Neuromarketing e shopping

Le neuroscienze hanno da tempo dimostrato che esistono processi cognitivi ed emotivi di cui non abbiamo il controllo razionale e di cui siamo (parzialmente o totalmente) inconsci.

Il neuromarketing è una branca della cosiddetta neuroeconomia che studia le dinamiche volte all’individuazione di canali di comunicazione più diretti ed efficaci per i processi decisionali d’acquisto. Studiare e comprendere cosa provano e come decidono i consumatori, può aiutare i negozianti a rivolgere l’attenzione ai propri clienti in modo nuovo, per capire meglio i loro comportamenti e i loro bisogni inespressi, cosa si aspettano di trovare in un negozio e, soprattutto, quali sono i meccanismi mentali che guidano le loro decisioni e li rende soddisfatti e felici durante l’esperienza di shopping.

In collaborazione con Terziario Donna Nazionale, il 14 novembre alle ore 10.30, nella sala Castiglioni di Palazzo Bovara – Corso Venezia 51, a Milano, si terrà un approfondimento sul tema dal titolo: “Il neuromarketing nel negozio”. 

Per info e accredito:

terziario.donna@unione.milano.it

Tel. 02. 7750205

Terziario Donna Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianz

 

DAL BEL PAESE AL GRAN PAESE. Reputazione e narrazione del brand Italia

In occasione dell’Assemblea Generale Ordinaria dei soci, Ferpi ha organizzato lo scorso 6 luglio a Napoli “DAL BEL PAESE AL GRAN PAESE. Reputazione e narrazione del brand Italia”, un incontro sul tema della reputazione e del nation branding.

Ad aprire la mattinata il Presidente Ferpi, Pier Donato Vercellone che ha ringraziato i presenti e le Istituzioni per l’accoglienza, ricordando come “quando si parla di reputazione, sono tre le parole chiave: condivisione dei valori, costruzione della fiducia e legame emotivo. Sono elementi che storicamente contraddistinguono la community dei comunicatori che, in questo senso, sono i professionisti deputati alla costruzione della reputazione del Paese. Le istituzioni si rivolgano a dei professionisti come siamo noi di Ferpi, per aiutarli a costruire questo racconto”.

Dopo il suo intervento, Vercellone ha lasciato spazio a Vito Crimi, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con Delega per l’Editoria, presente con un video messaggio, che ha ricordato che “gli elementi chiave nella narrazione del Paese sono due: le imprese che si relazionano con l’estero, che rappresentano un fondamentale biglietto da visita per l’Italia, e l’informazione attraverso cui la narrazione necessariamente passa. Oggi abbiamo la possibilità di governare il Paese dando la speranza del cambiamento. Dobbiamo narrare le istituzioni che funzionano, la cultura, la giustizia, la scuola. L’impegno di questo governo è di riportare alla normalità questi aspetti perché possano essere raccontati all’estero come un valore aggiunto. L’augurio è di riportare questo paese ad essere un faro”.

L’incontro è poi proseguito con il confronto fra Fabio Ventoruzzo, Vice Presidente Ferpi e Director di Reputation Institute,e Nicola Lener, Vice Direttore Generale/Direttore Centrale per l’Internazionalizzazione – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, che moderati da Gianni Molinari, capocronista de “Il Mattino”, hanno discusso della percezione che all’estero – e in Italia – si ha del Bel Paese e delle strategie, attuate e possibili, per migliorare la narrazione dell’Italia e del made in Italy.

 

Quanto guadagnano i Comunicatori?

di Rita Palumbo

Una buona notizia e una cattiva. La Guida alle retribuzioni dei professionisti della comunicazione e del marketing, realizzata da Spring in collaborazione con Job Pricing, indica che i dirigenti di quei settori guadagnano un po’ di più rispetto agli altri colleghi dei comparti presi in esame dalla ricerca. Ma – ed è questa la cattiva notizia – sono in calo i compensi degli impiegati, e quindi dei giovani. E non solo: il mercato della comunicazione nell’ultimo decennio ha registrato un aumento costante di liberi professionisti, che non hanno contratto, che non sono stati inseriti nella griglia normativa dell’equo compenso, che hanno una retribuzione media di soli 24.885 euro annui (dati Confcommercio Professioni 2017). La strada per la valorizzazione della nostra professione è ancora molto lunga.

