ReteCoM: INPS – INPGI: Normativa a raffronto. REQUISITI TRATTAMENTI PREVIDENZIALI

Terza puntata 

ReteCoM ha elaborato – su dati e informazioni di fonti ufficiali INPS e INPGI – un raffronto tra i due sistemi pensionistici

REQUISITI TRATTAMENTI PREVIDENZIALI

Pensione di vecchiaia INPS e INPGI identici requisiti (67 anni di età e 20 anni di contributi).

Nell’INPGI sono previste clausole di salvaguardia che permettono di andare in pensione in base ai requisiti di miglior favore previsti dalla normativa in vigore al 31 dicembre 2016.

Pensione anticipata di anzianità: INPGI più favorevoli: 40 anni e 5 mesi + adeguamento aspettativa di vita e almeno 62 anni di età, mentre per l’INPS il requisito è di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, indipendentemente dall’età.

Anche per la pensione di anzianità sono previste clausole di salvaguardia in riferimento ai requisiti in vigore fino al 31 dicembre 2016.

I predetti requisiti contributivi possono essere perfezionati anche attraverso il cumulo della contribuzione INPS/INPGI, mentre per la pensione di vecchiaia si possono cumulare i contributi versati anche in altri Enti pensionistici.

L’INPGI e le casse privatizzate non sono obbligate ad applicare le regole della cosiddetta Quota 100, vale a dire la pensione di anzianità con 62 anni di età e 38 di contributi.

Pensione di invalidità:

Nell’INPGI la pensione di invalidità è calcolata con i criteri stabiliti per il calcolo della pensione di vecchiaia. Qualora l’assicurato non risulti già titolare di altro trattamento pensionistico, ovvero, non abbia ancora conseguito diritto a pensione presso altri Enti previdenziali, la misura di tale pensione non può essere inferiore a quella derivante da 20 anni di contribuzione e, comunque, al trattamento minimo.

L’INPS invece prevede una pensione di inabilità erogata in favore dei soggetti ai quali sia riconosciuta una inabilità lavorativa totale (100%) e permanente (invalidi totali), e che si trovano in stato di bisogno economico.  Per l’anno 2019 l’importo della pensione è di 285,66 Euro e viene corrisposto per 13 mensilità ed il limite di reddito personale annuo per il 2018 è pari a 16.814,34 Euro.

Prepensionamento: nell’INPGI, possibilità riservata agli iscritti con almeno 62 anni di età e 25 anni e 5 mesi di anzianità contributiva in caso di CIGS per riorganizzazione aziendale di durata non superiore a 24 mesi, con impegno ad operare contestualmente nuove assunzioni.  Età e contributi adeguati alla speranza di vita 2019.  Parziale cumulo con eventuali redditi.

Pensione ai superstiti: i destinatari sono gli stessi per entrambi gli Enti.

Gli assegni sono più generosi nell’Istituto dei giornalisti che non nel sistema generale. L’ultima riforma non ha toccato le percentuali di reversibilità delle pensioni INPGI, limitandosi a limare le prestazioni nel caso in cui il coniuge sopravvivente disponga di un reddito autonomo.

Il risultato concreto è ad esempio che mentre l’INPS in caso di solo coniuge sopravvivente riserva il 60% dell’assegno, l’INPGI continua a mantenere il 75% ed il 90% per due superstiti (80% nell’INPS).  In entrambi gli enti si raggiunge il 100% per tre o più superstiti. La quota percentuale per il solo coniuge scende per l’INPGI con il salire dell’assegno pensionistico, fino a pareggiare il 60 per cento dell’INPS per pensioni superiori ai 57.189,22 Euro.

Da notare che, mentre l’INPS taglia di un ulteriore 50% l’importo corrisposto al solo coniuge superstite se questi ha un reddito superiore ai 32.589,70 Euro, l’INPGI si limita a limare l’assegno del 40%, se il coniuge ha un reddito proprio superiore ai 44.456,18 Euro.

