ma in compenso mai è stato così complicato trovare risposte pertinenti. Per i brand, questo significa dover creare contenuti iper-rilevanti, piacevoli e utili che sollecitino ogni tipo di curiosità, anche quella che le community non sapevano di avere.

Innovare la narrazione: il finale della storia può arrivare per primo. E possono svolgersi contemporaneamente più archi narrativi. Le community stanno inventando celebrity e narrazioni immaginarie. Sullo sfondo di una realtà che spesso viene percepita come travolgente, i TikToker hanno accolto e condiviso nella community il cosiddetto #delulu, o conforto illusorio. Radicato nella cultura fandom, #delulu è una miscela di fantasia e manifestazione: adottare una maschera nell’attesa di diventare quel personaggio, a cui il pubblico può attingere, fantasticando sulle proprie speranze, sogni o realtà che si autoproclamamo illusorie.

Dai contenuti co-creati al ‘rimanere fedele a #delulu’, su TikTok, il cambiamento in cui tutti possono avere voce ha liberato per tutti una creatività dove voci diverse, formati e argomenti collaborativi stanno rivoluzionando da capo a piedi tutto ciò che sappiamo sulla narrazione tradizionale.

Sono le strutture narrative più intriganti quelle che fanno andare gli spettatori oltre i primi secondi, scendendo più in profondità nella storia: annunci pensati per incuriosire gli utenti e spingerli a guardare 1,4 volte più a lungo.

Infondere fiducia: tra consumatori e brand continua a esistere un crescente divario di fiducia, che spinge il pubblico a cercare coinvolgimento oltre alla singola vendita. I consumatori sono inoltre alla ricerca di brand che guidino un cambiamento sociale positivo e adottino la trasparenza. Stabilire in modo chiaro fiducia e valori del brand è un fattore non negoziabile. E su TikTok i brand possoono contare su una linea di comunicazione aperta con i consumatori e la propria community.

Per i brand, è fondamentale considerare ogni campagna e ogni contenuto organico come un’opportunità per condividere, ascoltare e apprendere, costruendo insieme fiducia e valori di brand per generare una fedeltà più profonda dentro e fuori la piattaforma. Dopo aver visto un annuncio su TikTok, la fiducia degli spettatori nel brand è superiore del 41%, mentre crescono del 31% le probabilità che i consumatori siano fedeli al brand e del 33% quelle che affermino che il brand è in linea con ciò che sono come persona (rispetto a prima di vedere annunci su TikTok). Un fattore che sta orientando l’azione nella vita reale, così come sulla piattaforma.

Il rapporto è supportato in modo solido dai dati del team Global TikTok Marketing Science, raccolti in numerosi studi di ricerca commissionati da terze parti, i cui approcci sono basati su un mix di metodi che spesso comprendono sondaggi quantitativi online, esposizione a stimoli in un finto ambiente TikTok e/o analisi avanzate. In questo rapporto, ci siamo concentrati sugli studi del 2022 e del 2023, che sono i più rilevanti e innovativi e che parlano delle più ampie forze di tendenza in gioco nel 2023 e nel 2024.

Fonte: youmark.it

Marketing digitale: i trend del 2024

L’evoluzione del Digital nel marketing impone costanti modifiche agli strumenti e ai contenuti.  Da Intelligenza Artificiale (IA) a ChatBot, passando per il Video Marketing Interattivo e il Social Commerce, di seguito riportiamo i 5 marketing trend che domineranno il settore del marketing digitale.

Crescita dell’Intelligenza Artificiale nel Marketing

Nel 2024, ci si aspetta una maggiore integrazione dell’intelligenza artificiale nel marketing digitale. Le aziende utilizzeranno algoritmi avanzati per analizzare i dati dei consumatori, personalizzare le esperienze utente e automatizzare alcune attività di marketing. L’IA contribuirà a migliorare la targhettizzazione, ottimizzare le campagne pubblicitarie e fornire raccomandazioni personalizzate.

Il Videomarketing

I contenuti video continueranno ad essere una componente chiave delle strategie di marketing digitale. Nel 2024 assisteremo a una crescente adozione del video marketing interattivo. Questa tendenza coinvolge gli utenti in modo più attivo attraverso sondaggiquiz, e altre interazioni dirette all’interno dei video.

Ciò aumenterà il coinvolgimento degli utenti e offrirà un’esperienza personalizzata utile a formare community social che condividono valori ed esperienza intorno al brand.

Chatbot e Conversation Marketing

Il rapporto tra aziende e utenti si rivela ogni anno sempre più stretto. Clienti e Prospect desiderano comunicare con brand e aziende in maniera one-to-one. Cresce quindi l’uso dei chatbot e il focus crescente sul conversation marketing come leva strategia.

Il conversation marketing è la chiave per costruire connessioni più profonde con i clienti. Questa evoluzione guarda all’automazione delle conversazioni con strumenti basati sull’intelligenza artificiale, con chatbot e interazioni su misura migliora anche la customer experience.

Crescente Importanza dell’Etica nel Marketing:

Con l’aumento della consapevolezza dei consumatori riguardo alla privacy e alla sicurezza dei dati, nel 2024 si prevede una crescente attenzione all’etica nel marketing digitale. Le aziende saranno chiamate a trasparenza nel modo in cui raccolgono, utilizzano e proteggono i dati dei consumatori. Inoltre le aziende che adotteranno strategie di marketing che promuovono valori etici e sostenibili avranno un impatto positivo sull’immagine del brand.

Crescita del Social Commerce

Il social commerce continuerà a prosperare nel 2024, con sempre più piattaforme social che integreranno funzionalità di acquisto direttamente nelle loro interfacce. I consumatori potranno effettuare acquisti senza lasciare le piattaforme social, semplificando il processo di conversione. Le strategie di marketing dovranno adattarsi a questa evoluzione, concentrandosi su contenuti coinvolgenti e strategie di social media per guidare le vendite dirette attraverso queste piattaforme.

Fonte: accademia.me

Cosa succede su internet ogni minuto?

Ogni anno, il rapporto “Data Never Sleeps” di Domo fornisce una serie di statistiche sull’utilizzo di Internet e delle app.  Qui di seguito l’infografica che sintetizza quello che succede su Internet ogni minuto nel 2023.

Secondo Domo in particolare va segnalato che: Gli utenti inviano 6.944 richieste ChatGPT ogni minuto, X sta registrando un maggiore coinvolgimento quest’anno, con 360.000 post di utenti ogni minuto, rispetto ai 347.000 del 2022 e gli utenti Amazon spendono più di 455.000 dollari ogni minuto

Fonte: prima.it

Censis: 9 Italiani su 10 usano internet e smartphone

La dieta mediatica degli Italiani è sempre più orientata alla web tv e alla smart tv, ma tiene anche la tv tradizionale che guadagna terreno su altri device. Il 93% dei giovani usa Whatsapp.

Nel 2022 si registra una contrazione del numero di telespettatori della tv tradizionale (il digitale terrestre: -3,9% rispetto al 2021), una lieve crescita dell’utenza della tv satellitare (+1,4%), il forte rialzo della tv via internet (web tv e smart tv arrivano al 52,8% di utenza, ovvero oltre la metà della popolazione: +10,9% in un anno) e il boom della mobile tv (che è passata dall’1% di spettatori nel 2007 al 34% di oggi: più di un terzo degli italiani). E’ quanto si legge nel capitolo ‘Comunicazione e media’ del 57esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2023 presentato oggi.