Quanto guadagnano i professionisti della comunicazione? Dove lavorano e con quali mansioni quelli con lo stipendio più alto? Conta più l’esperienza o l’età?
Sono queste le domande alle quali dà una risposta la Guida alle retribuzioni dei professionisti nell’ambito marketing e comunicazione realizzata da Spring in collaborazione con Job Pricing che analizza ben 350.000 casi in Italia.

Dall’analisi emerge che i quadri della famiglia professionale Marketing & Comunicazione hanno mediamente percepito una retribuzione fissa di 54.820 €, valore superiore alla media nazionale di circa 800 €. Si tratta della 3^ famiglia professionale più pagata fra le 9 analizzate (IT e Web, Amministrazione finanza e controllo, Legale e Compliance, Produzione e qualità, Marketing e comunicazione, Risorse Umane e Organizzazione, Acquisti e Logistica e Supply Chain, Vendite e Customer care). L’anno scorso erano quarti in classifica, e con un guadagno rispetto alla media nazionale più alto di 620 euro

Gli Impiegati della funzione Marketing & Comunicazione presentano invece nel 2017 una RAL media pari 29.978 €, inferiore di circa 840 euro rispetto alla RAL media nazionale. Nella graduatoria tra famiglie professionali, gli Impiegati si posizionano al 7° posto.
L’andamento dell’ultimo anno non premia gli Impiegati, la cui RAL è calata dello 0,9% (il calo su scala nazionale è più contenuto, -0,3%), mentre i Quadri registrano uno dei trend positivi più significativi (+0,7%).A livello regionale, i quadri che operano in Liguria scalzano i colleghi emiliani al primo posto l’anno scorso e percepiscono la RAL più alta (56.834 euro l’anno) mentre in Valle D’Aosta la più bassa (48.869 euro l’anno), con una differenza di quasi 8.000 euro l’anno. Tra gli impiegati invece sono i Lombardi a ricevere lo stipendio più alto (31.733 euro l’anno) e i molisani quello più basso (25.658 euro l’anno, 6.000 euro in meno dei colleghi del nord).

L’età e l’esperienza
L’esperienza e l’età invece pesano maggiormente sugli stipendi degli impiegati. Un impiegato con più di 5 anni di esperienza arriva a percepire il 15,9% in più rispetto a un collega con meno di 2 anni (3,4% se si tratta di quadri), mentre un ultracinquantacinquenne arriva a percepire il 40,3% in più in busta paga rispetto a un collega tra i 25 e i 34 anni (15,5% se si tratta di quadri). Anche se si analizza la dimensione delle aziende lo stipendio degli impiegati è quello che varia più significativamente (+32,9% rispetto al +13,4% se si tratta di quadri: un impiegato in una microimpresa guadagna meno di 27 mila euro, oltre 35 se lavora in una grande azienda).

Le industry e i ruoli
Per i quadri del marketing e della comunicazione è il settore dell’oil & gas ad offrire i compensi più alti (57.945 euro lordi annui (con una parte variabile pari al 9,2%). Anche fra gli impiegati questo settore presenta la retribuzione media più elevata (34.335 euro l’anno con una parte variabile pari al 10,3%).

Tra i ruoli meglio pagati, senza dubbio il Responsabile Trade Marketing che nella fascia alta arriva a percepire quasi 69 mila euro lordi l’anno con una percentuale di parte variabile più alta (13,8%), mentre è il responsabile Web Social Media Marketing che nella fascia bassa percepisce meno (44.500 euro l’anno con una quota variabile del 12,3%). Tra gli impiegati è il Brand Manager a guadagnare di più in fascia alta (44.800 euro l’anno), mentre è il ruolo di specialista marketing operativo a stare di poco sotto i 27.000 euro l’anno nella fascia più bassa.