ReteCoM: INPS – INPGI: Normativa a raffronto. CONTRIBUZIONE

Seconda puntata

ReteCoM ha elaborato – su dati e informazioni di fonti ufficiali INPS e INPGI – un raffronto tra i due sistemi pensionistici

CONTRIBUZIONE

Contributi a carico del datore di lavoro, dove non è diversamente indicato:

IVS: In entrambi gli Enti le aliquote che finanziano la previdenza sono pari al 23,81% a carico del datore di lavoro e al 9,19% + un 1% di solidarietà superato un massimale (attualmente 47.379,00 Euro), a carico del lavoratore (l’INPGI si è allineato all’INPS dal primo gennaio 2016).
Massimale contributivo

(per il 2021, 103.055,00)

Nell’INPGI introdotto dal 1° gennaio 2017, per i soli giornalisti privi di anzianità contributiva pregressa, nell’INPS il massimale contributivo si applica per chi è assicurato per la prima volta dal 1996 in avanti.
Fondo di garanzia TFR 0,30% INPGI 0,20% INPS
Assegni familiari 0,05% INPGI e 0,68% INPS
Disoccupazione 1,61% per entrambi
Maternità Per i giornalisti dipendenti da datori di lavoro privati, nonostante siano iscritti ai fini previdenziali presso l’INPGI, rientrano nelle competenze dell’INPS:

  • le prestazioni di maternità, anche in assenza del relativo contributo;
  • l’autorizzazione al congedo straordinario per l’assistenza ai familiari portatori di handicap grave e la fruizione dei permessi per disabili, compreso il pagamento delle relative indennità economiche.  In tali casi, a richiesta dell’interessato, l’INPGI provvede all’accredito della contribuzione figurativa.

INPS 0,24%

Malattia Contributo non presente nell’INPGI, Indennità di malattia a carico del datore di lavoro (primi 9 mesi al 100%, successivi 9 al 50%).

INPS 2,44%

Infortuni Euro 11,88 mensili per dodici mesi.

Non presente nell’INPS

Contributo di solidarietà In entrambi, pari al 10% sugli importi dovuti dal datore di lavoro per i fondi di previdenza ed assistenza sanitaria.
Fondo di perequazione A carico del giornalista: Euro 5,00 mensili per 12 mensilità, posto a carico del giornalista (dovuto da tutti i giornalisti titolari di un rapporto di lavoro regolato dall’art. 1 del CNLG, nonché dai titolari di rapporti di lavoro ex art. 2, 12, 36 con retribuzione pari o superiore a quella minima contrattuale del redattore con più di 30 mesi di anzianità).
Fondo integrativo di previdenza 1,50% (contributo non dovuto per i giornalisti praticanti, per i giornalisti pubblicisti e per i giornalisti professionisti con contratto a termine).

Obbligo di iscrizione alla Casagit, cassa di assistenza sanitaria.

 

 

 

ReteCoM: contributi dei comunicatori all’INPGI. Tutti i motivi del no

Prima puntata 

Quando nell’autunno del 2019 le sette organizzazioni che oggi rappresentano ReteCoM, la Rete tra le Associazioni per la Comunicazione e il Management, scesero in campo alzando gli scudi a difesa dei propri iscritti, l’hashtag fu #INPGIancheNO.

Da allora motiviamo punto per punto il perché di quel no. Da allora chiediamo un Tavolo Tecnico permanente con Istituzioni e Parti sociali.

In attesa di quel confronto non più rinviabile, riteniamo sempre più urgente sottolineare perché il ventilato trasferimento dei contributi di migliaia di Comunicatori dall’INPS all’INPGI si tradurrebbe in un’operazione non solo iniqua e ma anche inefficace sul piano economico.