Un calo, quello della tv tradizionale, tutto sommato contenuto rispetto a previsioni catastrofiste che volevano il digitale sul punto di non ritorno dopo l’avvento massiccio delle piattaforme streaming. Tanto che la fruizione di tv tradizionale è d’altro canto aumentata tramite smartphone e da parte di una audience di giovani che non disdegnano di vedere il digitale sul display dello smartphone, secondo altre fonti.

Radio e web radio stabili: cresce la radio via smartphone

La radio continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media. Complessivamente, i radioascoltatori sono il 79,9% degli italiani (stabili da un anno all’altro), ma se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale si attesta al 48% di utenza (-0,8% rispetto al 2021), l’autoradio sale al 69% (+4,6%, un incremento da legare alla cessazione delle limitazioni alla mobilità precedentemente imposte a causa dell’emergenza sanitaria), l’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc è stabile al 20,4% e la fruizione del mezzo attraverso lo smartphone diventa sempre più rilevante: lo fa il 29,2% degli italiani (+5,4% in un anno).

Nove italiani su dieci usano web e smartphone

Si registra ancora un forte aumento dell’impiego di internet da parte degli italiani (l’88% di utenza: +4,5%) e di quanti utilizzano gli smartphone (l’88%: +4,7%). Lievitano complessivamente all’82,4% gli utenti dei social network (+5,8%). Invece i quotidiani cartacei, che nel 2007 erano letti dal 67% degli italiani, si attestano oggi al 25,4% (-3,7% in un anno e -41,6% in quindici anni). Si registra ancora una limatura dei lettori dei settimanali (-1,6%) e dei mensili (-0,6%).

In aumento gli utenti dei social. Quotidiani sempre più giù. Il 93% dei giovani usa Whatsapp

Lievitano complessivamente all’82,4% gli utenti dei social network (+5,8%). Invece i quotidiani cartacei, che nel 2007 erano letti dal 67% degli italiani, si attestano oggi al 25,4% (-3,7% in un anno e -41,6% in quindici anni). Si registra ancora una limatura dei lettori dei settimanali (-1,6%) e dei mensili (-0,6%). Gli utenti dei quotidiani online invece aumentano al 33,0% degli italiani (+4,7%), un numero comunque inferiore a quanti utilizzano i siti web d’informazione generici (il 58,1%: +4,3%). Gli italiani che leggono libri cartacei sono il 42,7% del totale, i lettori di e-book sono il 13,4%.

Facebook in calo ma non per informarsi

Tra i giovani (14-29 anni), il 93,4% utilizza WhatsApp, l’83,3% YouTube, l’80,9% Instagram. Si osserva un forte incremento dei giovani utenti di TikTok (54,5%), Amazon (54,3%), Spotify (51,8%) e Telegram (37,2%). In flessione invece Facebook (51,4%) e Twitter/X (20,1%). L’informazione al tempo delle crisi. Nel 2022 i telegiornali, pur mantenendosi in testa nella graduatoria dei mezzi utilizzati dagli italiani per informarsi, sono passati da una utenza del 60,1% al 51,2%. Facebook ha recuperato terreno: dal 30,1% al 35,2%. I motori di ricerca restano stabili al 23,4%. Ma gli italiani prendono le distanze dalla politica: erano il 39,7% le persone interessate a queste notizie nel 2021, sono il 32,4% nel 2022. Si è affievolita anche l’attenzione per le notizie di tipo medico-scientifico, prima alimentata dalla pandemia: gli interessati passano dal 33,4% al 25,5% in assenza del traino della pandemia.

Fonte: key4biz.it

Crescita mondiale: segnali incoraggianti (ma non troppo)

Crescita infelice?

Segnali incoraggianti, ma non troppo, per l’economia mondiale. Il 25 luglio 2023 il Fondo monetario internazionale (FMI) ha pubblicato l’aggiornamento al World Economic Outlook, rivedendo le stime di aprile. Le revisioni lasciano ben sperare, sotto diversi punti di vista: la crescita del PIL mondiale prevista per il 2023 sale dal 2,8% di aprile al 3% di oggi, mentre quella per il 2024 resta stabile al 3%. Buone notizie anche per l’inflazione, che a livello globale dovrebbe scendere dall’8,7% del 2022 al 6,8% stimato per quest’anno (a fronte del 7% anticipato ad aprile).

Cosa spiega questo repentino miglioramento? Tra i fattori citati spiccano la stabilizzazione del sistema bancario dopo le difficoltà di inizio anno e un mercato del lavoro sorprendentemente forte. L’economia mondiale sembra dunque aver imboccato la strada giusta…

Non è tutto oro quel che luccica

…ma il traguardo resta lontano. I miglioramenti nel breve periodo, per quanto innegabili, arrivano infatti dopo anni drammatici, in cui la pandemia e soprattutto la guerra in Ucraina hanno avuto pesanti ripercussioni sull’economia globale. Il peso di questi fattori si vede confrontando le stime pubblicate prima e dopo l’invasione e continua a farsi sentire, con tassi di crescita che rimangono bassi (soprattutto in Europa e, in particolare, in Germania, l’unico paese del G7 che il FMI vede in recessione quest’anno).

I motivi di preoccupazione per il futuro non mancano, a cominciare dalla questione dei tassi di interesse. Con la pubblicazione di oggi, il FMI elogia le politiche restrittive attuate da vari Paesi per placare l’inflazione, ancora a livelli eccessivi. Allo stesso tempo, però, nota che un continuo innalzamento dei tassi di interesse potrebbe comportare un rallentamento dell’attività produttiva. Una valutazione che potrebbe avere risvolti politici?

Ricchi e poveri

Già, perché nei prossimi giorni è previsto un ulteriore aumento dei tassi di interesse da parte di Banca Centrale Europea, Federal Reserve e Bank of England. E, benché combattere l’inflazione resti una priorità, gli effetti collaterali sulla crescita andranno attentamente valutati. Questo vale soprattutto per l’amministrazione Biden che, dopo anni di crescita sostenuta negli Stati Uniti, vuole evitare il rischio di presentarsi alle elezioni del 2024 con una performance economica deludente.

Se i riflettori restano puntati sulle economie avanzate, non bisogna rischiare di perder di vista quello che sta succedendo in quelle emergenti. Il differenziale di crescita tra i due gruppi di Paesi si è ridotto: in altri termini, i Paesi più poveri impiegheranno più tempo a “recuperare lo svantaggio” rispetto ai più ricchi. Insomma, il mondo di domani potrà pur essere un mondo che cresce, ma sempre all’insegna della disuguaglianza.

