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ChatGPT, quali sono le potenzialità?

Nell’articolo dell’HuffPost del primo febbraio 2023, Michele Mezza, parla del sistema di intelligenza artificiale ChatGPT, che grazie alle sue capacità potrebbe rivoluzionare, anzi rivoluzionerà, il mondo web e i lavori creativi con conseguenze sostanziali su organizzazioni che ne potrebbero sfruttarne le potenzialità.

 Perché abbiamo un’opportunità di addestrare socialmente i sistemi di AI?

Microsoft e Google stanno giocando a dadi con Dio, avrebbe detto Albert Einstein dinanzi alla competizione che si è ormai scatenata fra le due super potenze digitali sul terreno dell’intelligenza artificiale.

I due colossi sono alle prese con l’ingegnerizzazione dei rispettivi dispositivi, destinati a supportare ogni attività di ogni essere umano, fino a una possibile sostituzione. La posta in palio è qualcosa che va al di là del fatturato delle singole da incrementare, che rimane certo l’obiettivo di questi affaristi.

Ma le prestazioni di questi nuovi sistemi di cosidetta intelligenza artificiale generica e portabile, quali sono i nuovi dispositivi tipo Chat GPT di Microsoft e Sparrow di Google, ormai travalicano la meccanica del calcolo arrivando molto vicino alla telepatia. Come scriveva un grande fumettista satirico come Gary Trudeau per irridere il sofismo di molti suoi colleghi giornalisti, ”non sono un ornitologo ma quando vedo un papero lo riconosco”.

Il papero che si sta aggirando per redazioni e centri di ricerca oggi è una forma di intelligenza artificiale diventata maggiorenne che da moderatamente appare fortemente affidabile. In più questo papero è accessibile a ogni singolo individuo, stressando la rivoluzione della miniaturizzazione che abbiamo visto compiersi in questi ultimi 50 anni, con la transizione dal calcolatore al personal computer e da questo allo smartphone, con il risultato che ormai ogni due giorni si riproduce la stessa quantità di contenuti e informazioni prodotta dall’umanità, dal suo inizio fino al 2005.

Questo papero, su cui mi pare davvero capzioso continuare a discutere sulle ali striminzite o il piumaggio ancora scarmigliato, è in crescita esponenziale: in poche settimane ChatGPT ha raccolto il numero di utenti -6 milioni- che facebook ha raggiunto in due anni, e ora si annuncia un ulteriore salto che nei prossimi mesi dovrebbe portarlo a essere usato da almeno 400 milioni di utenti, con un’esplosione della sua attitudine a imparare dall’esercizio moltiplicato per molte migliaia di unità, quali è la differenza fra 6 e 400 milioni. Siamo in presenza dunque del graduale ma inesorabile perfezionamento di un sistema che lavora con un linguaggio naturale, ed è fornito di dotazioni relazionali e riflessive che riproducono aspetti distintivi della nostra specie, mostrando una chiara possibilità di integrarsi nella nostra attività cognitiva meno meccanica e banale, creando il primo prototipo di “cervello aumentato”. Stiamo ancora una volta cambiando la struttura neurologica della specie.

Non è una novità. È accaduto più volte nel corso della nostra evoluzione millenaria. Pensiamo al passaggio dall’era glaciale a quella temperata, dai cacciatori raccoglitori al nomadismo di massa, fino all’agricoltura, e poi ancora con le concentrazioni nelle prime metropoli, dove la scrittura e la matematica crearono modelli cognitivi che selezionarono modi di vivere e di strutturare le nostre relazioni formattando il modo di parlare, pensare e produrre.

Un grande filosofo dell’800, abituato a osservare proprio l’impatto delle tecnologie nelle relazioni sociali ci spiegava che il mulino ad acqua dà la società feudale, e dunque l’omo legato alla terra e comandato dalla proprietà fondiaria, mentre il mulino a vapore ci dà la società industriale, con esseri umani svincolati dalla terra e per quanto subordinati alla fabbrica con ambizioni e capacità di organizzarsi autonomamente.

Ora dobbiamo capire quale società ci darà il mulino AI, dove l’uomo si vede organizzato dai proprietari del calcolo, i calcolanti, e ridotto a calcolato, benché con cognizioni e assetti che gli permettono di interferire con i sistemi che lo governano.

Questo ultimo passaggio sta avvenendo in maniera convulsa, non più diluito nei secoli di cui parlavano i filosi del passato, ma concentrato in pochi decenni, sotto i nostri occhi. I testimoni ne sono anche i protagonisti.

Ma l’altra differenza rispetto alle grandi trasformazioni antropologiche che abbiamo alle spalle sta che questa, per quanto possente e pervasiva, che attraverso il destino dell’intera umanità, sia confiscata da pochi centri di elaborazione e controllo dei sistemi di calcolo. Il nuovo genio della lampada è prigioniero degli uffici marketing della Silicon valley.

Ora più che filosofare se la canzone composta dal dispositivo digitale sia bella o brutta, o se la sua composizione poetica ci trasmetta simulazioni di emozioni o sentimenti reali, mi sembra più urgente ragionare sul modo in cui socializzare questa straordinaria opportunità, sottraendola alla più miope e meschina logica commerciale che al momento guida i suoi proprietari.