 

ABIO compie 40 anni

A Milano il 17 novembre, ore 11,  Corso Venezia 

“L’ACCOGLIENZA SI FA FESTA”

Il sorriso dell’accoglienza che 40 anni dopo diventa una storia da raccontare, quattro decenni di volontariato e di servizio ai bambini in ospedale e alle loro famiglie, che costituiscono la testimonianza riuscita di un’idea nata nel 1978, che oggi porta quotidianamente 5.000 volontari, qualificati e preparati, in oltre 200 pediatrie di tutta Italia: questa è ABIO, Associazione per il Bambino in Ospedale.

L’associazione è nata dall’intuizione che la degenza di un bambino avrebbe potuto essere meno traumatica se genitori, familiari, amici e volontari fossero stati loro vicini e che questo supporto avrebbe favorito la ripresa del piccolo degente. Negli anni questa intuizione ha trovato i suoi fondamenti scientifici ed è diventata la quotidianità per migliaia di bambini e di famiglie accolti ed accompagnati nel percorso ospedaliero dai volontari ABIO.

40 anni di servizio, quindi, ma non solo: 67 sedi ABIO locali, circa 700.000 ore di formazione annua per chi vuole diventare volontario ABIO e per quelli già attivi, più di 100 sale gioco realizzate, interi reparti ospedalieri colorati e arredati, la redazione – insieme alla Società Italiana di Pediatria – della Carta dei Diritti dei Bambini  dei Bambini e degli Adolescenti In Ospedale alla base del Percorso di Certificazione “All’altezza dei bambini”, la collaborazione con le massime istituzioni centrali e locali, la partnership con molte delle più importanti aziende italiane per lo sviluppo di progetti speciali tra i quali l’iniziativa “Dottori a colori” o  il volume “L’Isola”. Questo e molto altro ancora è ABIO.

Tutto questo sarà testimoniato in occasione di una festa speciale ricca dei racconti di chi questi 40 anni li ha vissuti e percorsi insieme, con interviste ai protagonisti e  con tanti amici, momenti musicali, video, risate e divertimento. Un incontro speciale che avrà uno spazio dedicato alla condivisione dei prossimi obiettivi, accompagnati da Beppe Severgnini e dalla redazione di 7 Corriere della Sera. E, come in tutte le feste, spegnimento finale delle candeline sulla torta.

www.abio.org  

Per maggiori info: Fondazione ABIO Italia onlus per il bambino in ospedale

·      Maria Ciaglia, responsabile Area comunicazione, comunicazione@abio.org, cell. 334.8408838.

·      Eugenio Bernardi, vicepresidente, vicepresidente@abio.org, cell. 335.6276540.

Profili e saperi per un mercato delle bussole e non degli orologi

Quali sono oggi le basi di una formazione competitiva di professionisti della comunicazione?

La domanda apre immediatamente una prima riflessione su chi siano oggi i professionisti della comunicazione. Siamo ancora alla classificazione di un tempo, per cui la comunicazione era una competenza specifica –  i mediatori dell’informazione e i connettori dei soggetti interessati alla reciproca conoscenza – che si coltivava in aree specializzate, orientate a produrre media – i giornalisti – o relazioni – i consulenti? Oggi mi pare che questa classificazione stia clamorosamente saltando, per il semplice dato che la comunicazione non è più ancella ma regina della produzione di ricchezza. Si produce ricchezza mediante comunicazione, poi magari ci si procura anche dei pretesti, come la diffusione di prodotti o di servizi, oppure le gestione di attività più o meno pubbliche. Ma il cuore del processo di riproduzione della ricchezza sta proprio nella capacità di elaborare e distribuire narrazioni. Come spiega Mary Douglas “ogni prodotto non coincide più con il suo contenuto ma con il suo racconto”. Dunque il novero dei titolari di forme di comunicazione sta aumentando a vista d’occhio: imprese, professionisti, dirigenti, agenti, ricercatori, apprendisti, servizi, industrie, etc. Persino media. Persino il mondo dell’informazione oggi racconta se stesso.