 

Fonte: Ispi

L’inverno demografico italiano e le sue conseguenze

Per tutta la storia dell’umanità, fino a poche generazioni fa, il rinnovo generazionale era garantito da una elevata fecondità (attorno o oltre i 5 figli in media per donna) che compensava alti rischi di morte in tutte le età della vita. Il passaggio da tale regime a quello contemporaneo viene chiamato “transizione demografica”. Teoricamente tale transizione dovrebbe portare a un nuovo equilibrio con un tasso di fecondità attorno a due figli per donna. Se, infatti, i rischi di morte dalla nascita fino all’entrata in età anziana scendono vicino a zero, bastano in media due figli per sostituire i due genitori. Tale valore rappresenta pertanto la soglia di equilibrio nel rapporto tra generazioni (livello di rimpiazzo generazionale).

Nel caso la fecondità rimanga persistentemente al di sotto, le generazioni più giovani diventano via via meno numerose rispetto a quelle precedenti e la popolazione va a declinare (e invecchiare). Sopra tale soglia, viceversa, la popolazione tende ad aumentare.

LE DINAMICHE DEMOGRAFICHE MONDIALI. I diversi ritmi di crescita demografica nelle varie aree del mondo dipendono dalla diversa fase in cui esse si trovano rispetto al percorso di transizione dall’alta alla bassa fecondità. La fecondità mondiale era ancora attorno a 5 alla metà del secolo scorso e risulta attualmente pari a 2,3 figli per donna. Tale dato, che nelle previsioni delle Nazioni Unite dovrebbe scendere vicino a 2 alla fine del secolo, è però il risultato di situazioni molto diverse nelle varie regioni del pianeta. Se ci sono ancora paesi con un numero medio di figli ben superiore alla soglia di rimpiazzo generazionale (in particolare l’Africa subsahariana ha attualmente un tasso di fecondità attorno a 4,5), sono oramai due terzi gli Stati del mondo scesi al di sotto. Questo secondo gruppo è in continuo allargamento. Non contiene più solo i paesi occidentali, il Giappone e la Corea del Sud, ma sempre più anche altri Stati, compresi i due giganti asiatici (Cina e recentemente India).

Un aspetto importante che risulta sempre più evidente dalle dinamiche di questo gruppo – diventato prevalente e destinato in prospettiva a inglobare tutto il mondo – è che le nazioni che scendono sotto il livello di equilibrio generazionale tendono a non risalire al di sopra ma ad assestarsi, in varia misura, al di sotto. Ciò nonostante, come molte ricerche confermano, il numero di figli ideale sia considerato generalmente pari a due. Questo significa che la transizione demografica non evidenzia, nel percorso finora osservato, il raggiungimento di un nuovo equilibrio. Nei paesi che in teoria l’hanno conclusa, la longevità continua a estendersi da una generazione alla successiva e la fecondità rimane sotto la soglia di rimpiazzo.

Il secondo gruppo di paesi potremmo dividerlo ulteriormente in tre gruppi, ben distinguibili anche all’interno della stessa Europa. Un primo gruppo sta riuscendo a mantenere la fecondità non troppo sotto i due figli per donna. Francia e Svezia sono i due casi più interessanti. Pur nella diversità dei due modelli di welfare, alla base c’è una continua attenzione alla conciliazione tra impegno lavorativo e responsabilità familiari. Il primo paese è stato, sinora, un esempio di solidità delle politiche familiari, mentre il secondo è un esempio di laboratorio in continua sperimentazione.

Un secondo gruppo è costituito dai paesi scesi molto sotto il livello di equilibrio generazionale ma poi risaliti. Vi rientra larga parte dell’Est Europa. Il caso più interessante è però quello della Germania. Come conseguenza degli squilibri prodotti nel tempo dalla denatalità, la componente giovane-adulta tende a ridursi. Gli effetti migliori sulle nascite sono, pertanto, quelli che si ottengono combinando le politiche familiari con la capacità di attrarre e gestire flussi migratori di persone in età lavorativa e riproduttiva. Nel decennio scorso la Germania è il paese che maggiormente ha agito su queste due leve e come conseguenza le nascite sono sensibilmente aumentate, mentre nei paesi dell’Est Europa sono state stabili o con variazioni limitate.

Il terzo gruppo è, infine, rappresentato dai paesi in cui la fecondità rimane persistentemente bassa. Vi rientrano i paesi dell’Europa mediterranea e in particolare l’Italia.

 

ITALIA, IL RISCHIO DEMOGRAFICO. L’Italia è entrata in crisi demografica tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, quando il numero medio di figli per donna è crollato da oltre 2 figli a meno di 1,5, andando poi a posizionarsi su livelli tra i più bassi al mondo. Risulta attualmente uno dei paesi che da più lungo tempo si trovano su livelli così bassi. Le dinamiche recenti, in particolare dopo la grande recessione del 2008, sono state poi ulteriormente peggiorative. Il tasso di fecondità è passato da 1,44 nel 2010 a 1,27 del 2019. Il dato è poi sceso a 1,25 negli anni della pandemia.

L’esito complessivo è un esaurimento della capacità endogena di crescita della popolazione italiana, entrata dal 2014 in fase di declino, con un saldo naturale negativo non più compensato nemmeno dall’immigrazione. La questione che ora si pone non è far tornare a crescere la popolazione (destinata in ogni caso a diminuire), ma quanto lasciare aumentare gli squilibri interni tra generazioni. L’Italia è stato il primo paese al mondo in cui i residenti under 15 sono scesi sotto gli over 65. Quest’ultima fascia d’età ha ora raggiunto l’entità degli under 25 ed entro il 2040 (forse già entro il 2035) supererà anche gli under 35.

L’Italia sarà, inoltre, il primo Stato del vecchio continente a portare entro questo decennio l’età mediana della popolazione oltre il traguardo dei 50 anni (rendendo così prevalenti nella penisola le persone con età superiore al mezzo secolo). Se oggi ci troviamo con un rapporto tra over 65 e popolazione attiva tra i peggiori al mondo, tale valore potrebbe raddoppiare entro il 2050. Secondo le stime ocse (pubblicate nel report “Working Better with Age” nel 2019) siamo il paese con maggiore rischio di trovarsi a metà di questo secolo con un rapporto di 1 a 1 tra pensionati e lavoratori.

 

LE CONSEGUENZE DELLO SQUILIBRIO TRA GENERAZIONI. Per avere un’idea delle implicazioni degli squilibri nel rapporto tra generazioni, supponiamo che esistano nel mondo due paesi. Il primo ha un numero medio di figli per donna che si mantiene nel tempo poco sotto 2. Di conseguenza, pur con un saldo migratorio positivo, la popolazione non cresce ma nemmeno diminuisce (o si riduce molto lentamente). Ogni nuova generazione ha una consistenza sostanzialmente in linea con quelle precedenti. L’invecchiamento della popolazione risulta moderato e determinato di fatto solo dall’aumento della longevità. Diventa quindi più facile gestire tale processo come opportunità da cogliere, investendo sulle condizioni di una lunga vita attiva.