Un’operazione legislativa di natura puramente contabile provocherebbe effetti penalizzanti, sia per i professionisti della Comunicazione, in termini di orizzonte pensionistico, sia per il Fondo pensione lavoratori dipendenti INPS, in termini di minori entrate contributive. Un’operazione legislativa che lascerebbe non pochi dubbi considerato che le risorse derivanti dai contributi dei comunicatori sarebbero destinati ad una cassa previdenziale di natura privatistica, che per anni ha concesso trattamenti previdenziali ed assistenziali eccessivamente generosi.

I dubbi sono tanti, così come tante sono le domande cui chiediamo risposte.

Per comprendere e contribuire al dibattito in modo costruttivo, abbiamo elaborato – su dati e informazioni di fonti ufficiali INPS e INPGI – un raffronto tra i due sistemi pensionistici.

Il raffronto dimostra che esistono molte sperequazioni tra i trattamenti dell’ente pubblico e quelli dell’ente privato; sperequazioni che intervengono in modo considerevole sul dissesto finanziario dell’INPGI. Quei trattamenti sono stati concessi senza considerarne né gli effetti sulla sostenibilità del sistema, né la grave crisi del settore, che ha fatto precipitare il numero dei nuovi contribuenti ben oltre gli effetti del calo demografico.

ReteCoM, fin da quando si è iniziato ad ipotizzare la misura in esame, ha sottolineato che le criticità di gestione dell’INPGI – ammesse pubblicamente anche dai vertici della Cassa – non possono essere risolte obbligando migliaia di soggetti a cambiare ente previdenziale, peraltro con le difficoltà che ne deriverebbero nell’uniformare le prestazioni di due enti così profondamente diversi.

La “deportazione” forse rinvierebbe il problema nell’immediato, impedendo il commissariamento dell’Istituto, ma condannerebbe i comunicatori subentrati e i giornalisti presenti ad un futuro previdenziale incerto, aprendo un percorso costellato da possibili e numerosi contenziosi.

Pensiamo alla possibile dispersione contributiva e alle difficoltà di ricongiungimento, a fine carriera, dei contributi INPS e INPGI.

A tutto ciò si aggiunge un’altra questione di non facile risoluzione: è difficile individuare correttamente i soggetti coinvolti.  Quanti e quali sarebbero i soggetti passivi di questa operazione? In realtà non ci sono numeri certi. Si stima siano circa 20mila i lavoratori che agiscono sui processi di comunicazione a vari livelli, tradizionale e digitale e con diversi gradi di autonomia e responsabilità proprio all’interno delle imprese.

È stato dimostrato, anche da fonti governative, che l’allargamento della platea contributiva con l’ingresso forzato di altre categorie professionali (per esempio i comunicatori della Pubblica Amministrazione i cui contributi ammonterebbero a poco più di 50 milioni di Euro l’anno), era e resta insufficiente a salvare l’Istituto previdenziale dei giornalisti e non sarebbe comunque in grado di coprire gli oltre 200 milioni annui necessari a portare l’INPGI definitivamente fuori dalla situazione drammatica in cui si trova.

È urgente e necessario, quindi, un confronto costruttivo e trasparente basato sui numeri.

 

Il Presidente e la Buona Comunicazione

Nella prima riunione del Consiglio dei Ministri il presidente Mario Draghi ha voluto precisare che il Governo parlerà solo per comunicare fatti concreti. Stop alla confusione tra giornalismo e comunicazione. Sì alla Buona Comunicazione gestita da professionisti competenti, con rigore e responsabilità, con obiettivi chiari.

È stato avviato un nuovo corso anche nella Comunicazione. Finalmente. Perché la Buona Comunicazione per ReteCoM non è uno slogan, ma una necessità e si traduce nel mettere a disposizione progettualità e competenze professionali indispensabili per qualsiasi progetto di rinascita del nostro Paese.

