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SHE-CESSION, il COVID conferma la discriminazione di genere

Milano, 29 dicembre 2021 – Secondo anno di pandemia, seconda conferma del trend che registra la discriminazione di genere sul lavoro: 1 donna su 2 rinuncia ad un progetto, annullandolo, o posticipandolo, ma oltre il 43% non cerca lavoro.

Nel complesso il tasso di occupazione degli uomini è i1 67,8% mentre quello femminile si ferma al 49,5%

Un trend negativo che è conseguenza di una situazione non certa felice registrata già prima del COVID: 37.611 lavoratrici neomamme si erano già dimesse nel 2019, periodo in cui solo il 21% delle richieste part time o di flessibilità lavorativa erano state accolte.

La disparità lavorativa tra donne occupate e uomini occupati va oltre la pandemia ed è legata soprattutto alla genitorialità: donne occupate con figli che vivono in coppia sono il 53,5% mentre gli uomini sono l’83,5%.

Le donne devono ancora scegliere tra maternità e lavoro, come consolidato dai dati che emergono dal Gender Policies Report elaborato dall’Inapp, in cui si conferma l’incapacità italiana di emanare leggi che consentano di conciliare maternità e occupazione.

Dai contratti di lavoro al tasso di disoccupazione: quest’anno hanno beneficiato dei nuovi contratti attivati in larga maggioranza gli uomini, mentre per le donne solo il 14% di impieghi a tempo indeterminato.

Ma non è finita qua, settecentocinquantamila donne che lavorano sono state in cassa integrazione, congedo, ferie, aspettativa o hanno alternato queste condizioni all’impiego regolare. Il 26% delle occupate ha visto un deciso peggioramento della conciliazione tra gli impegni familiari e il lavoro.

Infine, nel 2020, rispetto al 2019, le donne che hanno perso il lavoro sono state 470 mila, gli uomini 370 mila.

A ben guardare i dati di alcune ricerche sul tema, il tasso di attività femminile è fermo addirittura agli anni Novanta. La pandemia ha in un certo senso solo confermato un trend che penalizza le donne e la loro situazione lavorativa ed economica su tutto il territorio nazionale, con punte di maggiore gravità al Sud.

L’Italia da tempo lascia indietro le donne, il che significa freno alla crescita del Paese ed aumento alla povertà.  Situazione che persisterà se non cambia l’approccio al gender gap e alla parità di genere.

Ad invertire la rotta sono chiamate certamente le aziende avviando buone pratiche in termini di occupabilità e di equità salariale, ma il ruolo della politica è fondamentale. Solo le donne possono comprendere le dinamiche della differenza di genere. E sole le donne possono elaborare progetti normativi in grado di indirizzare correttamente il timone delle pari opportunità. Le donne quindi dovranno partecipare di più alla vita pubblica per poter partecipare alla pari alla vita sociale ed economica.

Il PNRR è un’occasione da non perdere. Sono tanti fondi che necessitano di progettualità non rituale, in grado di abolire termini quali emarginazione, disparità, diseguaglianza.

Se le donne continueranno a gridare alla discriminazione, non ci saranno passi in avanti. E non saranno sufficienti nemmeno i cospicui fondi europei. Quel che serve è un cambio culturale, che deve partire da tutti, donne comprese.

 

Articolo di Beatrice Carpi