Il secondo paese ha invece una fecondità sotto 1,5. Di conseguenza la popolazione è in sensibile diminuzione: il saldo tra nascite e decessi diventa sempre più negativo e l’immigrazione non riesce più a compensarlo. A fronte di una popolazione anziana che aumenta il proprio peso, la riduzione della natalità rende sempre più debole la consistenza delle nuove generazioni. Si indebolisce la forza lavoro e peggiora fortemente il rapporto tra anziani e popolazione attiva, con conseguente maggiore difficoltà, rispetto al primo paese, sia di produrre ricchezza e benessere, sia di rendere sostenibile e far funzionare il sistema di welfare pubblico. Tutto questo vincola al ribasso anche le risorse che possono essere investite sulle nuove generazioni, in particolare sulla formazione, sugli strumenti di transizione scuola-lavoro, sull’autonomia e la formazione di una propria famiglia. Sempre più giovani preferiranno spostarsi nel primo paese, che fornisce migliori opportunità di realizzazione sia professionale che di vita.

Di fronte a squilibri demografici che aumentano, la stessa immigrazione diventa una leva sempre più debole: un territorio che non offre adeguate condizioni di valorizzazione e di sostegno progettuale agli autoctoni difficilmente diventa attrattivo per giovani dinamici e qualificati dall’estero, i quali tenderanno piuttosto a scegliere il primo paese. In un contesto di questo tipo rischiano di aumentare anche tensioni e diseguaglianze sociali, rendendo più instabile lo stesso quadro politico.

L’Italia è tra le economie mature avanzate che maggiormente si avvicinano a questa situazione. Va aggiunto che le nascite italiane non sono solo a livello basso, ma anche posizionate su una scala mobile che le trascina ulteriormente in giù. Questa scala mobile è rappresentata dalla struttura per età della popolazione, la quale, per conseguenza della denatalità passata, è in progressivo sbilanciamento a sfavore delle generazioni giovani-adulte (la fonte di vitalità di un paese). Più il tempo passa, più diventa difficile (e se continua così tra pochi anni anche impossibile) invertire la curva negativa delle nascite.

I TRE OSTACOLI ALLA SCELTA DI FARE FIGLI. Ovviamente nessuno si convince ad avere figli per l’esigenza di evitare gli squilibri demografici. Tali considerazioni non entrano nel processo decisionale di coppia, ma dovrebbero entrare nelle scelte collettive. Se una comunità considera la nascita di un figlio non solo come costo e complicazione individuale a carico dei genitori, ma come valore collettivo che rende più solido il futuro comune, tenderà a investire su strumenti che mettono chi desidera un bambino nella condizione non solo di averlo ma di accedere anche alle migliori opportunità di crescita.

È utile osservare che ciò che distingue l’Italia dal resto d’Europa non è il numero di figli desiderato (attorno a 2), ma quello realizzato (pari a 1,25). Dal confronto con altri paesi europei con fecondità più elevata, a parità di numero di figli desiderati quello che si nota è la maggior presenza al sud delle Alpi di tre principali scogli. Superarli va nella direzione di favorire la realizzazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, oltre che mettere le persone nelle condizioni di realizzare i propri progetti di vita.

Il primo scoglio è relativo al tempo di arrivo del primo figlio ed è da ricondurre alle difficoltà dei giovani nella transizione scuola-lavoro e nel conquistare una propria autonomia dalla famiglia di origine. Intervenire su questo punto critico è coerente con la realizzazione degli Obiettivi 4 e 8 (“fornire una educazione di qualità equa e inclusiva” e “occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti”).

Il secondo scoglio è quello che ostacola il percorso oltre il primo figlio. Se con la nascita del primogenito ci si trova in difficoltà ad armonizzare l’impegno esterno lavorativo e quello interno alla famiglia (per carenza di strumenti di conciliazione e di misure a favore della condivisione tra madri e padri), difficilmente si rilancia con la nascita di altri figli. Superare questi limiti va nella direzione della realizzazione dell’Obiettivo 5 (“favorire l’uguaglianza di genere”).

Infine, il terzo scoglio è da ricondurre al rischio di povertà di chi sceglie di avere un figlio. Esiste in Italia una forte relazione tra età della persona di riferimento della famiglia e povertà assoluta. Questa relazione si è andata rafforzando e poi consolidando nel tempo. In particolare, per tutto il decennio pre-pandemia il rischio di povertà è stato quasi il doppio tra gli under 35 rispetto agli over 65. A essere lasciata esposta, quindi, a condizioni di vulnerabilità economica è proprio la fase in cui si è chiamati a mettere su basi solide i propri progetti di vita. Un altro dato di rilievo che caratterizza la povertà in Italia è lo stretto legame con il numero di figli. I dati riferiti al 2019, peggiorati poi con la pandemia, mostrano come la povertà assoluta sia oltre il triplo per chi ha tre bambini rispetto a chi si ferma a uno. Contenere questo rischio va nella direzione degli Obiettivi 1 e 10 (“porre fine a ogni forma di povertà” e “Ridurre le diseguaglianze sociali”).

La meno solida posizione nel mercato del lavoro dei giovani italiani, le maggiori difficoltà a conciliare il lavoro di entrambi i membri della coppia con la cura dei figli, le più deboli e frammentate misure di sostegno alle famiglie con bambini, rendono relativamente più rilevante rispetto alla media europea l’impatto di una nascita sull’economia familiare. Anche il costo dei figli tende comunque a essere maggiore, ma soprattutto più protratto nel tempo per la maggiore permanenza nella famiglia di origine.

 

INVERTIRE LA TENDENZA PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. Arrivati all’impatto della pandemia si tratta ora di capire se l’Italia – al netto di un rimbalzo per il recupero di progetti di vita congelati durante la crisi – si porrà in continuità con il passato o se la combinazione tra le misure contenute nel PNRR e nel Family act, adeguatamente implementate su tutto il territorio, darà la spinta necessaria per l’entrata in una fase nuova, di solida inversione di tendenza prima che sia definitivamente troppo tardi. Per riuscirci, partendo dai livelli più bassi in Europa e con una struttura demografica più compromessa, è necessario passare dall’essere stati nel decennio scorso i peggiori a porsi ora come l’esempio da seguire nelle politiche familiari e per le nuove generazioni.

Non è questione di una singola misura, serve un approccio sistemico e integrato. L’aumento delle nascite, dell’occupazione giovanile e della partecipazione femminile, assieme a una immigrazione con possibilità di adeguata integrazione, convergono in modo coerente a portare l’Italia verso lo scenario più alto tra quelli previsti dall’Istat all’orizzonte del 2050, rafforzando le condizioni di sviluppo inclusivo e sostenibile. Viceversa, la depressione ulteriore delle nascite (scenario più basso) si associa anche a persistenti difficoltà dei giovani a formare una propria famiglia, a una bassa conciliazione nelle coppie tra famiglia e lavoro, al rischio di povertà delle famiglie con figli.