L’approccio alla concretezza di ReteCoM sta nei temi su cui ha già avviato il confronto con i precedenti governi: i nuovi modelli del lavoro, la valorizzazione delle competenze manageriali, il riconoscimento delle professioni della comunicazione, l’equità economica, sociale e previdenziale. E infine il salvataggio dell’INPGI, che deve essere affrontato per assicurare le pensioni ai giornalisti senza coinvolgere i comunicatori in un inutile progetto di breve durata.

Sono questi i temi su cui è impegnata ReteCoM fin dal primo giorno della sua nascita. Sono questi i temi su cui le associazioni che costituiscono la Rete chiedono un confronto al Governo Draghi.

L’importanza di essere in ReteCoM

ReteCoM è la Rete delle Associazioni per la Comunicazione e il Management, cui aderiscono CIDA, CONFASSOCIAZIONI, ASCAI, COM&TEC, FERPI, IAA, UNA. Realtà diverse tra loro, con storie e identità autonome, accomunate dalla stessa necessità e dal radicato interesse di valorizzare le professioni della comunicazione e le competenze manageriali, attraverso specifiche azioni di rappresentanza istituzionale.

ReteCoM è un modello di rappresentanza innovativo per un segmento di mercato complesso e importante, che offre lavoro a decine di migliaia di professionisti e dipendenti di PMI e di medie e grandi aziende, oltre a funzionari e dirigenti della PA. È un esempio virtuoso di aggregazione, in cui si sommano, in termini di condivisione e rappresentanza, i 150 mila manager di CIDA, il milione e 200 mila professionisti e imprese di CONFASSOCIAZIONI, gli oltre 40 mila associati di ASCAI, COM&TEC, FERPI, IAA e UNA.

ReteCoM rappresenta un complesso universo di molteplici aziende e professionalità, “tradizionali” e digitali. Un settore che è difficile fotografare a causa della mancanza di riconoscimento della maggior parte dei profili rappresentati, che sono numerosissimi e che costituiscono risorse fondamentali e richiestissime dal mercato a livello nazionale e internazionale.

Nata per dire no all’ipotesi di allargamento della platea contributiva dell’INPGI ai comunicatori ad ottobre 2019, oggi ReteCoM è un interlocutore competente sulle questioni previdenziali, che intende andare oltre il confronto sui temi dell’INPGI e partecipare al confronto istituzionale sulle sfide che riguardano il futuro. Sfide epocali come il lavoro che crea occupazione, che azzera le diseguaglianze, che premia le competenze e che definisca nuovi modelli organizzativi in grado di produrre sviluppo e valore economico.

ReteCoM non è e non vuole essere un sindacato. È un osservatorio di analisi e di confronto, un laboratorio, il luogo deputato a gestire politicamente le complessità, semplificando linguaggi e azzerando le contrapposizioni, avviando percorsi identitari per valorizzazione e difendere le molteplici professionalità che caratterizzano il mondo della Comunicazione e del Management.

ReteCoM è il soggetto deputato all’interlocuzione con le Istituzioni e con le Parti Sociali. E sarà presente anche sul web con la molteplicità delle sue voci.

 

Rita Palumbo
Portavoce ReteCoM

ReteCoM: “Urgente un incontro tra Governo, Parti Sociali e Associazioni di Categoria”

di Rita Palumbo

Ogni anno tra ottobre e dicembre, in concomitanza con il dibattito sulla Legge di Bilancio, torna alla ribalta la questione “salvataggio INPGI”. E anche quest’anno, stando alla cronaca fino ad oggi, non dovrebbero essere approvati emendamenti che introducano forzosamente il trasferimento dei contributi dei comunicatori dall’INPS all’INPGI. Ci sarebbe un tentativo di “deportazione contributiva” dei poco più di 5mila comunicatori pubblici. E se così fosse, oltre al danno all’erario ci sarebbe anche la beffa etica: dipendenti pubblici che versano nella cassa privata dei giornalisti….