Questo trend è ulteriormente stressato dalla convergenza con le forme di distribuzione e contatti virtuali. La rete come luogo di commercializzazione e distribuzione ha innestato un altro processo che rende la comunicazione un elemento centrale nelle relazioni umane: la necessità di profilare ogni interlocutore, sia esso cliente, fornitore, collaboratore, dipendente.

In questo contesto la comunicazione diventa pretesto e strumento per far produrre big data, raccoglierli e finalizzarli ad una ottimizzazione di ogni attività. La produzione di big data è diventata a questo punto il motore del processo relazionale, di cui il mercato è uno degli aspetti più rilevanti. Le recenti elezioni politiche ci hanno mostrato come l’evoluzione del sistema relazionale in rete sia ormai l’infrastruttura che tende a sostituirsi alla macchina politica e ad affiancare il sistema istituzionale.

La campagna elettorale infatti si è largamente condotta mediante una continua rimodulazione fra i meccanismi di contatto individuale e selettivo – collegio per collegio, gruppo sociale per gruppo sociale, famiglia politica per famiglia politica – e la elaborazione delle proposte politiche. Cosa è stata la gallina e cosa l’uovo? La raccolta di dati sulle domande politiche sono state matrice delle proposte o viceversa? E successivamente, la centralità dei data base sociali, che grazie ad una continua sovrapposizione di data set – dati di compagnie televisive o telefoniche o multiutility locali intrecciati a flussi di social network – hanno guidato forme di comunicazione di grande impatto elettorale. Parliamo della cosiddetta dark ads, quella forma di promozione diretta ad una moltitudine di singoli elettori, strategicamente collocati, per territorio, nei collegi contendibili, per posizione ideologica, al confine fra questa o quella forza politica, per capacità di orientamento, come opinion leader specifici e locali. Questa tecnica, che analizzo nel mio libro Algoritmi di libertà (Donzelli editori), ha prodotto una pressione rilevante, che in alcune aree, penso in zone come la Campania, o le Marche o l’Emilia, hanno spostato in maniera sensibile scacchieri elettorali. In quest’attività quanto hanno contato le figure intermedie? I consulenti o i competenti di partito? E quanto invece centri di sapere e di elaborazione verticali, come grandi agenzie internazionali o network di hacker?

Sono domande che ci riportano al quesito di partenza: come si sta giocando oggi la partita della comunicazione? Chi è il king? Proprio il libro che citavo prima si occupa di questa domanda: chi e come decide oggi la comunicazione? La risposta è secca: la potenza di calcolo. Oggi l’intera filiera del linguaggio, e dunque del pensiero della comunicazione è identificabile nella titolarità degli algoritmi, o meglio ancora degli automatismi semantici. La costruzione di sistemi, macchine, per parlare e distribuire, e dunque, per raccogliere ed analizzare i dati delle conversazioni, per poi rendere le successive comunicazioni ancora più aderenti e intime all’interlocutore, è il vero centro del sistema.

I dati ci dicono che già oggi il 52% dei contenuti della rete, di tutta la rete non solo la periferia dei social, non è prodotta da esseri umani. Così come i sistemi di raccolta ed analisi dei big data non sono gestiti umanamente. Così come i sistemi editoriali, che guidano l’attività di giornalisti, sono tutti governati da algoritmi. Dunque, torniamo alla domanda: cosa e come deve sapere un operatore della comunicazione per produrre valore? Deve adattarsi al processo di automatizzazione o deve introdurre varianti che diano al suo cliente o collaboratore la massima autonomia e personalizzazione nella progettazione del sistema? Questo non significa che dobbiamo diventare tutti cibernetici, così come non siamo tutti economisti, o tutti politici, o tutti sacerdoti, eppure sappiamo bene come riprogrammare la finalità di sistemi economici, politici o religiosi: riorganizzandone la direzione o il linguaggio.