 

Fonte: ASPENIA

Settore Orafo-Argentiero-Gioielliero gennaio-maggio 2022

COMUNICATO STAMPA

Export a +36,5% grazie alla locomotiva USA e +4% l’occupazione ma il raddoppio dei costi dell’energia rischia di spiazzare i prodotti rispetto alla concorrenza internazionale

Milano, settembre 2022 – Sulla base delle elaborazioni effettuate dal Centro Studi di Confindustria Moda su dati ISTAT per Federorafi, nei primi cinque mesi del 2022 il settore orafo-argentiero-gioielliero prosegue nel sentiero espansivo e registra una crescita su base tendenziale pari al +36,5% delle esportazioni; l’export si porta, dunque, a poco meno di 4 miliardi di euro, guadagnando un miliardo circa rispetto al medesimo periodo dello scorso anno. Inoltre, nel caso dell’export, si rileva una lieve accelerazione rispetto al primo trimestre chiusosi, si ricorda, a +31,9%. Del resto, le vendite settoriali effettuate nel solo mese di maggio presentano un aumento del +63,7% rispetto al maggio 2021. A confronto con il gennaio-maggio 2019 la crescita risulta altresì molto vigorosa, ovvero pari a +40,3%, corrispondente in termini assoluti a 1,15 miliardi. Il saldo commerciale di periodo ammonta a quasi 3,2 miliardi di euro e supera, similmente alle vendite oltreconfine, di oltre 1 miliardo l’avanzo del medesimo periodo 2021.

Il comparto preponderante (84,1% dell’export qui considerato), ovvero l’oreficeria/gioielleria in oro, presenta una dinamica delle vendite estere migliore della media settoriale, crescendo del +40,5% nei primi cinque mesi dell’anno; la gioielleria in argento sperimenta un incremento dell’export contenuto al +4,4%, mentre quella in metalli placcati, che tuttavia non arriva a 30 milioni di euro, cresce quasi del +150,0%. In termini di quantità, l’export di queste tre merceologie segna una dinamica altrettanto positiva, pari al +11,1% sul medesimo periodo del 2021; pur tuttavia, se rispetto al gennaio-maggio 2020 la crescita raggiunge il +72,5%, resta al di sotto del -1,8% se paragonata con i primi cinque mesi del 2019.

Oltre che per linea di prodotto, con riferimento al settore complessivamente inteso, nel periodo in esame si mantiene molto favorevole l’evoluzione dell’export nei principali mercati di destinazione del settore, pur su tassi di entità differente; unica eccezione è costituita da Hong Kong. Da gennaio a maggio 2022 gli Stati Uniti, confermati in prima posizione come lo scorso anno, sperimentano un aumento del +24,9% rispetto al medesimo periodo del 2021 (+115 milioni circa in valore assoluto); tale mercato assorbe il 14,4% dell’export settoriale totale. Al secondo posto torna la Svizzera, scambiandosi con gli Emirati Arabi nuovamente in terza posizione: tali mercati crescono rispettivamente del +31,4% e del +23,3%. Una variazione molto consistente, nella misura del +123,8%, caratterizza le vendite settoriali destinate in Francia (+255,5 milioni di euro in valore assoluto); nel periodo in esame la Francia raggiunge quasi gli Emirati Arabi, come indica l’incidenza all’11,6% per entrambi. Quinta l’Irlanda, hub logistico-commerciale del settore di recente avvio. Di contro, nel periodo in esame perdono il -1,6% le vendite dirette ad Hong Kong (-3,4 milioni di euro), mentre la Cina, dopo aver sperimentato una variazione del +367,5% nel gennaio-maggio 2021, cede il -21,9% (cui corrispondono quasi -7,4 milioni di euro), portandosi dalla 18° alla 26° posizione; le esportazioni a Hong Kong sono pari a 201 milioni di euro, in Cina a 26,3 milioni nei primi cinque mesi del 2022.

Con riferimento ai maggiori distretti del settore (per i quali i dati sono disponibili solo per codice ATECO CM 32.1 e solo su base trimestrale), nel primo trimestre[1] del 2022 si registra una crescita delle vendite estere del +29,7%, in linea con la dinamica del +31,9% registrata per l’aggregato a livello nazionale nello stesso arco temporale. L’export di Arezzo (che incide per il 32,2% sul totale esportato dall’Italia) evidenzia una crescita tendenziale del +31,1%, mentre Vicenza raggiunge una dinamica pari al +38,4%, assicurando il 21,6% dell’export settoriale nazionale. Il fatturato estero di Alessandria non va oltre ad una variazione del +8,5%, mentre quello della vicina Torino sale del +26,0%. Andamento favorevole interessa anche le vendite oltreconfine della provincia di Milano, in aumento del +40,6%. Si ricordi che le suddette prime cinque province esportatrici coprono ben l’85,1% del totale nazionale.

La Presidente FEDERORAFI Claudia Piaserico, nel presentare i dati in occasione del recente Opening di VicenzaOro ha altresì sottolineato come anche a livello occupazionale si stia consolidando l’inversione di rotta, in quanto, secondo le fonti delle Camere di Commercio, gli occupati al 30 giugno 2022, in relazione con lo stock al 31/12/2021, risultano in aumento del +4,0% corrispondente a oltre mille lavoratori in più. Gli aumenti di maggior rilievo si rilevano in Toscana (36,8% del totale), in Piemonte (41,0%) e in Veneto (20,9%).

A fronte di questi dati positivi, anche sul comparto della gioielleria incombe la minaccia dell’escalation dei costi di tutte le voci di forniture e dei servizi dovute ovviamente all’incremento dei costi delle hard commodities come l’energia elettrica ed il gas che, di fatto, hanno provocato, rispetto allo scorso anno, un raddoppio dell’incidenza percentuale dei costi di queste voci rispetto al fatturato aziendale. Un incremento che sta erodendo i margini delle imprese che saranno quindi costrette a ribaltarlo sui listini rendendo meno competitivi i gioielli italiani rispetto alla concorrenza internazionale Extra-UE, ma anche Intra-UE, che può beneficiare di minori costi essendo in gran parte autosufficiente dal punto di vista energetico.

In ragione di ciò per la Presidente FEDERORAFI Claudia Piaserico occorre intervenire tempestivamente nella direzione già indicata dal Presidente di Confindustria Moda, Ercole Botto Poala, ovvero:

  • scorporare il prezzo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili da quello dell’energia da fonti fossili per ridurre il prezzo medio e incrementare l’attrattività delle rinnovabili.
  • avere una quota nazionale di produzione da fonti rinnovabili a costo amministrato riservato all’industria manifatturiera, come fanno altri paesi in Europa, e intervenire sul costo della bolletta anche utilizzando risorse comunitarie.
  • supportare le aziende nell’investire in efficientamento energetico: le PMI non hanno gli strumenti per farlo in autonomia, perché sono richiesti investimenti importanti. Qui entra in gioco il PNRR che deve essere a portata di piccole imprese per avere un impatto concreto.
  • tutte le forze politiche devono spingere in maniera unitaria in Europa per fissare un tetto al prezzo dell’energia. Solo questo potrà evitare speculazioni che danneggiano tanto i cittadini quanto le aziende. Se non si dovesse riuscire a farlo a livello europeo, è importante riuscire a farlo a livello nazionale.
  • diversificare le fonti di approvvigionamento e aumentare la produzione interna di energia. Solo accrescendo la nostra indipendenza energetica, infatti, porremo le basi perché in futuro queste situazioni non ricapitino e favorire un ecosistema economico che sia davvero resiliente.
  • Infine, nel caso la situazione non dovesse stabilizzarsi nel breve periodo, è fondamentale prevedere sin da subito un piano di razionamento dell’energia. Questo è necessario per essere preparati a ciò che succederà, agendo di conseguenza e organizzandoci per tempo.