Sembra una storia infinita a tinte surreali perché la questione non è se salvare l’INPGI e proteggere le pensioni future dei giornalisti, ma del COME. L’INPGI non può essere salvato con l’allargamento della platea contributiva e ReteCoM, la Rete delle associazioni per la Comunicazione e il Management – cui aderiscono CIDAConfAssociazioniASCAICom&TecFerpiIAA e UNA – da anni, ha dimostrato, dettagliato e testimoniato le motivazioni. 

Motivazioni che anche all’interno delle Istituzioni sono state (finalmente) prese in considerazione. L’INPGI sta implodendo non certo per colpa dei giornalisti ma perché il mercato dell’editoria e della produzione dei contenuti è profondamente, radicalmente cambiato. Le figure professionali che producono contenuti sono molte e in continua evoluzione, i canali di diffusione – con la digitalizzazione – impongono nuovi modelli di business, cancellano rendite di posizione e pongono questioni etiche, politiche ed economiche che riguardano soggetti globali della tecnologia. Non è più tempo di privilegi per pochi.

Chiedere di salvare l’INPGI per salvare la libertà di stampa è fuori luogo. 

Ipotizzare, ancor oggi che viviamo una profonda crisi economica e sociale, di indebolire ancor di più lo Stato e l’INPS è inaccettabile.

Confrontarci per salvaguardare il lavoro di tutti, valorizzarne le competenze e i compensi e impegnarci insieme a ridisegnare uno scenario del lavoro del futuro è l’unica strada percorribile. Ed è su questi temi che ReteCoM, con tutte le sue associazioni, è pronta a discutere e a dare il proprio contributo. Non si tratta più solo di dibattere come e se salvare l’istituto privato di previdenza di una categoria, ma di nuovi modelli di lavoro, che impongono un Tavolo tecnico tra  Governo, Parti Sociali,  associazioni di categoria e tutti gli attori di questa grande sfida per il futuro. 

INPGI, l’on. Martella incontra le Reti delle Associazioni della comunicazione

di Rita Palumbo

È stato un incontro interessante quello che si è svolto ieri, 22 gennaio in via della Mercede 9 a Roma: le Reti delle Associazioni della Comunicazione  – Ascai, CIDA, Com&Tec,  Confassociazioni, FeRPI, IAA è UNA – sono state ricevute dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio on. Andrea Martella. Che ringraziamo per la disponibilità e l’attenzione con cui ci ha ascoltato.

Abbiamo  avuto l’occasione – per la prima volta – di poter presentare le nostre istanze sulla questione “salva INPGI”, esporre le nostre perplessità ma anche, anzi soprattutto, descrivere nel dettaglio la complessità del settore della Comunicazione.
È stato un incontro importante all’insegna della trasparenza e della concretezza: abbiamo potuto esprimere  le problematiche che a nostro avviso  comporterebbe l’allargamento  ai comunicatori della platea dei contributori INPGI, per mezzo di  un provvedimento legislativo. Abbiamo potuto raccontare le nostre realtà produttive, le nostre competenze e le nostre formule contrattuali.
Abbiamo chiesto un Tavolo Tecnico per approfondire tutti i temi esposti. L’on. Martella ci ha assicurato che se e quando il governo dovesse affrontare l’ipotesi dell’allargamento della platea contributiva INPGI ai comunicatori, saremo coinvolti.

È stato un primo incontro conoscitivo e ne siamo soddisfatti e rassicurati. Intanto le nostre associazioni continueranno ad impegnarsi  con serietà e rigore nella salvaguardia di centinaia di migliaia di soggetti – dipendenti, consulenti e collaboratori – che operano nel campo della Comunicazione, una professione non ordinistica ma ad alto valore aggiunto, che crea ricchezza per il nostro Sistema Paese.