Oggi gli algoritmi, cioè i titolari e gestori dei pochi algoritmi dominanti, stanno riclassificando le funzioni e le dinamiche del mercato, rendendo ad esempio, i service provider – Google, Facebook, Amazon – cerniere totali delle nostre relazioni, con una subalternità sia dei produttori che degli utenti.

Le nuove imprese, o le aziende che si ristrutturano e che incamerano competenze comunicative continuamente, trasferendo al loro interno funzioni e conoscenze che prima era vantaggioso delegare ai consulenti, costantemente devono aggiornare  strategie e modalità di relazioni e produzioni digitali.

Qual è il valore aggiunto che gli si può proporre? A queste imprese servono più bussole di orologi, più strategie di continua ricollocazione nel flusso dell’innovazione che scie di vincenti da seguire.

Una bussola assolutamente esclusiva e personale per riprogrammare e ricombinare potenze di calcolo, memorie e big dati, in base alla propria strategia e non alla dipendenza da pochi service provider. È  più complicato? Può darsi, ma la lezione che ci viene dal mercato editoriale è che ogni scorciatoia produce desertificazione e marginalità sul mercato.

www.ferpi.it

Il lavoro c’è? Sì, ma, però…

Il 15 marzo a Milano si è tenuta la seconda edizione de Le Professioni del Futuro, il convegno nazionale firmato da InTribe, con il patrocinio di Ferpi. Il focus di quest’anno è stato il Digital Mismatch, ovvero il divario tra competenze esistenti e le esigenze del mercato. Sulla scia dei risultati dello scorso anno, il dibattito ha confermato che il lavoro c’è ma che riguarda nuovi profili ed impone un nuovo approccio che travolge/stravolge le professioni tradizionali.

Si tratta di uno scenario che suggerisce non pochi quesiti, come per esempio: con quali regole verranno gestite le professioni del futuro? Qual è il gap tra esperienza quotidiana e tendenze degli analisti? Quali sono le proposte istituzionali? Come tutto ciò si declina nella realtà economica, sociale e culturale del nostro Paese?

Volendo ridurre la visuale, al di là delle ovvie constatazioni, che cosa significa Digital Mismatch per il mercato e per i professionisti della comunicazione? Un’evoluzione o una perdita di identità? Per comprendere il gap tra offerta e domanda del mercato e dare risposte qualificate allo sviluppo del nostro settore, bisogna imparare a gestire i nuovi processi, essere capaci di mitcharei nostri bisogni con le esigenze del mercato. E far sentire la nostra voce.

 


Il lavoro c’è, bisogna solo aggiornarsi e prenderselo. Oggi la parola crisi non esiste più, esiste un nuovo mercato, con nuove regole. Sta cambiando l’intero DNA economico dell’Italia.

Crescono i posti di lavoro ma mancano le competenze

Le aziende ricercano sempre più profili con skill in ambito tecnologico e digitale, che nessuno riesce ad occupare per mancanza di competenze specifiche, questo significa che le persone in cerca di lavoro spesso non sono in grado di rispondere ai requisiti e alle competenze tecnologiche e digitali necessarie alle aziende.

Il Digital Mismatch riguarda ognuno di noi.

Il dato più allarmante è che l’impatto complessivo potrebbe essere di circa 2.000.000 di posti vacanti entro due anni, se non investiamo quanto prima nella formazione di noi stessi e dei nostri dipendenti (fonte: stime InTribe – Osservatorio Digital Mismatch 2018).

Una recente indagine dell’Unione Europea (dati Cedefop) ha evidenziato come entro il 2020, in Italia avremo circa 135.000 posti di lavoro vacanti in ambito ICT (750.000 in Europa); secondo una stima InTribe, questo corrisponderà a circa il 18% delle posizioni lavorative in questo ambito.

Inoltre, fra 2 anni il 25% delle posizioni aperte saranno delle nuove professioni, inesistenti fino a 5 anni fa, e tutte avranno a che fare con il mondo tecnologico e digitale. Esperti di intelligenza artificiale, analisti dei big data ed esperti di cyber security saranno tra le professioni più richieste.