Fonte: Federorafi

 

Digital media trends 2022: la ricerca di Deloitte

Ferpi – la Federazione delle Relazioni Pubbliche Italiana – riassume i trend principali che sono emersi dal sondaggio di Deloitte sulle tendenze dei media digitali. Di seguito l’articolo completo.

Il report sulle tendenze dei media digitali di Deloitte si espande oltre il mercato statunitense nel 2022, rilevando trend anche da Brasile, Germania, Giappone e Regno Unito. I risultati del sondaggio di quest’anno rivelano significativi – e spesso sorprendenti – cambiamenti nel comportamento dei consumatori in tutto il mondo. Ecco alcune delle tendenze principali.

I problemi di mantenimento dei video in streaming continuano
Guardare la TV e i film a casa è rimasta la prima scelta di intrattenimento tra gli intervistati in generale, ma molti – soprattutto le generazioni più giovani – sono frustrati con i loro servizi. La generazione Z è la più concentrata sul controllo dei costi e sono tra quelli più propensi a cambiare servizio per usufruire di contenuti a condizioni più vantaggiose.
La ricerca di contenuti attraverso molti servizi e la perdita di contenuti quando lasciano un servizio sono state le principali lamentele.

I consumatori stanno divorando i contenuti generati dagli utenti (UGC)
Circa l’80% degli utenti statunitensi dei social media sono su questi siti almeno ogni giorno.
L’UGC è diventato un riempi-tempo; molti consumatori trovano irresistibile il flusso di video personalizzati alimentati da algoritmi, video gratuiti, di dimensioni ridotte che sono disponibili sempre e ovunque. Ed è in competizione per l’attenzione con altre attività di intrattenimento: negli Stati Uniti, circa la metà dice di guardare più contenuti generati dagli utenti rispetto a sei mesi fa, e la metà passa sempre più tempo a guardare UGC di quanto aveva pianificato – mentre il 70% della Gen Z ha difficoltà a staccarsi.

Gli influencer stimolano il commercio sui social in tutto il mondo
I creatori di contenuti popolari possono diventare influencer, utenti con un grande seguito i cui stili di vita e raccomandazioni di prodotti possono diventare potenti catalizzatori di vendite. Collaborare con gli influencer giusti può aiutare i marchi a raggiungere le comunità desiderate e, sempre di più, a vendere, vendere, vendere.
Gli influencer hanno peso in tutto il mondo: l’88% degli intervistati in Brasile segue un influencer, così come il 79% degli intervistati in Giappone. Negli Stati Uniti, un terzo (e più del 50% dei Gen Z e dei Millennials) dice che influenzano le loro decisioni di acquisto.

La frenesia del gioco è globale, sociale e inarrestabile
Il gioco/video gaming online sta entrando in una nuova fase di crescita e popolarità. Circa la metà dei giocatori negli Stati Uniti afferma che il gioco ha sottratto tempo ad altre attività di intrattenimento: più dell’80% dice di giocare frequentemente o occasionalmente e la metà dei possessori di smartphone gioca quotidianamente su uno smartphone. I giocatori della generazione Z e Millennial giocano di più (in media 11 ore e 13 ore a settimana, rispettivamente), ma la generazione X è vicina, con una media di 10 ore a settimana.
I numeri sono simili tra gli altri Paesi: la maggior parte degli intervistati nel Regno Unito (75%), Germania (78%), Brasile (89%) e Giappone (63%) gioca ai videogiochi frequentemente o occasionalmente.

Le esperienze di gioco confondono il mondo virtuale con quello reale
I videogiochi stanno aprendo la strada verso un futuro digitale ancora più personale e sociale, un futuro in cui la vita digitale e quella reale convergono. Circa la metà dei giocatori statunitensi dice che giocare li ha aiutati a rimanere in contatto con altre persone, mentre quasi il 60% dice che giocare li ha aiutati a superare un momento difficile. E il 61% dice che personalizzare il proprio personaggio di gioco o avatar li aiuta a esprimere sé stessi.
Man mano che le esperienze di gioco diventano sempre più sofisticate e multistrato, stanno costantemente confondendo i confini tra mondo reale e virtuale, avvicinandoci sempre di più alla promessa del Metaverso.

Fonte: Ferpi.it – Valentina Citati

La catena di approvvigionamento globale si è rotta. Ecco tutte le conseguenze per imprese e consumatori

Riparte l’Italia descrive lo scenario attuale della catena di approvvigionamento in questo momento di crisi. Di seguito l’articolo completo.

Gli eventi che si sono consumati in questi ultimi anni, a partire dalla pandemia fino alla guerra in Ucraina, hanno radicalmente trasformato il mondo e con esso la sua “supply chain”. Le catene di approvvigionamento globali moderne, attraverso le quali passano la maggior parte delle merci che usiamo per la nostra esistenza quotidiana, sono state progettate per essere economiche, ma non necessariamente resilienti. Fin dall’adozione dei container negli anni ’60, queste catene di fornitura si sono sempre più globalizzate e hanno governato il decentramento e l’approvvigionamento di un sistema industriale fortemente internazionalizzato.

Negli ultimi 50 anni rendere il trasporto transoceanico e transcontinentale economico e affidabile significava che la produzione poteva spostarsi ovunque i salari fossero più bassi. E questo, a sua volta, significava che la maggior parte delle fabbriche si spostava sul lato opposto del mondo, principalmente in Cina. Ma significava anche, soprattutto per tecnologie complicate come quelle degli smartphone, delle auto e dei computer, che quando i materiali venivano ridotti in parti, e poi in sottocomponenti e infine i prodotti finiti, essi potevano attraversare il mondo più volte.

Il sistema della global supply chain si è “rotto”

L’assemblaggio con parti provenienti da tutto il mondo ha reso il sistema industriale mondiale fortemente dipendente da tre caratteristiche del commercio globale che fino a pochi anni fa, venivano date per scontate. La prima è che le materie prime sarebbero sempre state economiche e ampiamente disponibili. La seconda, che le spedizioni sarebbero costate una frazione del valore delle merci in movimento. La terza che queste spedizioni sarebbero sempre state affidabili. La prima crepa a queste tre certezze si è vista con la guerra commerciale Usa-Cina del 2018. Poi la pandemia ha allargato le crepe.

Ora, le sanzioni contro la Russia, la continuazione della guerra commerciale con la Cina, i disastri naturali e i sistemi di produzione e di trasporto messi fuori uso dall’invasione dell’Ucraina, hanno cronicizzato i problemi e i guasti delle catene di approvvigionamento globalizzate. Per ovviare a questi problemi molte aziende si stanno sforzando di capire come rendere le catene di approvvigionamento più robuste aggiungendo più fabbriche, più fornitori e più fonti di materiali. Non è una deglobalizzazione, ma è un rimpasto costoso e dispendioso dei luoghi in cui le merci e i prodotti vengono realizzati e dei loro centri di smistamento.