Covid-19: al via un’indagine Ascai-Censis sulla comunicazione aziendale

Il mondo delle imprese è impegnato in un riposizionamento della Comunicazione che vede in prima fila anche e soprattutto i professionisti della Comunicazione interna. Ma cosa succederà al termine di questa fase? Quale tendenze si delineano e quale modello di Comunicazione adotteranno le aziende al termine di una difficile transizione? Con la volontà di fornire un contributo su questo tema, essenziale per lo sviluppo e la valorizzazione della professione di Comunicatore nell’era post-pandemica, il Censis e Ascai – l’Associazione dei comunicatori aziendali – hanno dato vita a una importante ricerca dal titolo “La Comunicazione di Impresa in Italia”.

Obiettivo dell’indagine è rilevare, attraverso la diretta voce dei Comunicatori d’Impresa i modelli, le modalità e i contenuti che in questa fase stanno guidando i processi e i comportamenti comunicativi delle aziende, sia verso i loro dipendenti che nei confronti del pubblico dei consumatori. Un proposito di grande rilevanza, considerata la complessa fase che stanno vivendo le aziende, il Paese e l’intera economia, in cui l’emergenza sanitaria del Covid-19 sta avendo effetti immediati sui contesti e sulle strategie aziendali.

Sarà fondamentale capire se, e in che misura, l’ondata di comunicazione delle aziende effetto dell’emergenza pandemica – in cui è stato evidente l’intreccio dei target e degli obiettivi interni ed esterni di comunicazione – sia estemporanea e legata all’unicum della Fase Covid-19 o, se invece, non rappresenti un passaggio a un Nuovo Paradigma  destinato a restare.  Alla luce di tale obiettivo generale, il Rapporto Censis-Ascai costruirà un racconto della comunicazione aziendale in Italia conducendo un’analisi su  due  distinti  sondaggi d’opinione:  uno dedicato a un panel di  comunicatori d’impresa  in aziende di medio-grandi dimensioni;  uno indirizzato a  comuni cittadini , per rilevare in parallelo alla precedente il sentiment delle persone comuni rispetto alle azioni comunicative delle imprese.

Con particolare riferimento alla survey rivolta ai Comunicatori di impresa sarà principale oggetto di indagine individuare il profilo del comunicatore aziendale e i modelli alla base dei processi e dei comportamenti comunicativi che adottano le aziende. In altri termini, le modalità con cui si comunica internamente ed esternamente, i principali contenuti veicolati dalla comunicazione aziendale, la capacità di ascolto della popolazione aziendale, nonché la gestione comunicativa di situazioni di criticità che comportano la diffusione di informazioni specifiche circa le ricadute negative nei confronti delle persone dell’azienda.

Per partecipare alla Ricerca sarà sufficiente compilare un breve questionario in forma anonima cliccando qui. Tutti i dati raccolti saranno trattati in forma aggregata e nel rispetto della normativa sulla privacy. I risultati e l’executive summary della rilevazione saranno presentati in settembre in occasione del tradizionale appuntamento Ascai-Censis con l’evento “ComunicaImpresa”.

Le competenze, la vera sfida per la comunicazione pubblica del futuro

Il secondo capitolo per la riforma della legge 150/2000 per una Comunicazione Pubblica trasparente ed efficace deve riguardare le competenze.

Il documento programmatico presentato lo scorso 16 giugno alla Ministra Fabiana Dadone – che ringraziamo ancora una volta – è solo il primo capitolo di un lungo percorso. L’impegno cui sono chiamati gli stakeholder che hanno lavorato al “primo atto” è quello di approfondire in modo costruttivo e consapevole i punti indicati, il primo dei quali riguarda l’area unificata dedicata alla comunicazione, informazione e servizi alla cittadinanza, in cui ci sono state individuate due figure professionali: il comunicatore e il giornalista.

Al comunicatore sono assegnati: i rapporti con il cittadino, gli eventi, la pubblicità, l’editoria, le consultazioni pubbliche e la citizen satisfaction, la redazione delle carte dei servizi e dei bilanci per la rendicontazione sociale (accountability), la gestione di laboratori per la partecipazione civica, la comunicazione interna, la gestione del brand pubblico, le relazioni esterne e istituzionali, l’identità dell’Ente e la comunicazione internazionale.