Sarebbe intanto da chiedersi se la scrittura o la stampa abbiano avuto proprietari, per quanto i pionieri siano stati debitamente compensati dalle rispettive intuizioni. Ma davvero un fenomeno che al momento è condivisibile da almeno 5 miliardi di persone può essere ristretto nei limiti speculativi dettati da chi lo possiede? La domanda non ha solo un valore etico ma risponde anche alle esigenze proprio dei processi di sviluppo di queste intelligenze.

I due sistemi che oggi sembrano emergere come driver della trasformazione del decentramento a ogni individuo di risorse di intelligenza artificiale -ChatGPT per Microsoft e Sparrow per Google- al momento sono in bacino di carenaggio.

L’azienda di Bill Gates ha giocato d’anticipo offrendo la versione beta del proprio prodotto a un collaudo di massa. In poche settimane almeno 6 milioni di utenti hanno cominciato a giocare con la potenza intelligente di Chat GPT, rendendone subito evidente l’insufficienza infrastrutturale. Come sappiamo infatti, il dispositivo si muove in un ambiente chiuso di contenuti, arredato da 200 miliardi di concetti ed espressioni logiche su cui è stato costosamente addestrato, arrivando a trasmettergli il sapere prodotto e pubblicato fino al 2021.

Sparrow, passerotto in inglese, invece cinguetta nella gabbietta di Google, ancora al riparo da un collaudo pubblico, con i suoi progettisti che si stanno arrovellando sul modo migliore per sfruttarne le sue caratteristiche. A differenza del concorrente di Microsoft, la creatura di Larry Page e Sergey Brin, avrebbe la capacità di lavorare direttamente in rete, avvalendosi dell’intero infinito magazzino di nozioni prodotte digitalmente dall’umanità in questi decenni, ma soprattutto garantendo un aggiornamento massimo delle informazioni.

In entrambi i casi si accusano costi di esercizio ancora rilevanti. Microsoft ha verificato che ogni singola attività di ChatGPT, ogni sua risposta a un prompt, una domanda, gli costa circa 150 volte di un responso di Google. Ovviamente parliamo di due cose diverse: il nuovo sistema AI, elabora una vera composizione letteraria che processa le fonti senza indicarle, mentre il motore di ricerca di Mountain View, come sappiamo, ci risponde semplicemente indicizzando le fonti relative all’argomento che gli abbiamo proposto.

Inoltre rimangono ancora insoluti problemi legati all’hardware, ossia quel reticolo di server e cloud che dovrà smaltire quella gigantesca massa di contatti che si sprigioneranno una volta che i sistemi entreranno in funzione a regime.

Ma in entrambi i casi il vero buco nero riguarda proprio l’addestramento.

Parliamo di quella fase in cui le sinapsi digitali riprodotte dagli algoritmi devono acquisire le più diverse forme semantiche del nostro linguaggio, cogliendo ogni sfumatura e sottigliezza dei modi in cui ci rivolgeremo al sistema. Esattamente come un bambino impara a parlare in maniera sempre più matura. Con la differenza che nessuno avrà la pazienza e la voglia di seguire l’evoluzione naturale di questo apprendimento che in natura impiega circa 10/15 anni.

Questa è la fase in cui, mentre si impara a comprendere e a rispondere ai prompt più diversi e specialistici, vengono impressi gli imprinting etici e valoriali ai sistemi automatici, come ci ha spiegato qualche tempo fa Timnit Gebru, l’ex responsabile della divisione etica di Google licenziata proprio per aver avanzato dubbi sul modo con cui venivano allenati i meccanismi del motore di ricerca.

Inizialmente, non a caso, ChatGPT era stata pensata da una fondazione, OpenAI senza scopo di lucro, per essere rilasciata in regime di opensource in rete e potersi così avvalere di questa straordinaria palestra di saperi e linguaggi che è internet. Poi ha prevalso l’istinto speculativo, Microsoft ha comprato OpenAI che è diventata la solita start up in cerca di profitto. Ma i costi dell’operazione si annunciano poderosi: i dieci miliardi stanziati a Seattle potrebbero non bastare, così come per Google.

L’idea di mantenere completamente all’interno di una modalità proprietaria il suo sistema si potrebbe rivelare proibitivo oltre che inefficiente.

Sarebbe allora possibile pensare a una strategia che dopo aver remunerato l’attività di svezzamento dei due sistemi, veda istituzioni pubbliche e organizzazione sociali, che pure solo all’origine dell’affermazione di Internet, come la gestione dei domini, intervenire assicurando la collaborazione di questi organismi per abbattere i costi dell’addestramento e soprattutto rendere efficiente e sicuro il sistema, alla luce proprio dei linguaggi e delle competenze più diverse.

Penso per esempio a livello europeo a come centri di ricerca e università potrebbero seguire i percorsi di sviluppo delle dotazioni specializzate di questi sistemi nel campo della medicina, o dell’informazione o del diritto, lasciando certo ai proprietari l’opportunità di realizzare applicazioni commerciali, come il modello open source, prevede, ma assicurando una soluzione di base che possa essere poi riprogrammata e orientata da gruppi professionali o organizzazioni sociali.

Siamo proprio nel caso in cui, come scriveva Marianna Mazzucato nel suo ultimo testo “Il valore di tutto” (Laterza Editore), l’estrazione privata di valore diventa distruzione pubblica di ricchezza.