Si è corso ai ripari col costoso approvvigionamento multiplo

Nella logistica, questo passaggio dalle catene di approvvigionamento alle reti è noto come “approvvigionamento multiplo”, spiega al Wall Street Journal Nathan Resnick, presidente e co-fondatore di Sourcify, un’entità che aiuta le aziende a trovare e gestire le fabbriche in Asia. Quella di avere un solo fornitore delocalizzato per la produzione di merci e componentistica è stata a lungo una pratica standard, ma a partire dalle più recenti guerre commerciali, le cose sono cambiate e più aziende, anche quelle di piccole e medie-dimensioni, sono state costrette a fare il duro lavoro di rivolgersi a più fabbriche e di sincronizzare diversamente i passaggi delle merci attraverso a questa rete.

Willy Shih è un professore dell’Università di Harvard che consiglia il Dipartimento al Commercio degli Stati Uniti su come puntellare le catene di approvvigionamento nazionali. In un suo recente saggio, Shih ha scritto come la pandemia sia stata un campanello d’allarme per i manager, e come il mondo sembra ora muoversi verso aziende e paesi che stanno trasferendo le catene di approvvigionamento all’interno dei blocchi commerciali regionali dei paesi politicamente alleati. Allo stesso tempo, le aziende stanno riconoscendo la loro vulnerabilità alle interruzioni dell’approvvigionamento e i governi si stanno concentrando verso l’autosufficienza e la salvaguardia dell’accesso ai beni chiave per motivi di sicurezza nazionale. In Cina la chiamano “doppia circolazione”.

Nell’Unione Europea, l’hanno battezzata “sovranità tecnologica”, in quanto si occupa principalmente di salvaguardare la sicurezza dei prodotti tecnologici. Negli Stati Uniti, la legislazione che si prefigge di rafforzare le catene di approvvigionamento nazionali, include i 52 miliardi di dollari dell’America Act, approvato ma non ancora finanziato, volto a riportare negli Stati Uniti la produzione dei microchip, che attualmente si è ridotta al 12% dal 40% del 1990. Ma quali sono i casi più evidenti dell’attuale crisi delle global supply chain?

I lockdown nei grandi porti cinesi 

Shenzhen è uno dei porti più trafficati della Cina. E serve un importante hub di produzione ed esportazione, che comprende il terminal di Yantian, il quale gestisce circa un quarto di tutte le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti: dall’elettronica, ai mobili, agli elettrodomestici e alle parti di automobili. Un focolaio di Covid-19 ha chiuso il terminal di Yantian per quasi un mese a giugno 2021, creando un arretrato di decine di migliaia di container, mentre decine di navi aspettavano settimane fuori Shenzhen per caricare.

Gli operatori hanno dirottato un certo numero di navi verso altri porti, che poi hanno creato colli di bottiglia nei porti californiani di Los Angeles e Long Beach. L’interruzione delle attività di terminal come quello di Yantian hanno finito per congestionare i traffici merci internazionali e hanno fatto lievitare i costi degli spedizionieri. Il prezzo per spedire un container marittimo dalla Cina alla California è salito del 386% rispetto a gennaio dello scorso anno.

Jay Duehring, che gestisce la logistica e il commercio per Specialized Bicycle Components, una società con sede in California che importa circa 1 milione di biciclette all’anno racconta: “Il nostro costo di trasporto è triplicato rispetto allo scorso anno e i tempi di consegna sono raddoppiati a quasi due mesi. I lockdown hanno comportato anche forti restrizioni per i camion che viaggiavano dentro e fuori di Shenzhen e anper quelli da Shenzhen a Hong Kong. Inoltre, anche a Shanghai, il più grande porto del mondo, ci sono state restrizioni ai camion”. Gli ultimi focolai di Covid hanno costretto alcuni colossi come Foxconn, Toyota e Tesla a tagliare la produzione.

Distretto finanziario di Shanghai in lockdown per 9 giorni 

Le autorità di Shanghai hanno annunciato da oggi 9 giorni di lockdown complessivi in più turni per il distretto finanziario cittadino di Pudong e per altre 9 aree. Il lockdown è stato deciso per consentire test di massa contro il Covid. Le persone delle aree colpite dovranno rimanere in casa e il trasporto pubblico sarà sospeso fino al primo aprile. Il blocco di Shanghai determinerà ulteriori “colli di bottiglia” nella catena di approvvigionamenti, visto che stiamo parlando di uno dei distretti industriali più vasti del mondo, da cui si riforniscono moltissime aziende in ogni parte del pianeta.

In pratica, se si blocca la Cina rallenta tutta la catena industriale globalizzata. E Pechino contro il Covid adotta la politica della “tolleranza zero” e cioè risponde alla pandemia con una politica del “pugno di ferro”, mettendo in lockdown milioni di cinesi. La strategia anti-Covid cinese non si basa sulle vaccinazioni, come in Occidente, ma sui lockdown. Il paese ha bassi tassi di vaccinazione tra gli adulti più anziani e molto meno letti ospedalieri di terapia intensiva pro capite rispetto alla maggior parte dei paesi industrializzati.

Una nuova variante

Un’estesa epidemia, o l’emergere di una nuova variante pericolosa potrebbe rapidamente sopraffare gli ospedali, soprattutto nelle aree rurali. Per questo le autorità ordinano blocchi e lockdown molto severi. In risposta anche a un singolo caso di Covid, i funzionari cinesi possono sigillare tutti gli ingressi di un negozio, di un edificio per uffici, di una fabbrica, di un centro congressi, o di un intero quartiere.

Ognuno all’interno dell’area delimitata deve rimanere al suo interno per diversi giorni in quanto tutti sono testati e inviati in isolamento se risultano contagiati dal Covid. In tutto il paese, vengono radunati e testati milioni di cittadini ogni giorno. Una simile politica a Shenzen ha bloccato fabbriche gigantesche come il colosso taiwanese Foxconn, che assembla il 70% di tutti gli iPhone di Apple, oppure gli stabilimenti per la produzione delle Toyota. A Shanghai, che conta 26 milioni di abitanti, negli ultimi tempi si sono concentrati circa il 60% dei casi di Omicron cinesi.

Rispetto all’Europa si tratta di un numero molto basso di contagi, ma la Cina, per il timore che d l’epidemia possa diffondersi nelle province più povere e nelle aree rurali, si è chiusa ugualmente a riccio. Xi ha recentemente affermato che la Cina dovrebbe ridurre al minimo le interruzioni per l’economia per “pagare il prezzo più basso”, tuttavia le autorità non hanno fermato la politica Covid zero. Di conseguenza, il paese più popoloso del mondo è isolato dal resto del mondo da più di due anni. Tutti gli arrivi internazionali sono soggetti a tre o quattro settimane di quarantena e il rilascio dei visti a stranieri diversi dai diplomatici si è quasi fermato.

Egitto, transito Canale di Suez costerà 15% in più

L’Egitto ha annunciato martedì che aumenterà le tasse di transito per le navi, comprese le petroliere, che passano attraverso il Canale di Suez, una delle vie d’acqua più importanti del mondo. L’Autorità del Canale ha indicato sul suo sito web che aggiungerà il 15% alle normali tariffe di transito per navi cisterna e per navi cariche di prodotti petroliferi, rispetto al 5% attuale. Questi aumenti entreranno in vigore dal 1° maggio e potrebbero essere rivisti o annullati in seguito, a seconda dell’evoluzione delle spedizioni globali. Insomma, a Suez la catena degli approvvigionamenti globali non si blocca ma diventa più costosa, contribuendo così all’aumento globale dell’inflazione.