Al giornalista pubblico sono invece assegnati: l’analisi e il trattamento delle notizie di interesse dell’amministrazione, la redazione di testi e comunicati, i rapporti con i media, la cura di newsletter e pubblicazioni informative, il fact checking e ogni altra attività attinente al settore dell’informazione.

Si tratta di specifiche competenze, con ruoli e funzioni differenti, perché diverse sono le professioni del giornalista e del comunicatore, diverse le competenze che ne determinano i ruoli professionali, che a loro volta si fondano su specifici profili che devono garantire specifiche conoscenze e precise abilità.

Ecco perché da tempo e in più sedi sosteniamo la differenza di scopo tra la professione/ del giornalista e del comunicatore e sottolineiamo che le due professioni non si sovrappongo, né posso “fondersi” per il semplice fatto che usano gli stessi canali digitali.

La digitalizzazione, se fino a poco tempo fa era indicata come una rivoluzione, oggi è realtà quotidiana, che sta cambiando e cambierà il mondo. Ma non confondiamo la digitalizzazione dei processi con l’utilizzo di canali digitali.  

La digitalizzazione dei processi, anche, anzi soprattutto, nel campo della comunicazione e dell’informazione, non può – non deve – essere una semplificazione, una banalizzazione del pensiero e dei processi organizzativi e relazionali.

Le community social così come la messaggistica istantanea sono strumenti fondamentali per dialogare e in qualche modo rassicurare il cittadino sull’avere finalmente “porte aperte” nella pubblica amministrazione.

Ma la comunicazione pubblica non può essere solo questo. La comunicazione pubblica è – deve essere – molto di più dell’adozione di canali digitali. 

 

Proviamo a schematizzare i flussi del lavoro del giornalista e quelli del lavoro del comunicatore. 

Il giornalista deve saper osservare, indagare, comprendere, verificare ed informare/raccontare con obiettività e trasparenza, deontologia e responsabilità

Il comunicatore, sia nella pubblica amministrazione che nel mercato privato deve saper analizzare, decifrare, decodificare, valutare, progettare, organizzare, agire, realizzare, individuare linguaggi mediali, prevenire i rischi, gestire criticità, relazionarsi con pubblici diversi anche internazionali, gestire budget, rendicontare.

Conoscenze e abilità profondamente diverse, che possono – anzi devono – saper dialogare per rendere efficiente, trasparente e innovativa la Pubblica Amministrazione, arricchendo il valore delle reciproche prestazioni d’opera, ma evitando semplificazioni.

 

La Comunicazione sia nella pubblica amministrazione che nel mercato privato, è un sistema complesso di strategie, attività e strumenti, che va gestita con approccio e competenze manageriali, in grado di dare un orientamento strategico per innovare le istituzioni pubbliche in un mondo globalizzato e iper-comunicativo. In questo senso, come avviene per il mondo delle imprese, è giusto e corretto che anche le Istituzioni abbiano al proprio interno professionisti della comunicazione capaci di guidarne i registri di interpretazione e divulgazione di norme e attività, oltre che di guidarne le scelte in materia di comunicazione di crisi e di emergenza, come è accaduto durante l’emergenza Covid-19.

Ecco infine la proposta Ferpi all’evento organizzato da Forum PA 2020:  un’utile riforma della legge 150/2000 sarà possibile quando si concretizzeranno due condizioni:

       Gli stakeholder che hanno lavorato alla stesura del documento programmatico di indirizzo continuino a lavorare insieme nel rispetto delle reciproche diversità, ipotizzando anche di coinvolgere altre associazioni della comunicazione.