La vera rivoluzione: cambiano le professioni tradizionali

Il valore delle relazioni

Come accrescere il valore delle relazioni utilizzando un mix di strumenti sia tradizionali che digitali. Relazionarsi con il consumatore utilizzando differenti leve di marketing oggi risulta più facile grazie all’evoluzione digitale, che ha portato nuove modalità di accesso e di fruizione dei diversi media, sia tradizionali che digitali. Lo stile comunicativo di un brand però non si improvvisa con un semplice post.

 

PROGRAMMA

 

10.00 Registrazione partecipanti 10.30

 

Inizio Lavori

Maurizio Iorio | Presidente Andec

 

Intervengono:

 

Rita Palumbo | CEO, WIP Consulting SrL

La comunicazione come asset strategico per le imprese Il governo delle relazioni

 

Giancarla Bosotti | Strategic Planner, ADNKRONOS

La comunicazione in emergenza

 

Sara Pupin | Retail & Marketing Director, PROXIMITY – Gruppo Di Martino

L’importanza di instaurare un rapporto di prossimità con il consumatore nella creazione di valore di un Brand: il progetto Proximity del Gruppo di Martino

 

Manuele De Mattia | Corporate Communication Manager, Samsung Electronics Italia

La Corporate Communication secondo Samsung

 

Segue Tavola Rotonda a cura di Luca Figini | Direttore Responsabile di Leader e Dealer

 

12:45 Fine Lavori

 

Internazionalizzazione: strategie, pensiero e competenze, gli ingredienti di una rivoluzione cultura

Il 15 marzo a Milano si è tenuta la seconda edizione de Le Professioni del Futuro, il convegno nazionale firmato da InTribe, con il patrocinio di Ferpi. Il focus di quest’anno è stato il Digital Mismatch, ovvero il divario tra competenze esistenti e le esigenze del mercato. Sulla scia dei risultati dello scorso anno, il dibattito ha confermato che il lavoro c’è ma che riguarda nuovi profili ed impone un nuovo approccio che travolge/stravolge le professioni tradizionali. Si tratta di uno scenario che suggerisce non pochi quesiti, come per esempio: con quali regole verranno gestite le professioni del futuro? Qual è il gap tra esperienza quotidiana e tendenze degli analisti? Quali sono le proposte istituzionali? Come tutto ciò si declina nella realtà economica, sociale e culturale del nostro Paese?Volendo ridurre la visuale, al di là delle ovvie constatazioni, che cosa significa Digital Mismatch per il mercato e per i professionisti della comunicazione? Un’evoluzione o una perdita di identità? Per comprendere il gap tra offerta e domanda del mercato e dare risposte qualificate allo sviluppo del nostro settore, bisogna imparare a gestire i nuovi processi, essere capaci di mitcharei nostri bisogni con le esigenze del mercato. E far sentire la nostra voce.

 

Il lavoro c’è, bisogna solo aggiornarsi e prenderselo. Oggi la parola crisi non esiste più, esiste un nuovo mercato, con nuove regole. Sta cambiando l’intero DNA economico dell’Italia.

Crescono i posti di lavoro ma mancano le competenze

Le aziende ricercano sempre più profili con skill in ambito tecnologico e digitale, che nessuno riesce ad occupare per mancanza di competenze specifiche, questo significa che le persone in cerca di lavoro spesso non sono in grado di rispondere ai requisiti e alle competenze tecnologiche e digitali necessarie alle aziende.

Il Digital Mismatch riguarda ognuno di noi.

Il dato più allarmante è che l’impatto complessivo potrebbe essere di circa 2.000.000 di posti vacanti entro due anni, se non investiamo quanto prima nella formazione di noi stessi e dei nostri dipendenti (fonte: stime InTribe – Osservatorio Digital Mismatch 2018).