La guerra in ucraina manda in tilt la global supply chain

L’amministratore delegato di Volkswagen, Herbert Diess ha spiegato al Ft che una guerra prolungata in Ucraina rischia di essere “molto peggio” per l’economia europea rispetto alla pandemia a causa delle interruzioni nella catena di approvvigionamento, della scarsità di energia e dell’inflazione. L’Ucraina fornisce il 70% del gas al neon, necessario per il processo di litografia laser utilizzato per produrre semiconduttori, mentre la Russia è il principale esportatore di palladio, necessario per produrre convertitori catalitici e di nickel, un materiale importante per le batterie di auto elettriche. Il blocco di queste materie prime avviene in due modi.

Attraverso le sanzioni occidentali, che vietano le importazioni di queste materie prime per isolare Mosca, oppure per il blocco dei porti ucraini del Mar Nero, finiti sotto assedio, o chiusi per i bombardamenti. Le forniture energetiche russe sono già state interrotte dagli Stati Uniti. Lo scenario peggiore emergerebbe se le forniture energetiche russe all’Europa venissero a loro volta interrotte, il che finora non è avvenuto. Jan Hatzius, capo economista di Goldman Sachs, stima che un divieto Ue sulle importazioni di energia dalla Russia causerebbe un contraccolpo del 2,2% al Pil e innescherebbe una recessione nell’Eurozona.

La crisi alimentare

Inoltre, la guerra in Ucraina ha sicuramente accelerato la crisi mondiale del cibo, che era già in atto prima del conflitto. Un bel po’ del grano, del mais e dell’orzo mondiale è intrappolata in Russia e in Ucraina a causa della guerra, dello stop di Mosca all’export di grano e del blocco dei porti sul Mar Nero, mentre una parte ancora più grande dei fertilizzanti mondiali è bloccata in Russia e Bielorussia. Il risultato è che i prezzi globali dei prodotti alimentari e dei fertilizzanti sono saliti alle stelle, prefigurando un aumento della fame nel mondo. L’allarme lo lancia l’Onu, secondo cui questo mese l’impatto della guerra sul mercato alimentare globale potrebbe spingere da 7,6 a 13,1 milioni di persone a morire di fame.

I prezzi delle materie prime

Qualche altra cifra? Dall’invasione dell’Ucraina del mese scorso, i prezzi del grano sono aumentati del 21%, quelli dell’orzo del 33% e quelli di alcuni fertilizzanti del 40%, perché la Cina e la Russia, che sono i maggiori produttori al mondo di fertilizzanti, hanno entrambi ridotto le loro esportazioni. Insomma, i prezzi delle materie prime sono volati dopo l’invasione della Russia. Il motivo? La maggior parte di queste materie prime non arriva in Europa ma va invece dai porti del Mar Nero a quelli del Medio Oriente e dell’Africa.

Tuttavia, diversi porti sono rimasti chiusi a causa della guerra, e l’infrastruttura terrestre dell’Ucraina è stata martellata dai proiettili russi. Risultato: le derrate ucraine e russe non sono partite a causa di queste interruzioni e i loro prezzi si sono gonfiati. E la situazione secondo gli esperti potrebbe ulteriormente deteriorarsi, poiché le aziende agricole ucraine, a causa dei bombardamenti, stanno per perdere le stagioni della semina e della raccolta. La Fao ha già avvertito che circa il 30% delle aree coltivate in Ucraina non daranno raccolti quest’anno a causa del conflitto, mentre la capacità di export della Russia rimane poco chiara a causa delle sanzioni internazionali.

Per saperne di più:

[Lo scenario] Il Financial Times: «La globalizzazione è finita, la produzione sarà locale. Ma i profitti crolleranno»

Fonte: Osservatorio Riparte l’Italia

I trend della comunicazione nel 2022

“Sono sette le macrotendenze che impatteranno sul mondo della comunicazione nel 2022 appena iniziato. A dirlo una ricerca del centro studi UNA – Aziende della Comunicazione Unite. Per ogni trend sono illustrati, inoltre, alcuni case study significativi.”

Secondo la ricerca, che si consiglia di leggere interamente tanto più perché presentata in uno stile snello ed efficace, sono 7 i trend da tenere sotto controllo per una comunicazione efficace.

1. I consumatori reclamano il controllo del proprio stile di vita

Il primo punto è connesso con gli effetti della pandemia che oramai da due anni ha rivoluzionato le nostre vite e ha portato, secondo una ricerca di Accenture, il 50% della popolazione a riconsiderare il proprio stile di vita. Questa esigenza di cambiamento unita alla nascita di nuovi servizi imposti dalle limitazioni dell’era pandemica si riflette sulle esigenze di comunicazione rispetto ai brand a cui si chiede sempre di più chiarezza e trasparenza nonché la capacità di fornire ai naviganti le informazioni davvero utili per le loro scelte valutando l’efficacia reale dei prodotti rispetto alle promesse.

2. Focus locale: il miglioramento parte da vicino

Il focus sulla dimensione locale, il senso di radicamento alla propria comunità di vicinato è da tempo contraltare della globalizzazione a livello mondiale ma ultimamente si è rafforzato con la chiusura di frontiere e le limitazioni di viaggi e spostamenti. Ciò si traduce online nella preferenza che i consumatori accordano a negozi e realtà locali e dirette e brand verticali più che generalisti.

3. Connessioni umane al centro: fisiche o digitali

La tecnologia come supporto (e non sostituto) delle relazioni umane: “piattaforme come Roblox e Fortnite sono diventate nuove frontiere sociali per le persone in modo trasversale alle generazioni”. Una sorta di Metaverso embrionale in cui le persone possano abitare gli spazi virtuali incontrando altri individui e i brand e stabilendo connessioni significative.

4. L’esperienza di acquisto diffusa

La nuova sfida per aziende e marchi sarà nell’offrire una esperienza di acquisto multicanale (sito di proprietà, e-commerce, piattaforme social e negozi fisici) che sia interconnessa e coerente in qualsiasi luogo avvenga.

5. Sostenibilità inclusa nel prezzo

L’attenzione alla sostenibilità da parte di consumatori sempre più esigenti e critici richiede ai brand la capacità di coinvolgerli attivamente nelle proprie attività e iniziative facendoli contribuire direttamente alla riduzione del proprio impatto ambientale.

6. Il brand purpose alla prova dei fatti

L’attenzione a quanto dichiarato: oramai è molto difficile per una azienda assumere impegni o posizioni su temi rilevanti e non offrire risultati misurabili di quanto effettivamente poi si siano tradotte concretamente.

7. Il valore della privacy

Cresce il valore della digital privacy da parte di utenti sempre più consapevoli che informazioni e servizi apparentemente gratuiti sono pagati al prezzo dei propri dati. Ciò si traduce però in opportunità comunicative per i brand che possono costruire reputazione e ottenere fiducia mostrandosi attenti e corretti nella gestione dei dati, assumendo la non condivisione dei dati come opzione di default (privacy by default), raccogliendo unicamente i dati realmente necessari all’erogazione del servizio e fornendo facile accesso ai propri dati condivisi (data control).

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