       Avviare una campagna di sensibilizzazione culturale sull’importanza della  Comunicazione sia nella Pubblica Amministrazione sia nei mercati, valorizzando il ruolo manageriale del comunicatore pubblico che, grazie a competenze certificate, sia in grado di saper gestire processi complessi con una visione d’insieme,  obiettivi certi ed ottimizzazione di risorse professionali e risorse finanziarie.  

Solo in questo modo la Pubblica Amministrazione e la sua comunicazione potranno essere trasparenti, efficaci e – perché no – efficienti e competitive.

Collega a chi? La dignità dell’ufficio stampa

A inizio febbraio ho scritto un lungo articolo per la rivista Reputation Review incentrato sul mestiere dell’ufficio stampa. Volevo elaborare un vademecum per gli addetti ai lavori, dopo anni deputati a questo ruolo, con regole precise e qualche esempio che svelasse i segreti per ottenere risultati e riconoscimenti. Mentre scrivevo, è prevalso in realtà il desiderio di liberarmi dai tanti luoghi comuni che intaccano questa professione. Ne è uscito un pamphlet, ironico e istrionico.
Si va dal superamento delle conferenze stampa come momento ormai demodé per l’incontro con i giornalisti all’affermazione incontrastata del criterio della notiziabilità del fatto, secondo il quale se la notizia non c’è, anche il bisogno di comunicare dovrebbe indietreggiare. Tra una pagina e l’altra si parla di disintermediazione, trend topic e visual mania. Di costruzione di reputazione e di crisis management.
Se avete voglia di leggerlo, lo trovate qui.
Di fatto, tutto nasce da una semplice considerazione: senza gli uffici stampa metà delle redazioni non avrebbero materiale per riempire l’enormità di contenitori che oggi fanno l’informazione.
Ricordo perfettamente e nei particolari le occasioni in cui, rivolgendomi a un giornalista, mi sono trovata a utilizzare l’epiteto di collega. Alle volte ricevendo in cambio un segno di complicità, altre volte una smorfia. È reale il dibattito alimentato da chi intende marcare una netta linea di separazione tra chi lavora per una testata giornalistica o un gruppo editoriale e chi, invece, sta dall’altra parte, quella delle organizzazioni, delle imprese, delle associazioni.
Tantissimi comunicatori hanno alle spalle carriere simili alla mia: sono una giornalista professionista, ho studiato per diventarlo, ho passato un esame, ho lavorato come redattrice in quotidiani e settimanali nazionali per molti anni, prima di approdare in azienda e ora in Federmanager.
“Collega a chi?” avrebbe meritato un capitolo a sé, di questo pamphlet. Vi avrei annotato che, come sempre, bisogna guardare al merito della questione. Fuori dai cliché, la dignità del lavoro dipende giammai dall’appartenenza a una categoria, bensì dipende da come si fanno le cose, dall’onestà intellettuale e dal rigore morale con cui si esercita una professione.
Ecco perché a mio avviso un giornalista e un ufficio stampa possono, tra loro, riconoscersi colleghi. Ciò che la mia esperienza mi ha insegnato finora è che tra persone competenti ci si riconosce sempre. Quando c’è l’impegno a ricercare la versione più vicina alla verità delle cose, a ricostruirla, a dare voce ai suoi protagonisti, ci si stringe la mano.
È il bello di appartenere a questa comunità (non categoria) di comunicatori e professionisti che sta affrontando con tenacia le sfide aperte dal momento straordinario che stiamo vivendo.
Dopo il coronavirus, l’unico capitolo che avrei aggiunto a quel pamphlet sarebbe stato un inno alla competenza.

Dina Galano
Giornalista professionista, lavora in Federmanager dal 2015 come Portavoce del Presidente e come Responsabile della comunicazione. Dirige il mensile “Progetto Manager”. Scrive per riviste di approfondimento su temi economici, sociali e di attualità. Con una laurea in giurisprudenza, un master in giornalismo e una formazione in digital marketing e social media communication, ha iniziato la sua carriera nella carta stampata per poi passare al mondo della comunicazione aziendale e delle media relations.