Una recente indagine dell’Unione Europea (dati Cedefop) ha evidenziato come entro il 2020, in Italia avremo circa 135.000 posti di lavoro vacanti in ambito ICT (750.000 in Europa); secondo una stima InTribe, questo corrisponderà a circa il 18% delle posizioni lavorative in questo ambito.

Inoltre, fra 2 anni il 25% delle posizioni aperte saranno delle nuove professioni, inesistenti fino a 5 anni fa, e tutte avranno a che fare con il mondo tecnologico e digitale. Esperti di intelligenza artificiale, analisti dei big data ed esperti di cyber security saranno tra le professioni più richieste.

La vera rivoluzione: cambiano le professioni tradizionali

La rivoluzione riguarderà soprattutto le professioni contaminate dal digitale e dalle tecnologie: entro 10 anni il 70% dei lavori evolverà in chiave tecnologica e gran parte delle professioni del futuro saranno evoluzioni di quelle esistenti.

In questa repentina e costante innovazione tutti sono chiamati al continuo aggiornamento professionale. Occorre aumentare le proprie hard skill tecnologiche e verosimilmente questo accadrà per tutta la durata della vita lavorativa.

Le aziende dovranno investire massivamente in formazione, quale asset strategico aziendale, l’alternativa è la perdita di competitività, a totale vantaggio di startup e imprese tecnologiche che, in questo periodo storico, acquisiscono velocemente quote di mercato innovando prodotti, servizi e processi.

Smettere d’imparare significa precludersi l’opportunità di evolvere assieme al mercato e, a tendere, di restarne esclusi.

Lauree STEM e STEAM

La rivoluzione valorizzerà nel breve periodo le lauree STEM (Science, Technology, Engineering e Match) e vedrà la necessità di creare nuovi titoli di studio. L’evoluzione, già avvenuta nel mondo anglosassone e che avverrà anche in Italia nei prossimi anni (circa 5, secondo le stime InTribe) è l’introduzione di una A per ARTS nell’acronimo (STEAM).

Le competenze umanistiche abbinate a quelle scientifiche sono fondamentali per creare un’interdisciplinarità basilare alla corretta applicazione del digitale e delle nuove tecnologie in qualsiasi ambito, anche quelli che fino a qualche anno fa non avevano beneficiato di alcun impatto tecnologico, ma che a adesso ne stanno capendo l’importanza.

www.ferpi.it

Donne & Leadership

Lettera 43

«Nessun Paese potrà mai prosperare veramente se soffoca il potenziale delle donne e si priva del contributo di metà dei suoi cittadini» (Michelle Obama). Negli ultimi anni il tema della leadership femminile e delle difficoltà avvertite dalle donne nel raggiungimento di posizioni managerialiall’interno delle aziende sono diventati importanti argomenti di dibattito, specialmente a fronte del fatto che attualmente la popolazione femminile rappresenta la metà della forza lavoro globale. I recenti movimenti di rivendicazione dei diritti delle donne e della parità di genere hanno mostrato che, nonostante il numero delle donne che ricoprono incarichi di rilievo sia in aumento tanto nel mondo degli affari quanto in quello della politica, esistono ancora una serie di ostacoli strutturali e sociali che impediscono la piena affermazione di una leadership femminile forte e diffusa.

LE DONNE CEO SONO ANCORA TROPPO POCHE

Secondo la classifica stilata da Dow Jones a gennaio 2019, Women CEOs of the S&P 500, la percentuale di donne che ricoprono ruoli diamministratore delegato nelle 500 principali compagnie del mondo si aggira intorno al 4,8% (24 aziende): un dato davvero esiguo se si pensa che il 44% dei dipendenti di queste imprese è composto da donne. Bassa anche la percentuale di figure femminili in posizioni di senior manager(26,5%), e quella dei posti nei consigli di amministrazione detenuti da dirigenti donne (21,2%). Queste cifre rendono di fatto difficile abbattere quel famoso glass ceiling ampiamente analizzato in letteratura e contro il quale gran parte delle professioniste di ogni settore continua a scontrarsi.

L’ALTA PRESENZA FEMMINILE TRA I MANAGER MIGLIORA LE PERFORMANCE AZIENDALI

Questi risultati dovrebbero indurre le aziende a predisporre una serie di misure volte a diminuire il gap della rappresentazione femminile in posizione di leadership per un duplice motivo. Non solo perché il loro impegno segnerebbe un importante passo nella riduzione degli ostacoli che impediscono una sostanziale parità di genere all’interno della società, ma anche perché genererebbe un considerevole impatto sull’immagine di un’azienda e sulla sua organizzazione interna. È un dato ormai consolidato da anni di ricerche e analisi che una forte presenza femminile nei consigli di amministrazione influisca positivamente sulla performance finanziaria di un’impresa e che un elevato numero di donne in posizioni manageriali ne aumenti il capitale reputazionale. La sfida è dunque rivolta a individuare i fattori che causano questo squilibrio all’interno delle aziende e ridurne progressivamente le conseguenze.

La formazione per superare il digital mismatch

Una recente indagine realizzata da Capgemini e Linkedin descrive come il 34% delle imprese italiane abbia perso competitività a causa delle scarse competenze digitali di dipendenti e collaboratori. L’indagine ha inoltre fatto emergere come sempre più persone (circa il 55% dei lavoratori) investano i propri soldi e il proprio tempo per formarsi e acquisire nuove competenze, perché molto spesso le aziende non sono disposte ad investire in formazione.

Dove ha origine il problema?

L’evoluzione digitale sta creando nuove professioni, dando origine ad un fenomeno denominato Digital Mismatch: le aziende ricercano profili in ambito tecnologico e digitale che nessuno riesce ad occupare per mancanza di competenze specifiche.

Una recente indagine dell’Unione Europea (dati Cedefop) ha evidenziato come entro il 2020, in Italia avremo circa 135.000 posti di lavoro vacanti in ambito ICT a causa del Digital Mismatch; secondo una stima Intribe, questo corrisponderà a circa il 18% delle posizioni lavorative in questo ambito. Il Digital Mismatch, però, non è un problema relegabile unicamente alle professionalità dell’ICT, riguarda ognuno di noi e l’impatto complessivo potrebbe essere di circa 2.000.000 di posti vacanti entro tre anni, se non investiamo quanto prima nella formazione di noi stessi e dei nostri dipendenti (fonte: stime InTribe su dati Cedefop, per Osservatorio Digital Mismatch 2018). Questo accade perché la trasformazione tecnologica e digitale è ormai diventata pervasiva, coinvolgendo anche professionalità che fino a pochi anni fa non avevano alcun legame con il mondo digitale (come la commessa, il medico o l’agricoltore). Negli ultimi 20 anni abbiamo infatti assistito ad una accelerazione tecnologica paragonabile ai 400 anni precedenti, acuitasi maggiormente negli ultimi 5 anni. Se fino agli anni ’90 dello scorso secolo le professioni evolvevano ogni 2 generazioni, oggi i cambiamenti sono radicali e nel giro di pochi anni danno origine a nuove opportunità lavorative, inesistenti prima. L’avvicendarsi di nuove tecnologie apre certamente grandi opportunità, ma rende difficile alle aziende restare al passo, sia dal punto di vista tecnologico, sia per la formazione e aggiornamento dei propri dipendenti.

Life long learning

La pervasività della tecnologia ha già cambiato il nostro modo di vivere e sta cambiando il nostro modo di lavorare, oggi un’azienda solida necessita di persone flessibili, disposte ad acquisire nuove competenze e, a volte, a far evolvere il proprio ruolo verso nuove professionalità.

Le aziende, dal canto loro, devono investire massivamente in formazione, quale asset strategico aziendale, l’alternativa è la perdita di competitività e di quote di mercato, a totale vantaggio di startup e imprese tecnologiche che, in questo periodo storico, acquisiscono velocemente quote di mercato innovando prodotti, servizi e processi.

www.ferpi.it